NON FACCIAMOCI PRENDERE PER IL CAIRO – I PM DI ROMA CHIEDONO IL RINVIO A GIUDIZIO PER I QUATTRO 007 EGIZIANI ACCUSATI DELL’OMICIDIO DI GIULIO REGENI – A FREGARLI SAREBBERO STATE LE DICHIARAZIONI NEGLI INTERROGATORI CONDOTTI DAI MAGISTRATI EGIZIANI, CHE AVEVANO BOLLATO COME “ERRATE E ILLOGICHE” LE CONCLUSIONI DEI COLLEGHI ITALIANI – CHE FARANNO CONTE E DI MAIO? CONTINUERANNO A FARSI FREGARE PER LE FREGATE?
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Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"
La trappola mortale in cui è caduto Giulio Regeni è svelata - almeno in parte - dalle dichiarazioni degli stessi uomini accusati di averla organizzata. Negli interrogatori resi da uno dei quattro militari egiziani ora imputati del sequestro e dell' omicidio del ricercatore friulano, ad esempio, sono contenute affermazioni reticenti, non credibili e a volte contraddittorie che la Procura di Roma considera indizi di una sua diretta responsabilità.
Contribuendo alla richiesta, firmata ieri dal procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco, di processare il generale Tariq Ali Sabir, già ai vertici della National security agency e da poco trasferito a incarichi amministrativi; il colonnello Athar Kamel Mohamed Ibrahim, già capo del Servizio investigazioni giudiziarie del Cairo; il colonnello Uhsam Helmy, anche lui funzionario della National security come il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.
Proprio Sharif - accusato anche delle torture e della morte di Giulio, gli altri solo del rapimento - è stato interrogato cinque volte dalla Procura generale egiziana, tra il 2016 e il 2018. La sua versione dei fatti sembra cucita per sminuire il proprio ruolo, e sostenere che la National security ha svolto solo regolari e normali indagini a carico di uno studente italiano che si comportava in maniera strana, poi prosciolto da ogni sospetto; stessa tesi della magistratura del Cairo, che s' è pubblicamente dissociata dalle conclusioni dei pubblici ministeri di Roma.
Ma proprio quei verbali, trasmessi all' Italia e allegati agli atti del procedimento, mostrano seri dubbi sulla ricostruzione fornita dall' Egitto. Sharif dice che fu il sindacalista Mohamed Abdallah a denunciare «uno straniero che stava svolgendo un' indagine sui venditori ambulanti, e temeva che lo sfruttasse per ottenere informazioni dannose nei confronti dello Stato. Questa persona è Giulio Regeni».
Il generale Sadiq decise di approfondire il caso e Sharif racconta: «Io ho collaborato con Abdallah per arrivare alla verità dei fatti». Però fu il sindacalista, «di sua propria iniziativa», a carpire informazioni sul bando per il finanziamento di 10.000 sterline da parte della società britannica Antipode, anche «fingendo che le sue condizioni finanziarie fossero difficili e che avesse bisogno di soldi per curare la moglie e la figlia».
Sharif dice che la video-registrazione del colloquio tra Abdallah e Regeni del 7 gennaio 2016, quando il ricercatore italiano ribatte bruscamente alle richieste di denaro, fu un' iniziativa del sindacalista: «Propose di registrare gli incontri attraverso il suo telefono cellulare e portarmi le registrazioni per assicurarmi la sua sincerità». Abdallah afferma il contrario, e la conferma arriva dalla sua telefonata alla sede della National security in cui - terminato il colloquio con Giulio - chiede agli agenti di andare a toglierli di dosso la microtelecamera e il microfono che avevano installati sui suoi vestiti.
«Io non so nulla di questo affare e lui non mi ha incontrato quel giorno», insiste Sharif. E di fronte alle pur timide contestazioni sulle telefonate di Abdallah alla sede della Sicurezza nazionale ribatte: «Non ricordo di avere telefonato ad Abdallah e non ricordo con chi ho avuto contatti telefonici quel giorno».
Ai magistrati il sindacalista ha riferito che, dopo la morte di Regeni, Sharif gli aveva raccomandato di non parlare agli inquirenti dei loro rapporti, ma il maggiore replica: «Non è vero. Abdallah mi aveva informato di essere stato invitato per essere interrogato, e io ho risposto invitandolo a recarvisi; mai abbiamo discusso dei particolari dell' interrogatorio che poteva subire».
Molti non ricordo arrivano quando a Sharif viene chiesto delle sue telefonate con l' agente di viaggi Rami Imad, che lo chiamava dopo ogni colloquio con Noura, un' amica di Giulio; una volta alle 3,31 di notte del 20 gennaio, cinque giorni prima del sequestro Regeni: «Non ricordo l' argomento, potrebbe essere stato per il mio viaggio turistico in Grecia, o semplicemente una conversazione normale a causa del rapporto di amicizia». Il militare ribadisce che, verificata l' infondatezza dei sospetti di Abdallah sul ricercatore italiano, la sua struttura se n' è disinteressata, venendo a sapere della sua scomparsa solo dopo il ritrovamento del cadavere, il 3 febbraio.
Abdallah invece ha riferito che Sharif aveva intenzione di controllare le mosse di Giulio proprio il 25 gennaio, anniversario della rivolta anti-regime di piazza Tahir, quando si temevano manifestazioni.
Nelle sue dichiarazioni Sharif non ha mancato di seminare qualche velenosa traccia di presunti moventi sessuali nell' omicidio di Giulio: «Abdallah mi ha detto che Regeni ammirava una delle ragazze che fa la venditrice ambulante, e ha parlato con lui sulla difficoltà nell' avere un rapporto sessuale in Egitto».
I depistaggi smascherati dalla Procura di Roma trovano dunque appigli persino negli interrogatori condotti dai magistrati egiziani. Che hanno bollato come «errate, illogiche e non conformi alle norme penali internazionali » le conclusioni raggiunte dai colleghi italiani. La risposta diplomatico-giudiziaria è arrivata ieri, con la richiesta di rinvio a giudizio dei quattro imputati che i pm vogliono processare anche in loro assenza; dimostrando, come prevede il codice, che «hanno avuto conoscenza del procedimento o se ne sono volontariamente sottratti».
Su questo punto, prima ancora che sugli indizi a loro carico, dovrà pronunciarsi ora un giudice dell' udienza preliminare. Prevedibilmente entro l' estate.