IL PEGGIO DEVE ANCORA VENIRE - IL PORTAVOCE DEI TALEBANI, ZABIHULLAH MUJAHID, IN UN'INTERVISTA AL "NEW YORK TIMES", FA CAPIRE CHE LE "APERTURE" PROMESSE DALLE MILIZIE ISLAMISTE SONO SOLO PAROLE AL VENTO: LE RAGAZZE A SCUOLA SÌ, MA SOLTANTO IN CLASSI SEPARATE, E "QUANDO È POSSIBILE". DONNE AL LAVORO, ANZI: "MEGLIO CHE RESTINO A CASA, GLI UOMINI NON SONO ANCORA PRONTI E POTREBBERO MALTRATTARLE" - VIETATA ANCHE LA MUSICA: "SPERIAMO DI CONVINCERE LE PERSONE A NON ASCOLTARLA, INVECE DI FARE PRESSIONE SU DI LORO"
-1. L'INTERVISTA DI ZABIHULLAH MUJAHID AL "NEW YORK TIMES"
Dagotraduzione dal Daily Mail
In un’intervista al New York Times il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha detto che alle donne sarà permesso tornare al lavoro e spostarsi per andare a scuola o in ospedale, non sarà loro possibile intraprendere viaggi di diversi giorni senza un accompagnatore. E che la musica sarà bandita dal paese.
«La musica è proibita nell'Islam, ma speriamo di persuadere le persone a non ascoltarla, invece di fare pressione su di loro», ha detto Mujahid. Nonostante questo, Mujahid ha sottolineato che questo governo sarà diverso rispetto al precedente. «Vogliamo costruire il futuro e dimenticare quello che è successo in passato», ha detto, respingendo le notizie che parlano di vendette sugli oppositori e sulle dure restrizioni imposte alle donne.
Mujahid ha spiegato al New York Times che i talebani lasceranno le donne tornare al lavoro, purché indossino un copricapo, e ha escluso che costringeranno di nuovo le donne a restare chiuse dentro casa o a coprirsi il volto.
Ha anche dichiarato che chi disporrà dei documenti di viaggi potrà lasciare il paese e che il suo regime non darà la caccia agli ex interpreti e ad altri collaboratori dell'esercito americano, ma ha espresso frustrazione per gli sforzi di evacuazione americani.
«Non dovrebbero interferire nel nostro paese e toglierci risorse umane: medici, professori e altre persone di cui abbiamo bisogno qui», ha detto Mujahid. «In America potrebbero diventare lavapiatti o cuochi. È disumano».
Ma, ha detto, è fiducioso che i talebani potranno costruire buoni rapporti con la comunità internazionale, affermando che hanno già collaborato con i leader internazionali su questioni come l'antiterrorismo, l'eliminazione dell'oppio e la riduzione dei rifugiati in Occidente.
Solo un giorno prima, Mujahid aveva annunciato in conferenza stampa che «fino a quando non avremo una nuova procedura» le donne dovrebbero restare al riparo. «Siamo preoccupati che le nostre forze, che sono nuove e non sono state ancora addestrate molto bene, possano maltrattare le donne», ha detto. «Non vogliamo che le nostre forze, Dio non voglia, danneggino o molestino le donne».
Anche durante il primo governo dei talebani, gli estremisti avevano promesso che le limitazioni sarebbero state temporanee. In attesa che i tempi maturassero, venivano fustigate pubblicamente quando scoperte a violare le regole della moralità, come quella di uscire con il burqa.
«La spiegazione fu che la sicurezza non era buona, e stavano aspettando che la sicurezza migliorasse per dare alle donne più libertà», ha detto Heather Barr, direttore associato dei diritti delle donne presso Human Rights Watch.
«Ma naturalmente quel momento non è mai arrivato - e posso prometterti che le donne afghane che se lo sentono dire oggi pensano che questo momento non arriverà mai nemmeno questa volta». I talebani «stanno cercando di sembrare normali e di essere legittimati e questo durerà finché la comunità internazionale e la stampa internazionale saranno ancora lì», ha detto. «E poi vedremo di nuovo come sono veramente».
2. VIVERE SENZA MUSICA
Giordano Stabile per “La Stampa”
Le ragazze a scuola sì, ma soltanto in classi separate, e «quando è possibile». Donne al lavoro, anzi no, perché «gli uomini non sono ancora pronti». E adesso la musica, «vietata dall'Islam». E quindi niente più canzoni alla radio o in tivù, e fra poco magari distruzioni pubbliche di stereo o autoradio.
Si avvicina la partenza degli ultimi soldati della Nato e il portavoce Zabihullah Mujahid, in un'intervista al New York Times, e appena promosso ministro dell'Informazione, stringe sempre più i paletti delle aperture promesse dai «nuovi» taleban. Mujahid ha rivendicato per anni gli attacchi contro le forze occidentali e, in questo sì, ha aperto all'uso dei social media per la propaganda jihadista.
Un modo per raggiungere e arruolare le nuove leve inurbate nelle periferie. Ma le innovazioni nei mezzi di comunicazione, comprese le prime due conferenze stampa, non significano un cambio di ideologia e valori. Vent' anni prima dell'Isis i guerriglieri in sandali e turbante hanno inventato la più torva dittatura salafita.
Frustare chi non si faceva crescere la barba, o scopriva il volto in pubblico, o veniva sorpreso con un mangiacassette. Se a Mosul andavano in scena le distruzioni di pacchetti di sigarette o pipe della shisha, a Kabul c'erano quelle dei videoregistratori. In attesa di un governo «inclusivo», Mujahid ha comunque precisato che non ci sarà «democrazia», e quindi elezioni, e che il nuovo Emirato, come il primo, sarà retto dalla sharia. Una legge islamica dall'interpretazione molto rigida, perché gli studenti barbuti sono allievi della corrente del predicatore indo-pachistano Abu al-Ala Maududi, una delle più conservatrici al mondo, appena un passo prima delle follie dell'Isis.
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I blitz nelle redazioni delle radio, banche, negozi sono ancora estemporanei ma indicano la strada, una discesa, neppure troppo lenta, verso i tempi cupi del mullah Omar. E ancora Mujahid ha ribadito che «non accetteremo interferenze nei nostri affari religiosi». Punto. La restaurazione jihadista procede. I taleban hanno prima preso in mano la gestione della sicurezza, compreso attorno all'aeroporto, e l'hanno affidata ai loro reparti speciali Sara Kheta, cioè rossi come il sangue, e alla branca guidata da Khalil Haqqani, un terrorista con una taglia da cinque milioni di dollari sulla testa. Hanno occupato con le armi la camera di commercio, poi lo strategico Hotel Intercontinental, vietato alle donne di lavorare e adesso proibito la musica.
La scadenza del 31 agosto si avvicina. Una volta partiti gli ultimi seimila uomini della Nato avranno mano libera, o quasi. Perché qualche freno, rispetto ai tempi del mullah Omar, debbono prenderlo in considerazione. La Kabul di oggi non è quella del 2001. L'economia si è sviluppata ma dipende per il 42 per cento dagli aiuti esteri, il Pil pro-capite è passato da 900 a 2100 dollari, il settore terziario si è espanso e anche i sudditi del mullah Baradar e dell'emiro Haibatullah hanno bisogno di competenze. Lo stesso Mujahid ha detto di non apprezzare la fuga di decine di migliaia di talenti dal Paese.
E ha promesso che il nuovo Stato impedirà il ripetersi di un altro 11 settembre anche se poi, in una delle tante contraddizioni, ha insinuato che il responsabile non fosse Osama bin Laden. I taleban hanno bisogno di soldi. L'intero ammontare delle riserve dell'Afghanistan, nove miliardi di dollari, è custodito nelle banche americane. Se Washington chiude i rubinetti nel giro di poche settimane mancheranno i beni di primo consumo e l'inflazione esploderà. E questa la vera arma di pressione di Europa e Stati Uniti.