UN "BAMBOCCIONE" NON È PER SEMPRE – I GIUDICI DEL TRIBUNALE DI NAPOLI TOLGONO L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO A UNA 36ENNE CHE CONTINUAVA A CAMPARE CON I SOLDI DEL PADRE CON LA SCUSA DEGLI STUDI: PECCATO CHE IN 18 ANNI DI UNIVERSITÀ NON FOSSE RIUSCITA A LAUREARSI, E LUI SI ERA ROTTO LE PALLE DI FORAGGIARLA CON 300 EURO AL MESE – LA FIGLIA SOSTIENE DI AVER AVUTO PROBLEMI DI SALUTE, MA LA VERSIONE È STATA SMENTITA DAL PADRE: SEMPLICEMENTE, NON AVEVA VOGLIA DI FARE UNA MAZZA, MEN CHE MENO LAVORARE…
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Finora se un figlio di separati, pur avendo raggiunto la maggiore età, non studiava e non trovava lavoro, il genitore doveva continuare a corrispondergli un assegno di mantenimento. Almeno questa è stata, fino a adesso, la tendenza delle sentenze che i tribunali pronunciavano, se un padre decideva di non corrispondere più soldi al figlio.
Stavolta non è andata così e il giudice si è appellato al principio di "autoresponsabilità" nel caso di un impiegato di banca in pensione che vive a Portici e che non pagava più. Sua figlia, che studiava Medicina, si era iscritta all'università 18 anni fa, a 18 anni appunto, e il padre da allora le ha sempre corrisposto l'assegno di 300 euro, come aveva stabilito una sentenza del Tribunale di Napoli.
Gli anni passano, ed esattamente - come ha raccontato il Corriere del Mezzogiorno - ne sono trascorsi 18. La beneficiaria ha ormai 36 anni, è fuori corso per quanto riguarda i suoi studi, ma attualmente non ha neanche un lavoro.
Quindi il famoso principio di "autoresponsabilità", secondo quanto ha stabilito la giudice del Tribunale di Napoli Carla Hubler, è stato violato e questo, capovolgendo la precedente sentenza che assegnava i 300 euro mensili all'allora ragazza, ha consentito la sospensione dell'obbligo dell'assegno.
Così, il papà ex bancario che alcuni anni fa si è separato consensualmente dalla moglie, ex estetista, è ora esentato dal corrispondere ancora il vitalizio alla ragazza che, iscrittasi all'università all'età in cui lo fanno tutti, non ha conseguito ancora la laurea.
Il presidente del Tribunale aveva dato torto al genitore, confermando l'accordo sottoscritto all'epoca della separazione. La seconda giudice, invece, quella a cui è assegnato il processo civile avviato con l'istanza di divorzio, ha accolto le richieste del pensionato porticese, che chiedeva di rivedere gli accordi stipulati in precedenza a proposito del mantenimento della figlia. Il risultato: niente più assegno.
"Tenuto conto - si legge nel provvedimento pubblicato dal quotidiano - dell'età della figlia, del tempo trascorso dall'iscrizione all'università, del tenore della documentazione sul percorso e sullo stato di avanzamento degli studi", va "sospeso l'assegno di contributo al mantenimento in ragione del principio di autoresponsabilità, atteso che è trascorso quantomeno il doppio del tempo previsto per il corso di laurea".
La laurea, ha sostenuto in sua difesa la figlia, non è arrivata nonostante lei si sia data da fare per sostenere in tempo tutti gli esami, anche perché sono intervenuti problemi di salute. Ma in questo è stata smentita dal padre, che ha addotto ragioni contrarie: non studiava e neppure si è preoccupata di trovare un lavoro per potersi mantenere da sola.
Il 24 maggio scorso era stata la Suprema Corte a dare torto a una 22 enne di Gorizia che aveva fatto ricorso alla giustizia contro la decisione del padre divorziato, avvocato, di toglierle un assegno equivalente a quello della studentessa porticese, perché aveva rifiutato due lavori, uno dei quali a tempo indeterminato. «Deve escludersi che l’assegno di mantenimento persegua una funzione assistenziale incondizionata dei figli maggiorenni disoccupati», avevano affermato in quel caso i giudici della Cassazione.