È MORTA A 96 ANNI CINI BOERI, ARCHITETTO, FEMMINISTA, PROGETTISTA, DESIGNER, STAFFETTA PARTIGIANA E MADRE DI TITO E STEFANO – IL FIGLIO ARCHITETTO: “NON ABBIAMO MAI LAVORATO INSIEME. PER SCELTA. PARLAVAMO SPESSO DI ARCHITETTURA, IN MODO SINCERO, A VOLTE INFUOCATO” - I PREMI, LE BATTAGLIE POLITICHE E LA LOTTA PER FARSI SPAZIO IN UN MONDO DI MASCHI: AL POLITECNICO GIUSEPPE DE FINETTI LE DISSE: "NON PUOI FARE L' ARCHITETTO! È UNA PROFESSIONE PER UOMINI”, MARCO ZANUSO LE DISSE "CINI, NON HAI I COGLIONI PER FARE L' ARCHITETTO". DIMOSTRÒ A TUTTI CHE SI SBAGLIAVANO.
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1 – CINI BOERI, SIGNORA DEL DESIGN CHE RACCONTÒ L'ITALIA AL MONDO
Stefano Bucci per il “Corriere della Sera”
Architetta proprio negli anni in cui qualcuno sosteneva persino che l' architettura non fosse esattamente cosa da donne. E ancora designer sempre attenta ai desideri (non solo estetici ma anche pratici) dei suoi interlocutori (le aziende come i committenti privati che le chiedevano una casa elegante e raffinata, riconoscibile per uno stile moderno e classico allo stesso tempo).
Maria Cristina Mariani Dameno, coniugata Boeri (nata a Milano il 19 giugno 1924), universalmente nota come Cini Boeri o «la Cini», scomparsa ieri a 96 anni nella sua casa milanese, è stata con la sua eleganza e la sua intelligenza una dei grandi protagonisti dell' Italian Style.
Sembra così quasi logico che «la Cini» (mamma insegnante, padre partigiano, amministratore della basilica di Sant' Ambrogio) se ne sia andata proprio nel giorno dell' assegnazione del Compasso d' Oro, premio da sempre simbolo del design italiano di dimensione internazionale, che aveva vinto nel 1979 per il divano Strips (certamente uno dei suoi gioielli), disegnato nel 1968 per Arflex ed esposto presso la collezione permanente della Triennale di Milano.
Premio che avrebbe bissato nel 2011 quando le era stata conferito il Compasso d' Oro alla carriera (lo stesso anno era stata nominata anche Grande ufficiale al merito della Repubblica dal presidente Napolitano).
Allieva e collaboratrice di Gio Ponti, professionista in proprio dal 1993, Cini Boeri lascia i tre figli: Stefano, architetto (autore del pluripremiato progetto del Bosco verticale) e attualmente presidente della Triennale di Milano, l' economista Tito e Sandro, giornalista. Laureata (in architettura) nel 1951 al Politecnico di Milano (dove insegnerà dal 1981 al 1983 Progettazione architettonica e Disegno industriale) Cini Boeri (sposata con il neurologo Renato Boeri da cui si separa nel 1965), dopo una lunga collaborazione con Marco Zanuso, ha scelto di occuparsi di architettura civile e disegno industriale.
Progettando in Italia e all' estero case unifamiliari, ville (dalla casa per vacanze nel golfo di Abbatoggia, sull' isola della Maddalena, in Sardegna, a quella nel Bosco di Osmate, in provincia di Varese), appartamenti, allestimenti museali, uffici, negozi, dedicando costantemente grande attenzione «allo studio della funzionalità dello spazio e ai rapporti psicologici tra l' uomo e l' ambiente» (come aveva raccontato nel suo libro Le dimensioni umane dell' abitazione , pubblicato nel 1980 da Franco Angeli).
Emblema di una milanesità internazionale che non aveva paura a rimettersi sempre in gioco, esponente (per qualche critico) di «un femminismo architettonico e esistenziale», Cini Boeri ha firmato oggetti ormai diventati elementi essenziali del nostro panorama domestico attuale: la poltrona Bobo (1967), il divano Serpentone (1971), la libreria girevole Double face (1980), tutti per Arflex; il tavolo Lunario (1970) per Knoll; la poltrona trasparente Ghost (1987) per Fiam; il lampadario Feltro (1989) per Venini.
Lo scorso anno la «sua» Milano (quella borghese, colta ed elegante come lei) l' aveva festeggiata con l' Ambrogino d' oro , un nome (quello di Cini) scelto su proposta dall' Anpi provinciale di Milano. Scelta certo non casuale visto che «la Cini», durante la Resistenza, era stata staffetta partigiana.
2 – «DOLCE E IMPLACABILE HA SFIDATO I PREGIUDIZI CON LA FORZA DEL LAVORO»
Annachiara Sacchi per il “Corriere della Sera”
Intellettuale, femminista, progettista, designer, Compasso d' Oro, staffetta partigiana, raffinatissima espressione di una Milano creativa, impegnata e coraggiosa. Poteva sembrare una mamma ingombrante Cini Boeri, con quella vita «bellissima e intensa», la personalità unica, le battaglie politiche, gli incontri, le amicizie (Ferruccio Parri fu suo testimone di nozze).
Non lo è stata, racconta il secondogenito Stefano, architetto come lei, talentuoso come lei. Cini era «tigre e chioccia», attenta e affettuosa, implacabile, «ironica e dolcissima», grande lavoratrice e vestale della famiglia, tre figli, sette nipoti, le amate nuore. È morta così Cini Boeri, nella sua casa milanese, senza soffrire, con i suoi «ragazzi» intorno. «Sapeva tenerci tutti insieme. E insieme siamo stati fino all' ultimo».
Novantasei anni. «Sono tanti», dice Stefano sereno e malinconico, il trambusto nella sua casa-studio nel cuore di Milano, le telefonate di condoglianze, le parole di affetto. «Fino a un anno fa andava in studio la mattina, tutti i giorni. Il lavoro era la sua vita, la teneva in piedi, la stimolava. Anche negli ultimi mesi, nonostante la fatica, continuava a progettare e disegnare, anche con le mani, è sempre stata una disegnatrice di forme, mia mamma».
L' architettura come motore, il senso profondo di un' esistenza che non si è mai concessa momenti di ozio, che ha preferito il lavoro - sempre - a una borghese esistenza da signora milanese. L' impegno alla spensieratezza. Notti a progettare, a fumare - «ha fumato fino a pochi mesi fa, non ha mai smesso» - a discutere con tutti.
Tenace e combattiva in un mondo, quello dell' architettura, che nell' Italia del dopoguerra non era ancora pronto a confrontarsi con le donne progettiste, la Cini e la Gae (Aulenti), «così amiche e così diverse, ma sempre leali una nei confronti dell' altra, rispettose del lavoro altrui».
Continua Stefano: «Al Politecnico Giuseppe de Finetti disse a mia madre: "Non puoi fare l' architetto! È una professione per uomini"». Si laureò nel 1951. Nonostante gli inviti più o meno palesi a rinunciare al cantiere, a fare la moglie e la madre. Durante un incontro del Tempo delle Donne del «Corriere della Sera» nel 2014, Cini raccontò con la sua solita ironia: «Marco Zanuso più brutalmente mi apostrofò: "Cini, non hai i coglioni per fare l' architetto"». Dimostrò a tutti che si sbagliavano.
Il lavoro e la famiglia, i due pilastri a cui Cini non volle mai rinunciare. Ricorda ancora Stefano: «Era fiera del suo Compasso d' Oro (lo ricevette nel 1979 e alla carriera nel 2011), orgogliosa dei suoi successi, pronta in ogni momento a sviluppare nuove intuizioni e collaborazioni. Eppure, nonostante una carriera così importante e totalizzante, per noi c' era, sempre. Concentrata sulle nostre vite, non ci perdeva mai di vista». E il rapporto con il figlio architetto, anzi, con l' archistar del Bosco verticale Stefano Boeri?
«Non abbiamo mai lavorato insieme. Per scelta. Parlavamo spesso di architettura, in modo sincero, a volte infuocato. Ognuno con le sue idee nel segno del rispetto reciproco. Erano confronti molto belli i nostri. E sapevo che la sua porta era sempre aperta per me. Era mia madre».
Nessun complesso? «Nessuno. Anche mio figlio è architetto. E non ci sono conflitti...».
Progressista, milanese che sognava di avere un aereo privato «come Norman Foster per scappare nella natura appena possibile», laica. I funerali di Cini Boeri si terranno domani a Lambrate, ceneri come voleva, come aveva sempre deciso, autonoma e forte, indipendente, «caparbia e dolce, come piace ricordarla a noi figli».
Quei figli per cui Zanuso la prendeva in giro: «Lo sai che i tuoi bambini hanno il testone? Sarà l' intelligenza, mi spiace». E lei: «Provocazioni che non mi ferivano anche perché i miei bambini erano bellissimi». E lui ancora: «Progetti la cappella dell' Asilo nido avendo un suocero mangiapreti?». Risposta: «Mio suocero era solo un repubblicano». La serata in casa Boeri è un susseguirsi di ricordi teneri. Memorie di una vita straordinaria, quasi sempre vissuta nel quartiere di Sant' Ambrogio, vicino alla basilica. Storie di una donna fuori dal comune («morta di vecchiaia, dolcemente»), e di una madre stupenda, unica. Anche se non sapeva «per niente» cucinare.