"IL FATTO NON SUSSISTE" SUL CASO ENI RIAPRE IL PROBLEMA IRRISOLTO DELLA (MALA)GIUSTIZIA ITALIANA - IL TENTATIVO DI RIFORMA BY CARTABIA OSTEGGIATO DAL CSM, LA PROCURA DI ROMA ACEFALA E QUELLA DI MILANO, SCONFITTA SU ENI (SI PUÒ CHIEDERE 8 ANNI DI GALERA SOLO IN BASE AGLI INDIZI?), HA GRECO IN SCADENZA - LE BOMBE DI PALAMARA SUL "SISTEMA" CHE CADONO NEL VUOTO (ERMINI E' SEMPRE AL SUO POSTO), IL SILENZIO DI MATTARELLA ORMAI IN MODALITA' SEMESTRE BIANCO - ANCHE DIETRO LA SENTENZA SU ENI C’È LA GUERRA TRA CORRENTI...
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Dagoreport
La sentenza Eni, che dopo otto anni di indagini e tre di dibattimento, ha assolto i vertici di Eni e altri 13 imputati, riapre l'irrisola questione della (mala)giustizia italiana. Se la più grande azienda di Stato viene portata alla sbarra e, dopo anni di sputtanamento internazionale, il risultato ottenuto dai pm è “il fatto non sussiste” un problema di "qualità giudiziaria" esiste, eccome.
Il cortocircuito del “Sistema”, il groviglio disarmonico tra magistrati, politica e potere, era già stato portato a galla dal caso Palamara e dalle rivelazioni bomba che l’ex presidente dell’Anm ha infilato nel suo libro-intervista con Sallusti, tra i più venduti in Italia (a proposito: per le sue affermazioni esplosive Palamara ha ricevuto finora solo la querela di Paolo Ielo, gli altri si guardano bene dall’aprire bocca…).
In un paese con un'opinione pubblica pimpante e non rincoglionita dalle risse tra i virologi, sarebbe scoppiato un putiferio. O almeno, certificato il marcio del "Sistema", un dibattito pubblico sulla giustizia sarebbe stato preteso ad horas.
E invece? Le toghe fanno orecchie da mercante, anzi si oppongono a ogni seria riforma del Csm che ponga un argine alle prerogative delle correnti. La politica sul tema è asintomatica: è parte del problema ma finge di non vedere. I giornali, divisi in tifoserie, si auto-relegano al ruolo di trombettieri della corrente più amica. I cittadini, spremuti e logorati dalla pandemia, hanno altro a cui pensare.
In questo marasma, arriverà al voto probabilmente dopo Pasqua il parere del Csm sulla riforma della giustizia Bonafede, che alla Camera è in attesa degli emendamenti proposti da Marta Cartabia.
La neo-ministra, nonostante abbia approcciato la questione in punta di piedi, è già stata rintuzzata dal Consiglio superiore della magistratura che ha respinto ogni ipotesi di essere ridimensionato nelle sue “prerogative costituzionali”.
A Roma, dopo l’annullamento del Tar della nomina di Michele Prestipino, la procura di piazza Clodio è acefala. Sul fu “porto delle nebbie” si è già aperto un nuovo conflitto, visto che il Csm ha impugnato la decisione davanti al Consiglio di Stato.
Non va meglio a Milano dove il procuratore Francesco Greco andrà in scadenza a novembre, quando compirà 70 anni. Greco s’avvicina all’uscita con la bruciante sconfitta, in tandem con il pm Fabio De Pasquale, nel processo Eni.
Una mazzata più grave di quanto si possa immaginare. Lo ha spiegato chiaramente ieri Carlo Bonini su “Repubblica”: “L'assoluzione perché "il fatto non sussiste" censura il lavoro della pubblica accusa su un punto qualificante. Non essere riuscita a produrre elementi di prova solidi in grado di sostenere una richiesta di condanna”. Un ceffone al lavoro di Fabio De Pasquale e Francesco Greco.
Ecco: si può chiedere una condanna di 8 anni di galera solo in base agli indizi? A rivelarlo il 22 luglio 2020 fu lo stesso pm Fabio De Pasquale che, dopo ben 6 anni di indagine, rivolto al tribunale, riscrive il diritto penale: “Non chiedeteci una prova diabolica, non siamo in un film dove c’è la pistola fumante: vi chiediamo di valutare le prove come le intendono le convenzioni internazionali, quindi anche gli indizi nel loro complesso, quindi anche i pezzi della pistola fumante quando li si trova in giro...”.
“È una censura - prosegue Bonini - che segnala come, durante il dibattimento, non solo non sia stata prodotta la pistola fumante, ma sia soprattutto venuta meno l'attendibilità del suo "impumone", l'imputato-testimone su cui, alla fine, buona parte dell' impalcatura accusatoria poggiava. Quel Vincenzo Armanna, ex manager Eni, capace di ritrattare più volte, a suo dire intimidito dalla stessa Eni e tuttavia demolito dalle difese nel corso del processo”.
Il flop dei magistrati di Milano - che in queste ore stanno valutando il ricorso - non è legato solo al merito e ai metodi dell’indagine ma - come evidenzia ancora Bonini - a “quell'insopportabile e tossico contesto che ha trasformato una vicenda scivolosa, comunque opaca, in un ennesimo ‘Giudizio di Dio’. Su entrambi i lati della barricata”.
E questo, ovviamente, è un problema enorme per il Sistema Paese che - su ogni inchiesta “sensibile” - si divide in ultrà, fazioni, conventicole armate che finiscono per ignorare i diritti della difesa, i limiti dell’accusa e il contesto sociale e politico.
Di questi numerosi e articolati problemi della giustizia dovrebbe occuparsi anche chi, del Csm, è il capo: il presidente della Repubblica. A proposito, il vice del CSM Ermini che fa? Il capo del CSM Mattarella se ne occupa? Il suo mandato è in scadenza: a gennaio 2022 lascia il Quirinale. Gli conviene sporcare il candore del suo semestre bianco, che più bianco non si può, con il fango del “Sistema”? Ovvio che no. Sergione, stai sereno. Se ne occuperà qualcun altro. Forse.
DIETRO LA SENTENZA SU ENI
Paolo Comi per “il Riformista”
Ieri in Procura a Milano il silenzio era assoluto. Nessuno fra i pm aveva voglia di commentare l' assoluzione di tutti gli indagati eccellenti del processo "Eni-Nigeria". Quella frase pronunciata il giorno prima dai giudici, "il fatto non sussiste", ha lasciato il segno.
Le indagini, costate milioni di euro - tutti soldi dei contribuenti italiani - fra rogatorie, acquisizione di atti, perizie e consulenze varie, oltre a tre anni di dibattimento e settantaquattro udienze, non erano riuscite infatti a dimostrare che Eni e Shell avessero pagato una tangente di oltre un miliardo di euro ad esponenti del governo nigeriano per l' utilizzo del giacimento petrolifero Opl 245, uno dei più ricchi al mondo.
Il fascicolo, il più importante dai tempi di Mani pulite, era stato assegnato al procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, responsabile del dipartimento "reati economici transazionali", stretto collaboratore del numero uno della Procura milanese, Francesco Greco.
Fin dalle prime udienze, però, fra tutti gli addetti ai lavori l' impressione era che il collegio si stesse formando un convincimento difforme rispetto alle valutazioni dei pm che avevano tenuto il punto fino all' ultimo giorno.
La Procura milanese è notoriamente progressista. Un "santuario inviolabile" come disse l' ex zar delle nomine Luca Palamara rispondendo a chi gli domandava come mai tutti i procuratori degli ultimi quarant' anni, e la quasi totalità degli aggiunti, fossero sempre stati esponenti di Magistratura democratica, la sinistra giudiziaria.
Il collegio giudicante di "Eni-Nigeria", presidente Marco Tremolada, a latere Mauro Gallina e Paola Maria Braggion, era composto, invece, da magistrati di area non progressista. Anzi. Gallina è una toga di punta di Magistratura indipendente, il gruppo di "destra", nel distretto di Milano, e ha ricoperto anche l' incarico di segretario della locale giunta Anm. Braggion, poi sostituita da Alberto Carboni, è ora consigliera del Csm sempre di Magistratura indipendente.
La bomba, amplificata dai giornali di riferimento della Procura di Milano, ad iniziare dal Corriere della Sera, sul collegio viene sganciata a dicembre del 2019. La Procura milanese aveva interrogato l' avvocato siciliano Piero Amara, l' ideatore del "Sistema Siracusa", il sodalizio di magistrati e professionisti finalizzato a pilotare le sentenze al Consiglio di Stato e ad aggiustare i processi nei vari tribunali italiani.
Amara è una sorta di Scarantino del terzo millennio: viene chiamato da molte Procure italiane come testimone contro i magistrati. Ad iniziare da Perugia dove è uno dei principali testimoni contro Palamara. Come Scarantino, però, Amara non sempre è affidabile.
A Milano Amara aveva puntato direttamente il presidente del collegio Tremolada con una accusa micidiale che poteva far saltare tutto il processo. Davanti ai pm milanesi racconta, in particolare, di aver saputo dal capo dell' ufficio legale di Eni, l' avvocato Michele Bianco e dall' avvocata Alessandra Geraci, che i due principali difensori del processo, Paola Severino (che assiste Claudio Descalzi), e il legale di Eni Nerio Dio dà "avevano accesso" al presidente Tremolada.
A fine gennaio 2020 il procuratore Greco con l' altro aggiunto Laura Pedio, in pieno dibattimento Eni-Nigeria, trasmette alla Procura di Brescia, competente per i reati commessi dalle toghe milanesi, il verbale di Amara con la testimonianza esplosiva nei confronti di Tremolada. A Brescia viene subito aperto un fascicolo, a carico di ignoti, per traffico di influenze illecite e abuso d' ufficio.
De Pasquale, omissando parte del verbale di Amara, tenterà di produrlo all' udienza del 15 febbraio senza riuscirci. Bianco e Geraci nel frattempo sono ascoltati a Brescia e negano di aver mai detto nulla di ciò ad Amara.
L' avvocato siciliano non viene indagato per calunnia, come ci si sarebbe aspettato, in quanto la sua deposizione, ritenuta fondamentale dalla Procura di Milano, sarebbe stata alquanto generica. Il gip di Brescia, su richiesta dei pm, archivierà allora il 24 dicembre dello scorso anno. Ma che la credibilità di Amara sia quasi sempre pari a zero lo aveva evidenziato nel gennaio 2019 l' allora pm romano Stefano Rocco Fava. L' autore del celebre esposto contro Giuseppe Pignatone.
Il magistrato, che lo stava indagando da tempo per bancarotta e altri reati, aveva chiesto per lui la custodia cautelare, evidenziando come fosse stato reticente in più occasioni nei suoi rapporti proprio con Eni. Arrestato la prima volta a febbraio del 2018, Amara aveva ricevuto a maggio successivo da Eni 25 milioni.
Una circostanza sospetta per Fava. Di diverso avviso i suoi colleghi, ad iniziare dal procuratore aggiunto Paolo Ielo che aveva deciso di non procedere con la cattura, ritenendo fosse un atto che "indeboliva" le indagini. Fava sarà poi estromesso dalle indagini nei confronti di Amara.