1. RIBELLI, 'IN OBITORIO 40 CADAVERI CON SEGNI DI TORTURA'
(ANSA-AFP) - I ribelli guidati dall'Hts che hanno preso il controllo della Siria hanno dichiarato di aver trovato almeno 40 cadaveri accatastati con evidenti segni di tortura nell'obitorio di un ospedale vicino a Damasco.
"Ho aperto la porta dell'obitorio con le mie mani ed è stato uno spettacolo orribile: una quarantina di corpi erano ammucchiati, con segni di terribili torture", ha affermato Mohammed al-Hajj, combattente delle fazioni ribelli del sud del Paese. raggiunto telefonicamente dall'Afp a Damasco.
2. IL CARCERE MATTATOIO “L’ORRORE DEI CORPI GETTATI NELLE PRESSE”
Estratto dell’articolo di Gabriella Colarusso per “la Repubblica”
Abdel Wahab Daadoush non sa più chi è, non sa chi è stato. Ha perso la memoria per le torture. Resta accovacciato quando i liberatori aprono le porte dell’inferno ed entra luce dopo tanto buio. Aveva 20 anni 13 anni fa, era uno studente di medicina di Hama sceso in piazza per la rivoluzione democratica siriana e mai più tornato, inghiottito come migliaia di siriani nelle viscere di Damasco, a Sednaya.
Non è solo una prigione, è l’orrore: un enorme penitenziario a 30 km dalla città, costruito agli inizi degli anni Ottanta, in cui per quattro decenni gli Assad hanno stritolato i loro oppositori, abusati, picchiati, seviziati, tenuti a decine in celle di pochi metri quadri e senza finestre, fino a due piani sotto terra. Un “mattatoio umano” lo definì Amnesty International. E lo è, letteralmente.
I ribelli hanno trovato una pressa di metallo in uno degli scantinati: potrebbe essere servita per maciullare i cadaveri dei morti sotto tortura, poi dispersi chissà dove. La giustizia, se ci sarà, racconterà a cosa è servita quella diabolica macchina di morte.
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Dal braccio femminile scappano decine di donne, c’è anche un bambino tra loro, e gli uomini della protezione civile non escludono che possa essere nato lì, forse figlio della violenza che i secondini usavano sulle prigioniere e documentata ormai in decine di inchieste.
Sednaya è costruita come un labirinto, profonda almeno tre piani, compartimentati con sistemi automatici per le aperture. Prima di scappare, le guardie criminali di Assad hanno bloccato le porte e spento le ventole dell’aria. Li hanno sigillati vivi.
Ieri mentre le squadre della protezione civile lavoravano per liberare i detenuti, migliaia di familiari si sono accalcati intorno alla prigione in cerca di notizie sui loro cari scomparsi anche 20 o 30 anni fa, rovistando tra gli stracci lasciati a terra e le pareti delle celle ancora piene di sangue e feci, sperando in un indizio, una traccia. […]
Un altro sopravvissuto racconta: «All’alba facevano irruzione nelle celle e leggevano i nomi di quelli che sarebbero stati giustiziati. Li lasciavano senza cibo né acqua per tre giorni. Portavano il patibolo nella prigione, li giustiziavano e poi mettevano in fila i corpi come sacchi di patate». […]
2. NELLA MACELLERIA UMANA DI ASSAD «VI PREGO, CERCATE MIO MARITO»
Estratto dell’artiolo di Andrea Nicastro per il “Corriere della Sera”
Tutta la Siria sta andando a Sednaya, il macello degli umani. Famiglie intere, in 5 su una motocicletta, vecchi aggrappati ai furgoni, donne in automobile, ma poi, siccome l’unica strada che porta al carcere degli incubi è un serpente di lamiera immobile, con le automobili incollate l’una all’altra, si prosegue a piedi. Per chilometri.
Il carcere dei prigionieri politici degli Assad è lassù, sulla collina. «Non doveva essere rosso?» chiede qualcuno. Non ci sono mai stati, non hanno mai avuto il coraggio neppure di passarci davanti facendo finta di niente. Per anni la paura è stata troppo grande.
E ora che sembra si possa fare qualunque cosa, ora che è arrivata la rivoluzione, ora che il dittatore non c’è più e migliaia di kalashnikov sono usciti dalle soffitte e dalle caserme, ora, con il mitra in mano, tutti si sentono padroni. Lo portano per la canna come un bastone da tirare al cane e sarà per il kalashnikov o sarà perché nessuno ha cominciato a fare la voce grossa, fatto sta che soltanto adesso la Siria ha trovato il coraggio di percorrere quei trenta chilometri che separano Damasco da Sednaya.
A Sednaya è stato incarcerato o è morto almeno un membro di ogni famiglia della Siria. A migliaia non ne sono mai usciti. Così un figlio va a cercare nei registri strappati il nome del papà che non ha mai conosciuto. Una mamma entra in una cella e si accascia: sente lo spirito del figlio ancora gridare per il dolore.
[…]
La routine del carcere era semplice. Torture e botte, fame e freddo, la ricetta del regime per spezzare la volontà di un popolo. «Nel 2011, all’inizio della primavera siriana, finivi in prigione solo per partecipare a un corteo. E allora ti picchiavano a sangue, ti pigiavano in dieci in una cella di 3 metri per tre, ma poi ti rilasciavano». Ali Nasser Youssef racconta i suoi tre mesi di «rieducazione a Sednaya» che l’hanno convinto ad arruolarsi in Al Qaeda.
[…] Dentro è un carcere come tanti, con le serrature dei raggi comandate a distanza, lo spiazzo per l’ora d’aria e le torrette dei secondini. Poi però c’è la stanza della pressa. Dicono servisse a schiacciare i corpi, vivi o morti. Ci sono i sacchi delle corde rosse. Dicono per impiccare i prigionieri, per appenderli dalle mani o dai piedi. Nelle celle, anche quelle di riguardo, con il bagno annesso, si dormiva per terra, in 50. Il Covid qui ha fatto una strage. Dei 20 mila prigionieri ne sono morti la metà.
Un agente dell’intelligence dei ribelli venuti da Idlib ha interrogato il panettiere che lavorava nel carcere. «Faceva 15 mila sacchetti di pane. Alcuni, ha testimoniato, li buttavano in una buca nel pavimento profonda 15 metri. Là sotto dovevano esserci le celle segrete di cui parlano tutti, altrimenti perché sprecare il pane?». […]
Non si sa se le celle segrete esistano oppure no. Non si sa se centinaia di prigionieri stiano soffocando nei sotterranei perché le guardie prima di andarsene hanno spento i sistemi di ventilazione. Non si sa neppure se è vero che si stia cercando di far venire il tecnico di una ditta tedesca che ha venduto i sistemi di controllo al regime. Ma quel che sicuramente è reale, palpabile, concreta è la psicosi delle celle segrete. Tutti ci credono, tutti sperano, vogliono mantenere viva la fiammella della speranza contro ogni logica.
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Arrivano le scavatrici, le ruspe. Con la folla a mezzo metro, buttano giù un muro, scavano in un punto del cortiletto, poi in un altro. Riescono a trovare un passaggio. Un coraggioso si offre di entrare con la torcia del telefonino. Niente. Il tunnel non va avanti, c’è il cemento armato. E allora ecco un ex prigioniero che arriva a dare indicazioni precise. «Durante l’ora d’aria mi ricordo benissimo che sentivo le urla arrivare da là sotto».
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Cinquant’anni di dittatura sono difficili da metabolizzare in due giorni. La gente resta in allerta. […] Corridoi infiniti, porte arrugginite, sotterranei che trasudano muschio e celle dove ancora rimangono le sottili coperte che facevano da materasso su un pavimento di cemento gelido. La speranza Qualcuno vede aprirsi un vuoto nella terra sotto l’azione della ruspa. «Eccolo, è il piano segreto, l’abbiamo raggiunto». La voce vola fuori dal cortile, sui tetti, nei corridoi.
In un attimo la «notizia» diventa «li hanno trovati, ci sono prigionieri vivi nei sotterranei e stanno uscendo». Partono gli spari in aria. Due, tre raffiche di kalashnikov dal tetto, altri rispondono dalla strada. Rattattattatà, rattattatatà, così sembra una festa. Quelli che ancora arrancano sulla salita si mettono a correre, chi stava andandosene torna indietro. «Sono sono ancora vivi». Non è vero, ma per un momento ha pompato adrenalina come per una resurrezione.
carcere di sednaya - siria siria, festeggiamenti a damasco dopo la caduta del regime di bashar al assad foto lapresse STATUA DI HAFIZ AL ASSAD (PADRE DI BASHAR) PRESA A CALCI DAI RIBELLI SIRIANI A DAMASCO festeggiamenti a damasco per la fine del regime di bashar al assad 2