QUESTA ESTATE TUTTI SUL LETTINO… DELLO PSICOLOGO – LA PANDEMIA NON È SOLO UNA GRAVE EMERGENZA SANITARIA, MA CREA MALESSERE PSICOLOGICO E SOCIALE – LO PSICOANALISTA STEFANO CARPANI: “DOBBIAMO IMPARARE A DIRCI CHE È UN MOMENTO DI ANSIA E ANGOSCIA, DI SOSPENSIONE DELLE CERTEZZE. DOVE VENGONO A MANCARE I RITI COLLETTIVI  COME QUELLI INDIVIDUALI: SOLO ACCETTANDO QUESTA TRISTEZZA DI FONDO RIUSCIREMO A SUPERARLO”

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Raffaella Silipo per “la Stampa”

 

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Il mondo sul lettino dell' analista. La pandemia non è solo una grave emergenza sanitaria, ma sta dando vita a un gigantesco laboratorio di malessere psicologico e sociale, un disturbo da stress post-traumatico globalizzato, cui ogni Paese risponde a suo modo, oggi e nei mesi a venire: tedeschi disciplinati, italiani ansiosi, svizzeri portati alla rimozione.

 

«E' indubbio che alcuni caratteri nazionali spuntino fuori nei momenti di crisi, anche se generalizzare è sempre un rischio». Stefano Carpani è uno psicoanalista della generazione Erasmus: 41 anni, milanese, laurea in Filosofia alla Cattolica e dottorato in sociologia a Cambridge e Manchester. Vive a Berlino con la moglie spagnola e tre figlie ed è psicoanalista-in-Training al Carl Gustav Jung Institute di Zurigo.

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«Sono cresciuto come cittadino del mondo - dice - eppure l' ultima volta che ho viaggiato da Milano a Zurigo a fine febbraio (un percorso fatto centinaia di volte) mi sono sentito trattato da appestato. La prima reazione alla crisi di Germania e Svizzera è stata quella di negazione, di rimozione.

 

Fingevano che il Covid fosse un problema italiano, perché noi siamo più calorosi, ci tocchiamo di più. E anche perchè, naturalmente, siamo più vicini tra generazioni, alle famiglie di origine, mentre da loro i vecchi vivono tra vecchi e i giovani tra giovani. Invece la prima reazione italiana è stata un po' isterica».

 

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A emergenza conclamata le differenze restano, ma di diverso tipo: «I popoli del Nord sono più disciplinati, non si muovono da casa, non hanno bisogno di sanzioni. È la loro forza e il loro limite. Noi siamo più irrequieti ma più creativi». Per questo, dice Carpani, «finita la crisi, ci sarà ancora più bisogno di Europa: abbiamo bisogno di un po' della loro disciplina e loro di un po' della nostra creatività».

 

Carpani ha un punto di vista privilegiato sulla pandemia: aveva cominciato a intervistare i grandi junghiani «per registrare la loro voce» in un libro e sul suo canale Youtube nella serie «Breakfast at Kusnacht» (dal nome del paese svizzero dove si trova lo Jung Institute) e con la pandemia ha visto moltiplicarsi gli interventi. «La psicanalisi - dice - è uno strumento utile per decifrare la crisi.

 

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Dobbiamo imparare a dirci che è un momento di ansia e angoscia, di sospensione delle certezze. Dove vengono a mancare i riti collettivi - persino la Pasqua - come quelli individuali: solo accettando questa tristezza di fondo riusciremo a superarlo». Ha anche creato un supporto psicologico online, «pensato per i medici in prima linea, ma in realtà usato da tanti comuni cittadini. Il fatto è che il confine tra intuizioni geniali e paranoia è sottile e in momenti come questi salta del tutto».

 

Gli incontri offrono molti spunti di riflessione. Verena Kast, psicoanalista a Zurigo, suggerisce «la creatività come antidoto alle emozioni negative: senza negare paure e incertezze». E sottolinea il carattere cosmopolita dell' emergenza «una chiamata a una risposta universale, una sorta di "dichiarazione di interdipendenza" per cui siamo tutti responsabili e tutti vulnerabili».

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John Beebe, analista a San Francisco, esamina il concetto junghiano di «compensazione» e cita Greta Thunberg, che in un discorso di fine 2019 diceva ai governanti del mondo: «Voglio che proviate il panico»: «Un piccolo virus invisibile ha fatto sì che il suo desiderio si avverasse in modo imprevedibile a livello globale».

 

Paul Attinello, analista britannico, mette il Covid-19 in relazione all' Aids e al saggio di Susan Sontag «Malattia come metafora». «Abbiamo considerato - dice Carpani - che la pandemia è un grande esperimento di interiorità. Siamo abituati a vivere in un mondo estroverso, questa è un' occasione per lasciare che il mondo esterno si spenga e il mondo interiore si faccia sentire».

 

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La grande rimozione dell' Occidente è quella della nostra mortalità, spiegano l' analista canadese Murray Stein e il sociologo Mauro Magatti: «Io ho 60 anni - dice Magatti- e mi considero "giovane": è più forte di me, la nostra cultura la morte la cancella, arriva sempre inaspettata».

 

Stefano Candellieri e Davide Favero riflettono infine sul «tempo sospeso» che stiamo vivendo oggi: «Ansia, rabbia, angoscia vanno attraversate per approdare alla tristezza e all' elaborazione necessaria di un lutto collettivo». Stando attenti, sottolinea Carpani, alla fuga nelle dipendenze, che sono la costante psicologica dell' epoca. «Un tempo si mangiava la pizza una volta alla settimana: ora siamo nell' era della bulimia, dell' "all you can eat", del tutto e subito.

 

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Siamo abituati ad abbuffarci di puntate di serie tv come di attività fisica, non solo di cibo: è una strategia di fuga, il nuovo modo di rimuovere, e pensare. È un modo per delegare agli altri e non prenderci le nostre responsabilità. Credo che questa crisi sia un' occasione per recuperare il senso del limite».

 

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Anche un limite geografico: perchè, se è vero che la pandemia coinvolge tutti, è anche vero che senza voli low cost e Flixbus siamo tutti un po' più lontani. Con buona pace della generazione Erasmus: «Forse è un bene che le distanze siano aumentate - conclude suo malgrado Carpani -. Lo dico io che prendevo un volo alla settimana: la tecnologia, come un elastico, ha teso i limiti al massimo, ma ricordiamo Frankenstein: la natura si ribella».

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