"IO, SOPRAVVISSUTO A IGOR IL RUSSO" – PARLA MARCO RAVAGLIA, L’AGENTE DELLA POLIZIA PROVINCIALE DI FERRARA CHE L’8 APRILE 2017 VENNE FERITO DA QUATTRO COLPI SPARATI DAL CRIMINALE CONDANNATO ALL’ERGASTOLO – “UN COLPO MI HA PERFORATO UN POLMONE, L’INTESTINO E IL COLON. HO FINTO DI ESSERE MORTO TRATTENENDO IL RESPIRO. LUI MI HA GIRATO IL VOLTO CON LA SCARPA E MI INSULTAVA. ALLA FINE MI HA PRESO LA PISTOLA E…”
-Mauro Giordano per corriere.it
«Un colpo mi ha fatto esplodere l’omero, il secondo mi ha ferito alla spalla, il terzo ha preso il plesso brachiale e il quarto mi ha perforato un polmone, l’intestino e il colon. Sono vivo per miracolo, è come se fossi rinato».
È una mappa del ricordo, del dolore e della paura quella che mostra Marco Ravaglia, 58 anni, agente della Polizia provinciale di Ferrara («sono un assistente, come un maresciallo» precisa). Ne sono quasi passati cinque di anni da quell’8 aprile 2017 che per lui ha rappresentato un personale viaggio di andata e ritorno dalla vita alla morte, una rinascita con nuovo nome: «il sopravvissuto di Igor».
Una settimana prima (l’1 aprile 2017, ndr) era infatti iniziata la sanguinosa saga di Norbert Feher, diventato poi noto per l’Italia intera come «Igor il Russo» (nato in realtà nel nord della Serbia nell’81), il criminale che dopo aver commesso l’omicidio del barista Davide Fabbri durante una rapina al bar Gallo alla Riccardina di Budrio (Bologna) fuggì per otto lunghi mesi prima dell’arresto in Spagna.
Dopo aver attraversato 8 Paesi e aver cambiato 18 identità il 15 dicembre venne catturato a Mirambel, in Aragona, ma nel frattempo la sua scia di morte si era portata via altre quattro persone: la guardia volontaria Valerio Verri (quel maledetto 8 aprile a Trava di Portomaggiore, Ferrara) il pastore José Luis Iranzo Alquézar e i due poliziotti della Guardia Civil spagnola Víctor Romero Pérez e Víctor Jesús Caballero Espinosa (nel piccolo comune aragonese di Andorra prima dell’arresto, scaturito da un conflitto a fuoco). Come un belva feroce braccata Igor ferisce anche altre persone fino quando il 15 dicembre l’incubo finisce. Venne arrestato dopo un incidente stradale, poi i processi in Spagna e in Italia: condannato in via definitiva all’ergastolo in entrambi i casi. Sconta la pena nel carcere di Zuera, nel cuore della Spagna.
«Diciamo che il tempo non ha cancellato nulla — sottolinea il 58enne —. Sono passati cinque anni ma il dolore sotto tutti i punti di vista è assolutamente lo stesso anche perché dalle 30 alle 50 volte durante il giorno mi capita di pensare a quei fatti. C’è un dolore interno ovviamente ma c’è anche quello esterno, perché come mi hanno detto i medici mi porterò i dietro i problemi di salute per tutta la vita. Ci sono momenti che ho un po’ meno male e altri di più, ormai ci sono abituato e sono diventati compagni di vita».
Ravaglia, che conseguenze hanno avuto per lei le ferite provocate da Norbert Feher?
«La paralisi del braccio destro perché il proiettile mi fece esplodere l’omero in due pezzi. Fui trasportato a Cesena e ricordo tutto fino all’ingresso al pronto soccorso. Ci sono stati anche dei danni a delle vertebre. Su altri punti di vista diciamo che adesso sento le perturbazioni tre giorni prima che arrivino, ho acquistato questo potere (scherza, ndr). E poi il polmone e l’apparato digerente ovviamente non sono più tornati quelli di prima».
Cosa faceva quell’8 aprile 2017 e cosa fa adesso?
«Diciamo che facevo quello che ritenevo e ritengo il lavoro più bello del mondo. Lavoravo in mezzo alla natura, la tutelavo e la proteggevo. Ora è tutto cambiato perché non svolgo più attività sul campo ma solo lavoro d’ufficio. Da distese di ettari verdi mi ritrovo dentro quattro mura ma preferisco sempre andare in ufficio. Anche con la pandemia ho sempre preferito lavorare nella sede della Polizia provinciale di Ferrara. Quel giorno stavo pattugliando il territorio insieme a Valerio Verri».
A distanza di anni ritiene un pericolo inutile avervi mandato in quei giorni nelle campagne di Portomaggiore, sapendo che c’era un simile criminale in fuga?
«Innanzitutto bisogna sottolineare che il nostro Corpo non ha tra le responsabilità le ricerche personaggio con quel profilo di pericolosità. E infatti noi stavamo svolgendo una normale sorveglianza del territorio e della pesca, ci trovavamo a 40-50 chilometri da quello che era successo a Davide Fabbri a Budrio. Non avevamo avuto segnalazioni in merito, per noi si trattava di un servizio normale».
E anche quel tipo di attività «normale» secondo lei in quei giorni non doveva essere sospesa?
«Con i “se” e con i “ma” possiamo ragionare a distanza di tempo. All’epoca si trattava di routine».
Cosa ha pensato quando Igor è stato arrestato e durante i processi? Si aspetta qualche risarcimento da lui?
«Non mi aspetto nulla perché è un nullatenente quindi non potrò mai neanche aspirare a forme di risarcimento materiale da parte sua, che tra l’altro non si è mai pentito. Anche ai tempi del processo di Bologna il mio avvocato in fase dibattimentale presentò un’istanza di risarcimento, ma più per prassi, perché era palese che non avrei mai visto un centesimo da quella persona e non lo vedrò mai.
Ho seguito entrambi i processi, alla prima udienza in Italia non ero riuscito ad andare in tribunale perché l’emozione e lo stato d’animo erano ancora troppo scossi. Ricordo che quando ci fu la sentenza in Spagna sono rimasto collegato con il pc fino a mezzanotte aspettando la comunicazione. Quando l’ho sentita ho finalmente voltato una pagina. Non ho chiuso quel capitolo e non lo chiuderò mai, ma una pagina l’ho girata».
Norbert Feher non si è mai pentito e anche nelle udienze si è mostrato freddo e spavaldo. Ha perfino aggredito gli agenti di polizia penitenziaria durante un trasferimento di carcere in Spagna. Lei sente di aver avuto giustizia?
«L’ergastolo mi è sempre sembrato giusto anche perché sono contrario alla pena di morte. Ritengo che sia sbagliata e che non andrebbe data a nessuno. Ovviamente non lo perdono, ma non odio».
Lei e Valerio Verri quel giorno eravate armati?
«Io ero armato in qualità di agente, Verri essendo una guardia volontaria era disarmato».
Cosa ricorda di quegli istanti, ha avuto la tentazione o la possibilità sparare?
«Dopo esserci fermati dietro al furgoncino dentro il quale c’era Igor tutto è successo in un’istante. Non ho fatto neanche in tempo a mettere il secondo piede a terra, una tempesta di colpi mi ha sovrastato.
Consideri che sono alto un metro e 92 e peso 120 chili, per scendere dalla macchina ho dovuto fare una manovra con calma. Dopo essere stato raggiunto dai primi spari ho fatto come una torsione e per questo il quarto colpo mi ha praticamente attraversato. Io avevo la pistola nel cinturone con la doppia sicura e dopo aver sparato anche al povero Valerio Verri, Igor è venuto da me e siccome non riusciva a estrarre la mia pistola mi insultava».
Ha sempre raccontato di essersi finto morto.
«Tenevo gli occhi chiusi e con un polmone perforato trattenevo il respiro. Lui mi ha girato il volto con la scarpa e mi insultava»
Ha pensato che la volesse «finire» a quel punto?
«Sì, sono stati attimi interminabili in cui ho avuto la sensazione di essere come un animale braccato e finito. Alla fine ha preso la mia pistola, che infatti si trova ancora in Spagna».
Dopo cinque anni cosa è cambiato nella sua vita? Affronta le cose diversamente?
«Ho sempre adorato la vita e l’ho sentita sfuggirmi dalle mani. In particolare sentivo di stare perdendo qualcosa di molto prezioso: mia moglie. Perderla sarebbe stato il dispiacere più grande (entrambi sono al secondo matrimonio e la moglie di Ravaglia ha un figlio nato dalle nozze precedenti,ndr). Posso dire che da quel momento viviamo in simbiosi, è come se lei fosse diventata veramente una parte di me».
Si è convinto del fatto che nei momenti più bui si scopre una luce?
«In tutta la mia vita anche nei momenti peggiori ho sempre cercato un lato positivo nelle cose che mi capitavano. Ho fatto esperienza già da piccolo quando mio padre morì: avevo solo sette anni. Ma ne sono convinto: anche nella più grande delle catastrofi si può ripartire e rinascere».