QUEI CENTO CENTIMETRI CHE SEPARANO L'ESISTERE DAL VIVERE - MAURIZIO DE GIOVANNI SULLA FINE DEL DISTANZIAMENTO: "DA LUNEDì SARA' ABOLITO IL METRO DI DISTANZA CHE FINO AD OGGI HA GOVERNATO I NOSTRI MOVIMENTI - BISOGNERA' CHE SIA UN ADDIO E NON UN ARRIVEDERCI, E CHE OGNI GIORNO SIA MIGLIORE DEL PRECEDENTE E PEGGIORE DEL SUCCESSIVO - E' LA PRIMA VERA BUONA NOTIZIA DA MOLTI MESI: BASTA COL CRITERIO DEL CONGIUNTO, DEL CONVIVENTE, DEL CONFINANTE E DEL LIMITROFO..."
È sperabile che tra qualche anno sarà divertente parlare del metro che venne meno all'inizio di ottobre del Ventuno. Cento centimetri che con il passare del tempo a noi distanziati sono sembrati mille, diecimila. Certo, bisognerà che sia un addio e non un arrivederci; e che come sempre dovrebbe accadere, a partire da oggi ogni giorno sia migliore del precedente e peggiore del successivo.
Bisognerà aver dimenticato molte cose, immergendosi in una ripresa che avrà il colore e il sapore di un dopoguerra, come quando agli inizi degli anni Sessanta del Novecento si divenne finalmente consapevoli che la guerra era finita, che le macerie erano state rimosse e che si poteva solo migliorare.
Bisognerà che, come nel terzo atto di Napoli Milionaria, nessuno abbia più voglia di sentire incombente il pericolo e che la malattia e la morte siano definitivamente dietro le spalle; e che i reparti di terapia intensiva siano ormai vuoti, con i letti liberati per le ordinarie emergenze.
Dovrà insomma essere dimenticato il rischio della vita, e la lotta a questo invisibile terribile nemico dovrà essersi ridotta a una punturina da fare a inizio della brutta stagione, magari comprensiva di quella per l'influenza generica, quella non legata a oscuri laboratori orientali e a pipistrelli infetti venduti in mercati cinesi (che poi, ci chiediamo con un brivido a chi venga mai voglia di comprare un pipistrello a fini alimentari).
E dovremo, per parlarne con leggerezza, aver dimenticato curve e grafici e virologi divenuti divi del piccolo schermo, dai gravi accenti e dalle nere previsioni. Le scuole dovranno essere pienamente popolate, come negozi e uffici; e il mondo dovrà essere di nuovo un luogo sicuro, in cui saranno visibili i sorrisi e ci si potrà salutare con un cenno del capo, consapevoli dell'altrui gradimento verso il nostro cenno.
E non si dovrà più avere l'impressione straniante di essere diventati sordi, per le parole attutite da barriere FFp2 e l'impossibilità di integrare i suoni percepiti con un minimo di lettura delle labbra. Al sottoscritto, in particolare, il Covid ha portato un'ulteriore brutta notizia: la certezza di un'ipoacusia galoppante.
Di tante, troppe cose brutte accadute negli ultimi anni, la peggiore è sicuramente stata il cosiddetto distanziamento sociale. Certo, le perdite subite e le immagini dei camion carichi di bare in fila nelle strade deserte sono una ferita impossibile a rimarginarsi; e nessuno potrà dimenticare i pomeriggi passati a fissare dalle finestre il silenzio di città abbandonate.
Ma il non potersi abbracciare, il non potersi stringere ha inciso non poco nel venir meno del coraggio e nell'incremento della paura. È per questo che oggi la notizia dell'abolizione del metro di distanza necessario in ogni luogo aperto e chiuso come misura preventiva del contagio riveste un'importanza molto maggiore di quella che potrebbe apparire, nelle pieghe del susseguirsi di intese e malintesi interni ed esterni a maggioranze e minoranze, di estimi e di catasti, di piani e di resilienze.
Ci spingeremmo quasi ad affermare che, sotto l'aspetto simbolico, è la prima vera buona notizia da molti mesi; e che per molti versi potrebbe segnare l'inizio della vera ripresa, quella sperabilmente senza ritorno. Ci pensate? Basta col criterio del congiunto, del convivente, del confinante e del limitrofo. Ci si potrà urtare casualmente, si potrà capitare seduti vicini al cinema o al teatro e perfino scambiarsi opinioni sul film o sullo spettacolo.
Si potranno fare file senza guardarsi in cagnesco nel momento in cui inavvertitamente si arriva a novanta centimetri di distanza, e si potrà forse anche starnutire al chiuso, se proprio scappa, senza essere fissati con riprovazione come terroristi.
Dietro semplice esibizione di una schermata del telefonino o di un foglio stampato a casa ci si potrà stringere la mano e parlarsi confidenzialmente avvicinandosi a distanza d'orecchio. Si potrà fare amicizia. Si potranno fare nuovi incontri, stringere conoscenza con persone che non abitano nello stesso appartamento senza sentirsi in colpa.
Si potrà recarsi a uno spettacolo, a un incontro culturale o a un evento sportivo decidendolo anche all'ultimo minuto, senza prenotare a pioggia sulla rete, nella speranza di rientrare nel ristrettissimo numero degli ammessi al venticinque per cento. Si potrà sedere sotto lo stesso sole e davanti allo stesso mare, o sulla stessa terrazza di fronte al panorama.
Si potrà salire su un aereo o su un treno senza rintanarsi sulla parete del veicolo, lanciando occhiatacce acciocché nessuno osi avvicinarsi troppo. Un metro è un metro, in fondo. Meno di un passo, un po' più della maggior parte delle braccia. Ma è diventata in quest' epoca buia una distanza siderale, perché quel metro ha diviso me da te, e noi da loro.
Ha imposto paura, incertezza, pessimismo e soprattutto solitudine. Per questo, tra tante cose, sarà proprio questo metro che non dovremo dimenticare. Perché quel metro per due anni ha separato l'esistere dal vivere; e ora che non c'è più, la sua assenza dovrà accompagnare la voglia di rinascere.