1. LA RIVOLTA DI IPHONE CITY
Lorenzo Lamperti per “La Stampa”
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Un'armata bianca, con tute protettive e manganelli. Un esercito di lavoratori che cerca di fuggire dall'immenso stabilimento della Foxconn diventato prigione. Poi gli scontri, violenti. Sullo sfondo la cosiddetta "iPhone City" di Zhengzhou, provincia cinese dello Henan. Non un luogo come un altro: il colosso fondato a Taiwan assembla circa il 70% dei telefoni venduti da Apple. La maggior parte proprio nella fabbrica di Zhengzhou. Scene fuori dall'ordinario, anche in una Cina ancora blindata per la strategia zero Covid e spesso teatro di episodi che sembrano sconfinare nella follia.
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Nonostante un'insofferenza piuttosto diffusa per le restrizioni, è raro assistere a una protesta violenta come quella esplosa nelle prime ore di ieri, quando i lavoratori dello stabilimento sono usciti in massa dai dormitori e hanno affrontato la sicurezza dopo aver abbattuto le barricate dentro le quali sono confinati. Già qualche settimana fa, molti dipendenti erano scappati dallo stabilimento per evitare di restarvi intrappolati in quarantena. Molti erano fuggiti a piedi per le campagne.
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Da allora Foxconn ha imposto un sistema a ciclo chiuso, creando una bolla che costringe il personale a vivere e lavorare in loco, isolato dal mondo esterno. Ha poi offerto bonus quadruplicati per convincere i dipendenti a lavorare in un impianto che si è sempre vantato dei suoi incessanti ritmi produttivi: oltre 200 mila dipendenti (prima del caos pandemico) operativi in lunghi turni scaglionati 24 ore su 24.
Proprio il mancato pagamento dei premi sarebbe alla base della rivolta, insieme alle condizioni igieniche e al timore della diffusione di un immenso focolaio all'interno della "iPhone City".
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Chi è fuggito a ottobre racconta di scarsità di cibo, cattiva igiene e dormitori condivisi tra colleghi sani e positivi. L'azienda nega tutto. I lavoratori hanno rotto finestre e telecamere di sorveglianza, alcuni mezzi della polizia sono stati circondati e assaltati. «Dateci il nostro stipendio», si sente gridare in alcuni video sui social. C'è anche chi incita alla lotta contro la sicurezza, la cui risposta è stata dura. Sul posto sono arrivati gli agenti in tenuta antisommossa e diversi lavoratori sono rimasti feriti.
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Il caos alla Foxconn può avere conseguenze serie per Apple. A Zhengzhou vengono prodotti quattro telefoni di ultima generazione su cinque e la maggior parte degli iPhone 14 Pro. Dopo l'inizio del focolaio, Cupertino ha già ammesso che le spedizioni degli smartphone di fascia alta saranno inferiori a quanto previsto. Il tutto proprio in vista del picco di acquisti del periodo natalizio.
Secondo alcune stime, la produzione di Zhengzhou potrebbe crollare fino al 30% a novembre. Le nuove proteste rischiano di rallentare il ritorno alla piena capacità produttiva, causando un impatto ulteriore sulle spedizioni.
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Il caso simboleggia il tormentato momento vissuto da una Cina che sembra sull'orlo di una crisi di nervi.
Nei giorni scorsi, anche a Guangzhou si era protestato contro le restrizioni. In molti speravano che dopo il XX Congresso del Partito comunista di ottobre la strategia zero Covid voluta da Xi Jinping potesse andare in archivio. Per ora non è così, nonostante qualche timido segnale di allentamento. Anche perché secondo gli esperti una riapertura improvvisa potrebbe portare a un collasso del sistema sanitario. Solo il 40% degli ultraottantenni ha ricevuto tre dosi di vaccino.
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E i sieri disponibili in Cina restano solo quelli autoctoni. A Shanghai, secondo il media cinese Caixin, si progetta di costruire un centro di quarantena permanente da 221 milioni di dollari con contratti di due anni per il personale. Segnali che non confortano e aggiungono incertezza sia ai cittadini sia alle grandi aziende internazionali. Non è forse un caso che Elon Musk, che ha molti interessi in Cina con Tesla, stia volgendo lo sguardo verso Seul. Ieri, in un colloquio col presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, ha parlato della possibile apertura di uno stabilimento per auto elettriche.
2. CINA, FOXCONN SI SCUSA DOPO PROTESTE IN FABBRICA DI IPHONE
Da ANSA-AFP
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Il gigante tecnologico taiwanese Foxconn si è scusato per un "errore tecnico" nei suoi sistemi di pagamento dopo che sono scoppiate violente proteste per salari e condizioni di lavoro nella sua vasta fabbrica di iPhone nella Cina centrale. "Il nostro team ha esaminato la questione e ha scoperto che si è verificato un errore tecnico durante il processo di onboarding", si legge in una nota. "Ci scusiamo per un errore di input nel sistema informatico e garantiamo che la retribuzione effettiva è quella pattuita.".
I disordini all'impianto di Zhengzhou hanno portato diversi dipendenti a distruggere telecamere di sorveglianza e finestre mercoledì mentre centinaia di altri lavoratori protestavano presso lo stabilimento di Zhengzhou, in inedite scene di dissenso in Cina, innescate dalla frustrazione per le stringenti anti-Covid, per i bonus non pagati e per l'accusa di mancata separazione tra i neo assunti e i vecchio personale.
Nei vari video postati sui social, i lavoratori hanno dichiarato di essere stati informati che Foxconn intendeva ritardare il pagamento dei bonus, mentre altri si sono anche lamentati di essere stati costretti a condividere i dormitori con i colleghi risultati positivi al Covid. "Il nostro team ha esaminato la questione e ha scoperto che si è verificato un errore tecnico", ha affermato Foxconn nella nota, garantendo che "la paga effettiva sarebbe stata la stessa concordata nei manifesti ufficiali di reclutamento".
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Le proteste più grandi si erano placate e la società stava comunicando con i dipendenti coinvolti in proteste minori, con lo scopo di risolvere i problemi e soddisfare le richieste dei lavoratori. Lo stabilimento di Zhengzhou impiega attualmente più di 200.000 persone per realizzare dispositivi della Apple, inclusi gli iPhone 14 Pro e Pro Max.