LA MEMORIA E' SULLA PELLE – LILIANA SEGRE RISPONDE A UN LETTORE DI “OGGI” SUL PERCHÉ NON ABBIA MAI COPERTO IL MARCHIO INFAME FATTOLE AD AUSCHWITZ, QUANDO AVEVA 13 ANNI, DAI NAZISTI (IL NUMERO "75190"): “NON PENSO DI ESSERE IO A DOVERMENE VERGOGNARE, MA COLORO CHE ME LO IMPOSERO. MI CAPITAVA DI SALIRE SUL TRAM, MI CHIEDEVANO COSA FOSSE E IO MI INVENTAVO CHE ERA IL NUMERO DI CASA. UNA VOLTA ERO AL PARCO CON IL MIO PRIMOGENITO ALBERTO E..."
-Da “Oggi”
Gentile Senatrice Segre, ho letto che il segretario cittadino della Lega a Bologna, Cristiano Di Martino, ha sul braccio un tatuaggio d’ispirazione neofascista. Voglio esprimere la mia piena vicinanza a lei, che invece sul braccio porta il segno di Auschwitz.
B.S.
Risposta di Liliana Segre:
È vero. Non ho mai voluto cancellare quel numero, 75190, che m’impressero sulla pelle a 13 anni cancellando il mio nome e la mia vita precedente. Non l’ho mai tolto perché non penso di essere io a dovermene vergognare, ma coloro che me lo imposero, e forse anche chi oggi nega o è indifferente a ciò che è stato o non lo rispetta.
Confesso che non è stato facile convivere con quel numero. Quando sono tornata a Milano dopo il lager ero poco più che una ragazzina. Mi capitava di salire sul tram, con le maniche corte, e di sentirmi chiedere da qualche sconosciuto che cosa fosse. Risultava strano, perché all’epoca quasi nessuno aveva un tatuaggio, non si usava. Era difficile raccontare, spiegare di che cosa si trattasse in una situazione del genere, così cominciai a inventare che era il numero del telefono di casa, che non lo ricordavo e me l’ero segnato… Mentivo per difendermi.
Persino chi mi voleva bene e provava a starmi vicino non riusciva a capire e a comportarsi con delicatezza. Mio zio paterno Amedeo, scampato alla Shoah, aveva ripreso in mano la ditta di famiglia e io spesso lo andavo a trovare.
Tuttavia non di rado, quando c’erano dei clienti, mi invitava a mostrare loro il mio numero, tra lo sbigottimento generale, mettendomi in grande imbarazzo e rinnovando ogni volta il mio dolore. Ricordo tra gli altri un signore che, di fronte a me, con scioccante superficialità, gli suggerì di comprarmi un braccialetto e coprire tutto.
Più avanti sarebbero arrivate le domande dei miei figli. Interrogativi candidi, naturali, di fronte ai quali però restavo spiazzata, non trovavo le parole. Una volta ero al parco con il mio primogenito Alberto, che avrà avuto sei anni.
All’improvviso venne da me in lacrime perché un altro bambino gli aveva detto che io avevo “un marchio” e a lui era parsa una parola così brutta… Era piccolo, non poteva capire, e io non seppi consolarlo. Riuscii solo a dirgli che gli avrei spiegato tutto quando sarebbe diventato più grande.
Nonostante questo, non volli mai togliere quel “marchio”. Altre sopravvissute reagirono diversamente e se lo fecero cancellare. Come la mia compagna Graziella. Anche se la sua non fu proprio una scelta, ma una specie di obbligo da parte del marito.
Mi dispiacque per lei, non per la decisione in sé, ma per la modalità. Capii ancora una volta quanto fossi stata fortunata: mio marito mi aveva accolta interamente, con il mio numero e la mia storia. Anzi, quando mi conobbe per la prima volta sulla spiaggia di Pesaro, vide il mio tatuaggio e disse: «So cos’è». Era stato un internato militare in Germania, non c’era bisogno di spiegare altro.
Mi fa un certo effetto oggi vedere tanti giovani che ricoprono la loro pelle di tatuaggi, anche i miei nipoti ne hanno alcuni. Tuttavia capisco che questo gesto abbia un valore del tutto diverso. Innanzitutto è una scelta libera, e forse è un modo di esprimere sentimenti, passioni, ricordi. Un’identità.
Il contrario di quanto accadde a noi, ai quali il numero fu imposto sulla carne per cancellarla. Di recente ho avuto modo di ascoltare, in un incontro organizzato da Oggi, il ballerino e conduttore Stefano De Martino parlare dei suoi tatuaggi. Ha raccontato che da giovane ne ha fatti molti e che ora invece sta iniziando a toglierne alcuni perché rappresentano spesso una fossilizzazione su situazioni e modi di essere del passato oggi superati. Non sarebbe male se il segretario leghista di Bologna seguisse il suo esempio.