MUSEI CON LE PEZZE AL CULO: ORA DEVONO VENDERE L'ARGENTERIA - IL METROPOLITAN MUSEUM DI NEW YORK STA PENSANDO DI VENDERE ALCUNI DEI SUOI CAPOLAVORI PER ARGINARE IL BUCO DA 150 MILIONI DI DOLLARI CAUSATO DAL CORONAVIRUS: LA STRUTTURA, CON 2200 DIPENDENTI E UNA COLLAZIONE DI 500MILA CAPOLAVORI, HA CHIUSO A MARZO E HA RIAPERTO AD AGOSTO CON VISITE PERMESSE AL 25% DELLA CAPIENZA - I SUCCESSI DELLE ULTIME MOSTRE NON SONO BASTATI E ORA SI PENSA DI SCANDAGLIARE I MAGAZZINI PER…

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Anna Lombardi per "la Repubblica"

 

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Il dilemma del Metropolitan Museum di New York: vendere alcuni dei suoi capolavori d' arte per arginare il "buco" da 150 milioni di dollari determinato dal coronavirus. Sì, perfino il celebre museo che svetta sulla Fifth Avenue va annoverato fra le vittime collaterali della pandemia, che sta colpendo duramente pure le istituzioni culturali di mezzo mondo. Costretto a chiudere lo scorso marzo, quando la Grande Mela è andata in lockdown, il Met ha riaperto i battenti il 29 agosto: ma con visite permesse solo al 25 per cento della capienza.

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A risanare le perdite di una struttura con 2200 dipendenti e una collezione di 500mila capolavori, non basta certo il successo di una mostra di successo come About Time - viaggio in 150 anni di storia della moda per scoprirne corsi e ricorsi - che pure domenica scorsa, suo ultimo giorno, ha visto un lungo serpentone di visitatori dipanarsi lungo la sua famosa scalinata, nonostante la neve.

 

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L' idea è dunque quella di affrontare la crisi approfittando della finestra temporale aperta lo scorso 15 aprile dall' Association of Art Museum Directors - l' organizzazione dei direttori di museo - impegnatasi a non sanzionare quegli spazi coi bilanci in rosso, che entro aprile 2022 decideranno di vendere opere delle loro collezioni per coprire le spese di gestione.

 

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Un' opportunità chiamata "deaccession", (rimozione permanente da una collezione museale) finora concessa solo per acquisire nuove opere. «Ci stiamo pensando» ammette Max Hollein, direttore del Metropolitan, al New York Times. «La situazione è piena di incognite e dobbiamo tenere aperta ogni opzione». Per questo, mentre sono già in corso contatti con privati e case d' aste, i curatori scandagliano i magazzini, in cerca di opere da cui separarsi senza dolore. Magari doppioni, cioè copie d' epoca. O "cenerentole" raramente esposte. Per ora, niente è deciso: anche perché il consiglio d' amministrazione del Met - istituzione privata - dovrà intanto approvare l' emendamento alle regole interne nella sua prossima riunione di marzo.

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Ma a New York qualcuno ha già dato l' esempio: a settembre il Brooklyn Museum - una collezione di 160mila pezzi che spazia dall' Antico Egitto al contemporaneo - per far fronte alla crisi è stato costretto a mettere all' asta ben 12 capolavori: comprese opere (scelte fra le più malandate) di Lucas Cranach il Vecchio, Gustave Courbet, Jean-Baptiste Camille Corot.

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L' idea di vendere i propri capolavori per pagare le spese, non piace a tutti: Thomas Campbell, già alla guida del Met fra 2009 e 2017, oggi direttore del Fine Arts Museum di San Francisco, la più grande istituzione pubblica di quella città, se n' è detto addirittura «sconcertato» in un lungo post pubblicato su Instagram: «Conosco i complessi problemi di gestione di quel colosso e ho simpatia per chi lo guida ora. Ma la strada delle cessioni per coprire il deficit è scivolosa. Come una droga rischia di dare dipendenza e diventare la norma ogni qual volta si presenta un problema». Un dilemma quello del Met, di non facile soluzione.

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