"MA BARONE, STIAMO PREMENDO PER CONTE E MI VAI A DIRE DE ZERBI?" – LUCA LUCCI, CAPO ULTRÀ DEL MILAN ARRESTATO, VOLEVA AVERE VOCE IN CAPITOLO PURE SULLA SCELTA DELL’ALLENATORE ROSSONERO – L’INTERCETTAZIONE CON L'ALTRO CAPO-TIFOSO GIANCARLO CAPELLI, DETTO IL ‘BARONE', PRO DE ZERBI: “NO, DEVI DIRE CONTE, CAPITO?” - IL DOMINIO DI LUCCI SULLA CURVA SUD (E IL PESTAGGIO DI MOTTA), LE CHAT CON I NARCOS IN CUI SI FA CHIAMARE “BELVA ITALIA”, LE MANI SU EVENTI E LOCALI VIP E LA FOTO CON L'ALLORA MINISTRO DELL'INTERNO SALVINI…
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Nelle centinaia di pagine del provvedimento della magistratura non c'è solo l'abbondante materiale raccolto per sostenere l'accusa, ma anche tanto altro che tratteggia le zone di contiguità tra gli ultras e i due club, che si trovano a subire pressioni enormi anche sul piano sportivo.
Lo si evince chiaramente da un'intercettazione tra Luca Lucci e Giancarlo Capelli, meglio noto come il ‘Barone', nella quale il primo fa presente al secondo di non sponsorizzare De Zerbi, visto che lui e altri stanno spingendo per Antonio Conte: "Ma Barone… stiamo premendo per Conte… sto facendo da quattro giorni robe con il Milan e mi vai a dire De Zerbi?".
L'intercettazione tra Luca Lucci e Giancarlo Capelli, il ‘Barone': "Stiamo premendo per Conte"
La telefonata avviene il 26 aprile scorso, quando ormai era chiaro a tutti che Stefano Pioli non sarebbe stato più l'allenatore del Milan a fine stagione, dopo l'ennesimo derby perso contro l'Inter qualche giorno prima (1-2). Lucci fa notare a Capelli in maniera abbastanza energica che ha sbagliato – in un'intervista appena rilasciata – a fare il nome di Roberto De Zerbi come nuovo allenatore che il club rossonero dovrebbe prendere per sostituire Pioli, visto che lui sta invece lavorando e facendo pressioni sul Milan – a quanto fa capire – per far arrivare in panchina Antonio Conte.
"Ho letto io adesso, me l'hanno girato adesso: Il Barone vuole De Zerbi! …ma come fai a fare un nome? come fai a fare i nomi? …ma Barone, stiam premendo, stiam premendo per CONTE, ma tu rappresenti la Curva, te lo vuoi mettere in testa che non rappresenti te stesso? …ho capito! Ma rappresenti la Curva Barone!!!
Non è vero che non sei nessuno! Sei il Barone! Sei il Barone, Gianca! Sei il Barone! …vabbò, ok! Ma non fare nomi di allenatore! Ma Barone… ma sto facendo, sto facendo da quattro giorni, robe con il Milan e mi vai a dire De Zerbi??", sono le parole di Lucci riportate nell'atto.
Il "ruolo apicale" di Luca Lucci è reso evidente – spiegano gli inquirenti nel documento – dal fatto che anche in altre dichiarazioni con terzi "si spingeva a rendere dichiarazioni sulla migliore guida tecnica per la squadra, così provando ad influenzare le scelte della società".
E ancora, in un'altra telefonata fatta da Capelli a Lucci il giorno dopo quella riportata sopra, il Barone gli dice di essere stato contattato da alcune televisioni per rilasciare un'intervista sulla situazione del Milan e gli chiede cosa avrebbe potuto dire in quella circostanza.
La risposta di Lucci è perentoria: "In questo momento se vogliono tenere il popolo unito …la scelta Conte è la scelta più intelligente, a livello di società… perché in un secondo hai fatto passare tutti i malesseri al popolo rossonero! …non è più disposto a mantenere un clima di serenità!!! e di tranquillità… perché il popolo rossonero non è né sereno, né tranquillo! vogliono il tifo, vogliono il tifo dalla curva, dalla curva più forte d'Italia, se lo devono meritare!!!! a partire, a partire dalla società… e la scelta, la scelta, la scelta dell'allenatore è il primo tassello dove noi valutiamo le intenzioni della società… No!!! Barone!!!
Conte devi dire… devi dire Conte!! Uno come Conte! …se il Milan vuole vincere, e prendi uno come Conte, vuol dire che c'è ambizione di tornare grandi, capito? C'è ambizione di tornare grandi! Poi glielo dici chiaramente, non siamo più disposti a sentire, a sentire, da nessuno, dichiarazioni folli dei nostri dirigenti e del nostro presidente, non siam più disposti…".
LUCA LUCCI
Cesare Giuzzi per corriere.it - Estratti
Lo chiamano «il Toro». Lui nelle chat criptate con i narcotrafficanti aveva scelto il nickname inequivoco «Belva Italia».
Luca Lucci, 42 anni, casa a Scanzorosciate nella Bergamasca, tra gli arrestati nella vasta operazione di lunedì 30 settembre, è il monolite del tifo organizzato rossonero. Prima dalla balaustra del secondo anello blu di San Siro, poi forzatamente dai domiciliari, lasciando la facciata del tifo a suo fratello Francesco e ai suoi pretoriani. Un esercito di fedelissimi dall’accento calabrese.
Perché Luca Lucci, diventato famoso per la stretta di mano nel 2018 con l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, negli ultimi anni tra carcere e inchieste ha messo muscoli soprattutto nel mondo della malavita organizzata. Roba grossa, molto più di quanto si possa immaginare. Perché se è vero che gli ultrà non hanno pedigree mafioso, hanno bicipiti che fanno paura e un esercito sempre pronto a menare le mani. Che sia in discoteca come buttafuori, o come bodyguard di qualche vip. Leggi: Fedez (suo amico personale), e non solo.
L'ascesa di Lucci e i «Banditi»
L’ascesa di Lucci nella Sud è figlia di una incoronazione ben poco democratica. È il suo padre spirituale Giancarlo Lombardi, alias «Sandokan» — quello della guerra tra gruppi ultrà rossoneri ai tempi dell’estorsione a Galliani — a posargli la corona in testa con il beneplacito di molti nomi pesanti della malavita da stadio e non (in questo articolo: Luca Lucci e Giancarlo Lombardi, da amici fraterni a nemici giurati).
Lucci ha le spalle grosse ma il cervello fino. Prosegue la politica interna di Sandokan trasformando la Curva Sud in un unico gruppo, un brand. Con tanto di divisa: tutti vestiti di nero, cappuccio in testa, sciarpa sul viso a scoprire solo gli occhi. Nascono così i «Banditi». Un esercito di centinaia di ragazzi (e non) che in strada fa spavento. Di fatto è una rivoluzione anche per il mondo ultrà italiano. Il merchandising della Sud circola ben oltre il ristretto giro del tifo organizzato. I «banditi» tracciano la strada.
Il pestaggio di Virgilio Motta
Lucci è un leader assoluto. Ma in curva, nonostante l’investitura dell’ex capo, il potere va ribadito ogni giorno. E lui non si tira indietro, anzi dà l’esempio.
Si arriva al derby del 2009. Uno striscione penzola dalla Sud, alcuni tifosi interisti strappano brandelli di stoffa, e dalla gradinata del secondo anello si precipitano gli ultrà rossoneri. Sotto però non c’è tifo organizzato ma famiglie e tifosi qualunque. C’è anche Virgilio Motta, anima di un gruppo di amici che si fa chiamare «Banda Bagaj». Lucci in persona lo aggredisce brutalmente, con un pugno gli fa perdere un occhio. Una vicenda dalla quale il tifoso interista non si riprenderà mai. Fino al suicidio del 2012. Per quell’episodio Lucci viene condannato a 4 anni.
Ormai daspato, il «Toro» affida il posto in balaustra al fratello Francesco, ma lo scettro rimane suo. E anzi, mentre gli interisti si scannano e si sparano per la supremazia, nella Sud non si muove una foglia. Il potere di Lucci è solido, granitico, immutabile. E fortissimo.
La «Kobayashi srl» per gestire eventi e locali
All’ultimo derby, quello del 22 settembre vinto 2-1 dal Milan, il Toro è tornato in tribuna da uomo libero. Nel frattempo però i suoi interessi si sono spostati sempre più fuori dal Meazza. Nel 2017 apre la «Kobayashi srl» società che organizza eventi e gestisce locali.
Con lui c’è il mentore Giancarlo Lombardi, il pregiudicato Michele Cilla (già coinvolto in una miriade di indagini anche con il clan Fidanzati) e come amministratore un nome storico della Sud: Giancarlo Capelli, detto il Barone. Volto pubblico della curva, ma ormai relegato al ruolo di «residuato bellico».
Lucci usa muscoli e cervello: ogni volta che il suo nome compare sui giornali minaccia (o presenta) querela. Con il suo storico legale, Jacopo Cappetta, smentisce istantaneamente voci di interessi criminali o pettegolezzi.
Gli albanesi, il traffico di droga, le barberie e i tatuaggi
Il 6 giugno 2018 però le cose cambiano. Lucci finisce in manette in un’inchiesta della polizia su un traffico di droga con gli albanesi. La droga veniva ricevuta dai trafficanti direttamente nella sede del «Clan 1899» di via Sacco e Vanzetti a Sesto San Giovanni, il ritrovo dei tifosi rossoneri.
Poche settimane dopo finisce in manette anche il fratello Francesco per estorsione. A settembre dello stesso anno Lucci s’è già lasciato alle spalle l’indagine per droga: patteggia una pena di un anno e mezzo. Un anno dopo gli sequestrano beni per un milione. Poi arriva la sorveglianza speciale per tre anni.
A fine dicembre 2021, Lucci torna di nuovo in carcere per droga. L’indagine parte da un rivolo dell’inchiesta sul misterioso ferimento di Enzino Anghinelli, scampato per miracolo alla morte in un agguato in via Cadore nel 2019. Con lui finiscono ai domiciliari altri fedelissimi-ultrà Rosario Calabria e Antonio Rosario Trimboli, parentele nel clan Barbaro-Papalia della ‘ndrangheta.
Il Toro va in abbreviato e viene condannato a 7 anni di carcere. Secondo le indagini Lucci sarebbe stato «al vertice dell’organizzazione» pianificando «l’attività illecita senza mai partecipare attivamente», ma «impartendo direttive attraverso il software Encrochat, installato su un telefono cellulare» con «utenza telefonica olandese». Il capo della Curva Sud nel sistema criptato di chat si faceva chiamare con il nickname «Belva Italia», per la «posizione di vertice» che ricopriva «nel traffico illecito» avrebbe intrattenuto «le relazioni con i narcotrafficanti esteri» in Brasile e in Marocco.
Ma il carcere non scoraggia Lucci e i ragazzi della Curva Sud. Anche perché il Toro ottiene in breve tempo i domiciliari. I milanisti si buttano sul business delle barberie e dei tatuaggi. Nasce «Italian Ink» catena che di fatto diventa una cassaforte di famiglia e garantisce ai fedelissimi posti di lavoro
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