Marino Niola per “il Venerdì - la Repubblica”
Siamo sempre più soli col nostro piatto. Mangiare in compagnia ormai sta diventando un'eccezione. Lo dice una ricerca di Oxford Economics e del Centro nazionale per la ricerca sociale britannico apparsa sul Guardian. Quel che esce è una fotografia preoccupante della solitudine del cittadino globale.
Un inglese su tre mangia abitualmente da solo e nelle grandi città come Londra la percentuale arriva addirittura a uno su due. La vita commensali zero non è più una prerogativa da commessi viaggiatori o da cuori solitari ma uno standard sempre più diffuso. È la convivialità a essere un'eccezione. Il pasto con gli amici e con i propri cari esiste solo nelle immagini edulcorate della pubblicità natalizia.
Oltretutto la maggior parte degli eaters contemporanei consuma pranzi e cene a casa, di fronte al computer o alla tv. A fregarsi le mani sono le industrie del cibo che stanno riempiendo scaffali e frigo di prodotti monoporzione. In primis, hamburger, bistecche verdure e pizza. La razione kappa dell'esercito dei single.
Ci troviamo di fronte a una vera mutazione antropologica che sta cambiando i nostri usi e consumi. In fondo la condivisione del cibo è il più universale dei rituali umani. Addirittura in lingue come lo spagnolo il termine comer, che significa mangiare, deriva da cum-edere, cioè mangiare con. Come dire che l' alimentazione umana è comunicazione con gli altri.
Lo pensavano anche gli antichi Greci che stigmatizzavano come monofagi i masticatori isolati e li consideravano persone pericolose e asociali. Questi dati insomma più che un'evoluzione sono il segno di una regressione del nostro mondo che sta riducendo il cibo quotidiano a pura funzione nutritiva. Un lonely planet nel vero senso della parola. Dove ciascuno dialoga senza poesia con il suo pacchero solitario.