"C'HANNO UN'ORGANIZZAZIONE SPAVENTOSA! STANNO NEI TRIBUNALI! I RISTORANTI DI ROMA SONO TUTTI LORO! TUTTI!" - LE MANI DELLA CAMORRA SUI RISTORANTI DI ROMA, I SODALI AL TELEFONO SUL CAPOCLAN ANGELO MOCCIA: “IL BOSS COMANDA UN ESERCITO, HA 110 OMICIDI SULLE SPALLE, PIÙ PROCESSI DI RIINA”. L’OSSESSIONE SFRENATA PER IL LUSSO E LE 33 FERRARI A MONTECARLO - IL BLITZ CONTRO IL CLAN MOCCIA, 13 ARRESTI. SOTTO USURA ALMENO 3 PERSONE TRA CUI IL FIGLIO DI GIGI D'ALESSIO...
Emilio Orlando per leggo.it
I tentacoli della camorra si espandono sempre più e non mollano quella presa che sta stritolando l’economia nella Capitale. La criminalità organizzata, quella del potente clan campano dei Moccia partito da Afragola, nel Napoletano, infatti ha cambiato pelle e acquistato aziende che erano già state poste sotto sequestro.
I colletti bianchi del clan si sono mossi esattamente come i personaggi di Gomorra, chi non voleva cedere era “avvertito” con colpi di arma da fuoco contro i segnali stradali della zona. Come dire: i prossimi proiettili non saranno puntati qui ma su altri bersagli.
Ieri però l’ennesimo blitz anticrimine che ha portato in manette 13 persone accusate di estorsione, intestazione fittizia di beni, aggravati dal metodo mafioso ed usura. L’applicazione del nuovo codice antimafia e delle misure di prevenzione ha permesso il sequestro di 14 ristoranti del centro storico e della zona intorno a San Pietro e di un appartamento ai Parioli. “Bombolone”, “Varsi Bistrot”, “Panico”, “La scuderia” e “Da Giovanni” alcuni dei locali finiti sotto amministrazione giudiziaria.
Nell’ordinanza di custodia cautelare che ha accompagnato in carcere otto degli indagati e cinque ai domiciliari, il giudice per le indagini preliminari Rosalba Liso ha evidenziato come in clan Moccia garantiva prestiti a Claudio D’Alessio, figlio del cantante Gigi.
Nell’informativa dove il pubblico ministero Ilaria Calò ed i detective del nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri hanno ricostruito anche l’avanzata criminale del sanguinoso clan originario di Afragola, emerge come i Moccia tenevano sotto strozzo almeno 3 persone, fra cui D’Alessio jr. Lo spessore criminale della famiglia campana legata al clan Senese, che nei primi anni ‘70 si stabilì tra Tor Bella Monaca ed il Tuscolano, era rafforzato dai rapporti che avevano con Domenico Pagnozzi (detto il “professore”) e Salvatore Zaza.
In manette sono finiti: Luigi, Angelo, Eleonora e Gennaro Moccia, Carminantonio Capasso, Francesco e Andrea Varsi, Mauro Esposito, Guido Gargiulo, Antonio Cosmini, Eugenio Cappellaro e Carmela De Luca.
BOSS COMANDA ESERCITO
MARCO CARTA per il Messaggero
«Ti dico solo una cosa, tu lo sai che Angelo c'ha un esercito a disposizione? Questi ci ammazzano se qualcosa non va bene». Violenza, paura. E un'ossessione sfrenata per il lusso: «Questo c'ha 33 Ferrari a Montecarlo!»». È soprattutto dalle intercettazioni fra i sodali che emerge il potere intimidatorio del clan Moccia, capace di esercitare il terrore su chiunque intralciasse il loro business o non rispettasse i patti. «Pensa di giocà, ma questi, questi ti ammazzano! Ti ammazzano».
Al centro della piramide di paura c'è il boss Angelo Moccia, uno da cui stare alla larga, al cui confronto anche i clan corleonesi devono impallidire: «Hanno migliaia di persone affiliate. Angelo c'ha centodieci omicidi sul groppone, c'ha avuto seicento magistrati che l'hanno giudicato, Totò Riina ne ha avuti quattrocento... che questi ci ammazzano se qualcosa non va bene, cioè non sto a scherza!».
A parlare è uno dei sodali, l'imprenditore Guido Gargiulo, che teme possano sorgere dei problemi proprio con Moccia nella gestione di una delle società al centro dell'inchiesta, la Cooperativa Serena.
Ed è sempre Gargiulo, in un'altra intercettazione del febbraio 2018, a raccontare come il clan grazie a una rete di prestanome avesse ripreso il controllo di 5 ristoranti finiti sotto sequestro nei mesi precedenti. «C'hanno un'organizzazione spaventosa! Spaventosa! Stanno nei Tribunali! I ristoranti di Roma sono tutti loro! Tutti!».
Quando un imprenditore del settore auto, Angiolo Crivellari, ha la necessità recuperare alcune macchine di grande valore, tra cui una Bentley e una Ferrari, Gargiulo si offre di fare da intermediario con Moccia, ma subito lo mette in guardia: «Allora, prima di mettersi in mano loro... è gente molto seria. È gente che tu sarai un uomo ricchissimo, ma questi c'hanno più soldi di tutta Italia messi insieme, quindi... però è una mentalità, sono proprio così... prima di affidargli una cosa, io vorrei che tu fossi sicuro». Gargiulo, poi cerca di dare una definizione del potere del clan: «non economico, né mafiosi ... né cani... proprio un potere ... pesan te».
Angelo Moccia viene informato della vicenda. Ma invece di cercare soluzioni inizia a fare sfoggio del suo parco auto, che comprende diverse Ferrari: «Se vuole una F40 io ce l'ho! Però, meno di un milione e tre non le vendo!», dice Moccia che poi aggiunge. «C'ho una RS3 Porsche del 90.. . trecentomila euro gliela dò. C'ho un F12, targato F12 e immatricolato il 12, 12, 2012.
Cioè per chi è collezionista è». Ci sono poi le vittime, come l'imprenditore Marco De Sanctis, ex presidente del Mantova Football Club, che non riesce a restituire a Gennaro Moccia un prestito di 20mila euro. De Sanctis è stufo di pagare: «gli ho dato centoventi su cento, praticamente vuole sempre di più». E in una conversazione con Claudio d'Alessio del novembre 2017 spiega di aver consegnato già 18mila e 700 euro, oltre al capitale già restituito.
Ma Moccia non gli da «respiro». Tanto che De Sanctis, nel dicembre 2017, inizia a temere per la sua incolumità: «Non l'incontro più, perché questo poi alla fine, prima o poi, me tira un'imboscata. Ma come ce devo veni all'appuntamento armato?».