QUANDO CORRADO TEDESCHI PERSE LA VERGINITÀ A BUCKINGHAM PALACE – IL RACCONTO DEL CONDUTTORE A "GENTE": “AVEVO 14 ANNI, IN UN PUB DI LONDRA CONOSCEMMO UN 18ENNE NAPOLETANO CHE LAVORAVA A PALAZZO. SI AVVICINARONO TRE RAGAZZE INGLESI E LUI DISSE ‘ANDIAMO NEL MIO APPARTAMENTO’ - IO ERO STATO SCELTO DA DIANE, PORTAVA I COLLANT E MI ILLUMINÒ SULL'ANATOMIA FEMMINILE - QUALCHE DISASTRO CON LE DONNE L’HO COMBINATO. A VOLTE HO TENUTO I PIEDI IN DUE SCARPE..." 

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Estratto dell’articolo di Francesco Vicario per “Gente”

 

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Chiudete gli occhi e pensate a un seduttore contemporaneo. Vi verrà di sicuro in mente un tatuo-palestrato, genere “Temptation Island”, tutto ammiccamenti (magari favoriti da qualche punturina di botox) e congiuntivi zoppicanti. Poi apriteli, gli occhi, e guardate il signore classe 1952.

 

Corrado Tedeschi sembra essere nato in abito sartoriale e cravatta. Forma che in questo caso è al contempo sostanza, tratto distintivo di un uomo che val la pena conoscere in una chiacchierata d'estate inoltrata, in cui emergerà il tema dell'amore, parte integrante di una vita segnata dalla fama e che oggi ben si presta al bilancio. Con qualche sorpresa.

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Ecco, a proposito di giacca e cravatta: lei ne ha fatto una firma. Molte signore si chiederanno: dove sono finiti gli uomini così?

«Siamo qua, siamo pochi, ma resistiamo in nome della gentilezza, nel senso dantesco della nobiltà d'animo, qualità che oggi viene scambiata per debolezza. Ma d'altra parte sono cresciuto così, figlio di un ammiraglio di Marina che due ore prima di morire si presentò a tavola, appunto, in giacca e cravatta. […]».

 

A che età ha scoperto questa predisposizione?

«(Ride, ndr). Nell'estate dei miei 14 anni. Ero a Londra a imparare l'inglese con mio fratello Umberto, di quattro anni più grande. Sta di fatto che una sera, in un pub, conosciamo questo ragazzo napoletano, pure lui 18enne, come Umberto. Loro si mettono a chiacchierare e a un certo punto si avvicinano tre ragazze inglesi. Insomma, dopo un po' decidiamo di muoverci, e il napoletano dice: "Andiamo tutti a casa mia"».

 

Cliché.

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«Certo, fino a quando, in taxi, ci dice che casa sua è Buckingham Palace».

 

Prego?

«Figuriamoci, pensiamo. E invece l'auto si avvicina al palazzo, arriviamo al cancello e le guardie non solo ci fanno passare, ma lo salutano come fosse uno di casa».

 

Adesso non mi di dica che l'allora principe Carlo parlava napoletano...

«Il ragazzo era in effetti di casa, ma perché a Buckingham Palace ci lavorava, faceva il cameriere. Arrivammo al suo appartamentino, mettemmo un disco e finita la musica si spensero le luci. Io ero stato scelto da Diane, dieci anni più di me, che mi illuminò sulla conformazione dell'anatomia femminile. E portava i collant. Una notte indimenticabile».

 

E chissà quante altre notti indimenticabili, Tedeschi. Lei ha vissuto, da volto televisivo, l'edonismo berlusconiano degli Anni 80.

«[…] Di giorno ero il classico dirigente in doppiopetto e bottoni dorati, di notte infilavo i jeans e andavo nelle radio private locali. Fu la mia ex moglie, Francesca, la mamma di mio figlio Jacopo, a iscrivermi a un concorso in Rai, “Un volto per gli Anni 80”. Lo vinsi – la prova finale consisteva in un’intervista a Gianni Boncompagni, che mi aiutò tantissimo – e iniziai. Poi arrivarono Doppio slalom e Il gioco delle coppie, per Canale 5».

 

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Periodo d’oro.

«Si guadagnava tantissimo, è vero, anche se i soldi non sono mai stati il punto car- dine della mia vita. Ma soprattutto, che sensazione fantastica, la mattina chiude- vo il portone di casa alle mie spalle e non sapevo che cosa sarebbe successo quel giorno. Ero drogato di felicità, pur non avendo mai assunto sostanze».

 

Più assediato dalle fan o dalle star?

«Non entrerò nei dettagli, altrimenti che gentiluomo sarei? Ma di quegli anni conservo il ricordo di una bella storia, con Rossana Casale. Poi qualche disastro l’ho combinato. A volte ho tenuto i piedi in due scarpe. E l’ho pagata». […]

 

Dopodiché, la lucina rossa della diretta le manca?

«Non posso negarlo».

 

E perché si è spenta?

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«Io ho sempre condotto programmi che hanno fatto più ascolti di quelli che venivano richiesti. Per qualcuno questi risultati contano, per altri no».

 

È un discorso che vale sia per la Rai che per Mediaset?

«Mediaset è un’azienda privata e possono fare quello che vogliono. Poi certo, se devo dirla tutta, dopo anni e anni di successi clamorosi mi hanno un po’ dimenticato. In Rai ho condotto molte trasmissioni come Cominciamo bene, poi ho avuto contratti da ospite, ma negli ultimi due anni, invece, niente.

 

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Nella televisione pubblica bisogna sempre fare i conti con due elementi: gli agenti potenti e la politica. Ci si stupisce di qualche conduttore che se ne va, vedi Fazio, ma non c’è niente di scandaloso: si chiama alternanza. E non è certo andato a stare male». […]

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