Simona Verrazzo per “il Messaggero”
Dal premio Nobel per la Pace alla guerra civile. È quello che sta succedendo in Etiopia, che a un anno dall' assegnazione del prestigioso riconoscimento si trova di nuovo sotto i riflettori ma per il motivo opposto, sull' orlo di un conflitto interno che rischia di riportare il paese africano nella spirale di violenza, fame e morte in cui ha vissuto per decenni.
Da settimane sono in corso combattimenti nella regione settentrionale del Tigray (o Tigré), al confine con l' Eritrea e il Sudan, e gli ultimi aggiornamenti parlano di attacchi aerei che hanno fatto dozzine di vittime.
guerra nella regione del tigray
L' ONU
Un' escalation che ha spinto a intervenire, chiedendo che si fermino le armi, anche le Nazioni Unite e l' Unione Africana, con quest' ultima che proprio ad Addis Abeba ha il suo quartier generale. E come un anno fa l' attenzione è tutta per il primo ministro etiope, Abiy Ahmed Ali.
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Sembra passato un secolo ma era l' ottobre del 2019, quando gli è stato assegnato il premio Nobel per la Pace per il suo impegno sfociato con la ripresa dei rapporti diplomatici con la vicina Eritrea. Eppure oggi Abiy, che con i suoi 44 anni è il leader più giovane d' Africa, è finito nel mirino per l' uso della forza nel Tigray.
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La regione settentrionale da sempre rivendica la propria indipendenza rispetto ad Addis Abeba: la lingua tigrina è la stessa parlata nella vicina Eritrea. E Abiy ha accusato Asmara di aver inviato le sue truppe in sostengo degli indipendentisti del Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray (Tplf), violando i confini.
abiy ahmed ali nobel per la pace
Il bollettino giornaliero degli scontri parla dell' esercito etiope che occupa l' aeroporto di Humera, che sorge nello strategico punto di incontro con le frontiere di Eritrea a Sudan. Oltre a Humera e al capoluogo Macallè, nel Tigray si trova la città di Axum, con la stele riconsegnata dall' Italia e la chiesa in cui sarebbe conservata l' arca dell' Alleanza, la cassa in legno d' acacia dove erano conservate le Tavole della Legge date da Dio a Mosé sul Monte Sinai.
Gli analisti non mancano di sottolineare come l' Etiopia sia di nuovo davanti a uno scontro tra le tantissime componenti della sua società, sempre con la supremazia dell' etnia degli Oromo, di lingua amarica, a cui appartiene anche Abiy Ahmed Ali.
Un conflitto interno potrebbe destabilizzare l' intera regione del Corno d' Africa, dove i rapporti sono già tesissimi anche per il progetto della diga sul Nilo. E il premier, con le proteste che continuano da questa estate, sembra sempre più barricarsi nella sua carica, arrivando a decapitare i vertici della Sicurezza, il capo dell' Esercito, quello dell' Intelligence e il ministro degli Esteri.
LE OMBRE
PROTESTE CONTRO AUNG SAN SUU KYI PER IL MASSACRO DEI ROHINGYA
La parabola di Abiy Ahmed Ali riporta d' attualità il dilemma di assegnare il premio Nobel per la Pace ai leader politici. Le ultime ombre si sono allungate sulla birmana Aung San Suu Kyi, premiata nel 1991, in passato icona dell' opposizione pacifista e democratica e adesso accusata di connivenza con il regime nella repressione verso la minoranza islamica dei Rohingya.
Le polemiche hanno investito anche l' ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a cui il prestigioso riconoscimento è stato assegnato nel 2009, a neanche un anno dall' inizio del mandato: i suoi detrattori ne sottolineano il ruolo nella guerra in Libia, con gli Stati Uniti impegnati nell' operazione Nato che ha portato alla destituzione di Muammar Gheddafi nel 2011.
barack obama incontra aung san suu kyi 5
E se questi sono i due casi più noti, altri Nobel per la Pace sono finiti nel mirino. L' ex presidentessa della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, è stata scelta nel 2011 ma poi accusata di brogli elettorali quando rieletta quello stesso anno. Nello scandalo è finito l' istituto di micro-credito Grameen Bank, del bengalese Muhammad Yunus, insignito nel 2006, così come l' ex presidente colombiano Juan Manuel Santos, premiato nel 2016 per l' accordo con le Farc ma costretto un anno dopo a scusarsi per i finanziamenti illegali delle sue campagne elettorali.
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