Morello Pecchioli per “la Verità”
Promettiamo di avere il massimo rispetto del lettore e di intingere la penna nella prudenza più assoluta, ma l' argomento di questa puntata de La storia in tavola è inevitabilmente grossolano, in alcuni casi scurrile. Qui si parla, infatti, della cucina volgare. Di quei cibi, piatti e vini entrati nel comune linguaggio alimentare con nomi più da postribolo che da focolare domestico. Alcuni li usiamo così spesso che ormai profumano di bucato e nemmeno più ci ricordiamo della loro origine prosaica.
Chi mai arrossisce ordinando al banco della gastronomia tre etti di culatello? O chi sente il bisogno di confessarsi per aver gustato una puttanesca in trattoria? A Moena, paesone tra la Valle di Fassa e quella di Fiemme, non sognatevi di disprezzare il puzzone: i trentini sono brava gente, ma guai a chi disprezza il loro formaggio tipico. E i pasticceri vicentini non hanno scrupoli di servire una fetta di putana ai minorenni. Ecco una lista di vivande «sconce». Antipasti: cazzimpèrio e affettati: culaccia, palle del nonno, coglioni di mulo.
Primi piatti: spaghetti alla puttanesca, bigoli alle sarde, cazzetti d' angelo, strangolapreti.
Secondi: brandacujun, pollo cusitu 'nculo, cassoeula. Contorni: cazzilli di patate, grattaculi. Formaggi: zizzona (tettona) di Battipaglia, bastardo del Grappa, puzzone di Moena.
Dolci a scelta tra la putana, minni (tette) di virgini, zizze di monaca, frittelle. O, per dirla alla veneta, fritole. Dalla lista dei vini: passerina, pecorino (bianchi), toccaculo di Basilicata e nero di Troia (rossi).
Il cazzimperio romano è un pinzimonio: olio d' oliva extravergine, sale e pepe. Vi si intinge ogni tipo di ortaggio crudo: finocchio («Honi soit qui mal y pense»), carote, zucchine, peperoni, rapanelli, sedano, pomodoro, carciofo.... Troviamo il cazzimperio in un sonetto romanesco di Giuseppe Gioachino Belli: «Co ssale e ppepe e cquattro gocce d' ojjo/ poderissimo facce er cazzimperio» (1831). Trilussa, cento e passa anni dopo, spedisce un generale di Nerone a far la spia in un' osteria: «E, lì, se tinse er grugno de carbone,/ se messe una giaccaccia e serio serio/ agnede a l' osteria der Cazzimperio/ framezzo a li gregari de Nerone».
Cosa c' entra l' organo sessuale maschile con il condimento e gli ortaggi? Niente. La parola deriva da «cazza», antico sinonimo del mestolo. Stesso discorso per la cassoeula, tradizionale piatto milanese fatto con verze e varie parti povere del maiale (costine, piedini, orecchi, cotenna...). Anche la cassoeula richiama il cucchiaio di legno per mescolare.
Le palle del nonno e i coglioni di mulo sono due salumi tradizionali umbri, tipici di Norcia. A richiamare i gioielli del povero nonno o gli zebedei dell' equino è la forma pendula dei due insaccati. Le palle del nonno si distinguono per il budello a nido d' ape. I coglioni del mulo, chiamati così anche perché un tempo si utilizzava, probabilmente, un' aggiunta di carne asinina, hanno inserito un pezzo di lardo aromatizzato tra la carne insaccata. I gourmet consigliano di affinare il salume nel vino rosso.
Lazio e Campania si contendono la creazione degli spaghetti alla puttanesca, molto saporiti grazie agli ingredienti usati: alici, olive, capperi, pomodori, aglio e olio d' oliva. Sul nome ci sono due scuole di pensiero. La prima parla di un piatto svelto, energetico, preparato nelle case chiuse per dar vigore ai clienti. L' altra attribuisce il piatto a un ristoratore ischitano, Sandro Petri, che, ad una brigata di amici arrivata a cucina chiusa, preparò «una puttanata qualsiasi» con quello che era rimasto in dispensa. Il piatto, molto apprezzato, finì stabile in menu col nome di puttanesca. Totò, molto bravo a cucinarla, ne andava pazzo.
Nel volgare veneto i bìgoli indicano l' organo sessuale maschile. Sono un tipo di pasta fresca, lunga e di diametro più grosso rispetto agli spaghetti. Si preparano da tempo immemorabile con un attrezzo chiamato torcio. Più espliciti i cazzetti d' angelo, pasta di forma esplicitamente fallica creata a Roma per fini goliardici o turistici. Gli strangolapreti sono gnocchi tipici della cucina povera trentina, fatti di pane raffermo e spinaci e serviti con burro fuso e salvia. Sono presenti, come gnocchi e gnocchetti, anche in Puglia, dove li chiamano strangulaprevati e sono fatti con le patate, in Calabria, strangugiapreviti, a Napoli strangulapriévete.
Legati al dominio dello Stato Pontificio nell' Italia centrale, sono gli strozzapreti, pasta secca diffusa in Romagna, Marche, Umbria, Lazio. Il Belli li cita spiegando che sono «cannelletti di pasta prosciugata lunghi un pollice da condire con il sughillo», il sugo d' arrosto. Secondo una diceria anticlericale i preti che non temevano il peccato di gola ne mangiavano fino a strozzarsi (come il popolo affamato si augurava).
Il brandacujun ci porta in Liguria. È un antico piatto di mare che si conservava a lungo nelle stive dei velieri. Gli ingredienti principali sono lo stoccafisso e le patate. Il pesce, una volta bollito, veniva mantecato in una salsa fatta con aglio, olio extravergine, pinoli, prezzemolo, succo di limone, sale e pepe. Un' operazione che i marinai compivano brandando (scuotendo) il tegame dello stoccafisso tenuto tra le gambe. Difficile farlo con il rollìo che agitava la nave e i corbelli dei marinai.
A celebrare il pollo cusuto 'nculu ci ha pensato Checco Zalone in una divertentissima parodia dei Negramaro, a Zelig. La pietanza è salentina. Si prende un pollo rigorosamente ruspante al quale vanno tolte, dal sottocodrione, le interiora. Queste si tritano e si rimettono nel pollo passando per la stessa strada, insieme a un battuto di pancetta, uova, formaggio e aromi vari. Verdurine tenere da tempo consumate a Roma e nel Lazio sono i grattaculi, talli di zucchina da cuocere in olio e aglio. I peluzzi di cui sono ricoperti grattano le chiappe di chi li raccoglie.
Sono palermitani i cazzilli di patate, crocchette di forma fallica fritte in olio e condite con sale, pepe e vari aromi. Chi ha mangiato la zizzona non se la dimentica più, sia per la forma di un seno di settima taglia, con tanto di capezzolo, sia per la bontà. Tipica di Battipaglia, è una mozzarella extralarge che, quando la tagli, ti riempie il piatto di latte. Prima del film Benvenuti al Sud con Claudio Bisio era nota solo a livello locale, ora si trova nelle gastronomie dei supermercati.
Sfilata di poppe anche tra i dessert. Ad Agrigento le minni di virgini, le tette delle vergini, ricordano il brutale martirio di Sant' Agata, pia vergine vissuta nel III secolo dopo Cristo, alla quale furono strappati i seni con una tenaglia. Il dolce, fatto a mammella con l' aureola in cima, è nato nel XVIII secolo in un convento di monache. Si conosce il nome della suora pasticcera: Virginia Casale di Rocca Menna, e il convento dove nacque tanta bontà: il Collegio di Maria di Sambuca. Dolci simili si trovano a Napoli, le zizze di monaca, e in Abruzzo: le sise delle monache.
I capezzoli di Venere sono un bonbon che si produce a Legnago, nel Basso Veronese, dove si produce pure la gnocca di castagne. Sono divenuti celebri grazie al film Amadeus, dove si vede Antonio Salieri (1750-1825), musicista alla corte di Giuseppe II, imperatore d' Austria, mangiarli golosamente. È nota l' invidia e l' odio che Salieri provava nei confronti di Wolfang Amadeus Mozart. Si dice, falsamente, che lo avesse addirittura ucciso. Che sia per vendicare il concittadino che il pasticcere salisburghese Paul Fürst ha contrapposto ai capezzoli di Salieri le palle di Mozart?