"IL PROF NON FA NULLA, NON MI ASCOLTA, HA DETTO CHE LA SCUOLA FINO A 16 ANNI È OBBLIGATORIA" - LO SFOGO DEL 15ENNE LEONARDO CALCINA CHE, QUATTRO GIORNI PRIMA DI SPARARSI, SI LAMENTAVA CON LA MAMMA DEL BULLISMO SUBÍTO A SCUOLA - SECONDO I GENITORI DI LEONARDO, GLI INSEGNANTI DELL'ISTITUTO DI SENIGALLIA FREQUENTATO DAL GIOVANE "FACEVANO FINTA DI NON ACCORGERSI. ERA PRESO DI MIRA DAI COMPAGNI CHE GLI STRIZZAVANO I CAPEZZOLI, LO COLPIVANO SUI GENITALI E LO PRENDEVANO IN GIRO" - I SUOI COETANI PROVANO A DARE LA COLPA DEL SUICIDIO A UN BRUTTO VOTO, MA È IMPOSSIBILE PERCHÉ...
-Estratto dell'articolo di Fabrizio Caccia per il "Corriere della Sera"
È mercoledì 9 ottobre e Leonardo Calcina, 15 anni, invia 7 whatsapp alla mamma Viktoryia, tutti dello stesso tenore. È l’sos finale lanciato dal ragazzo, il suo ultimo grido d’aiuto prima di spararsi, quattro giorni dopo, nel buio di un casolare, con la pistola d’ordinanza del padre Francesco, vigile urbano.
Scrive Leo: «Mamma, ho parlato col prof di sostegno gli ho detto che voglio andare via dalla scuola». Sono messaggi in rapida sequenza: «Perché mi trovo male», «Non ce la faccio più, l’ho spiegato al prof» ma «lui non fa nulla, non mi ascolta, ha detto che la scuola fino a 16 anni è obbligatoria».
Leonardo non fa riferimento, nei messaggi, a tutte le molestie e le pesanti canzonature che subiva ormai ogni giorno da tre compagni, due ragazzi e una ragazza, della sua classe, all’istituto turistico alberghiero «Panzini» di Senigallia.
È il padre Francesco, lunedì pomeriggio, dopo il ritrovamento del corpo, a mettere nero su bianco davanti ai carabinieri nella denuncia il dramma di quelle molestie ripetute:
«Nostro figlio diceva a sua madre che i professori non riprendevano in classe questi alunni che offendevano lui o altri, ma talvolta facevano come finta di non accorgersi di nulla». La mamma, una signora bielorussa che da anni ormai vive in Italia, tramite l’avvocata Pia Perricci, aggiunge che il prof di sostegno, quello citato nei drammatici whatsapp degli ultimi giorni, pur dopo aver parlato con l’alunno non l’ha mai chiamata, almeno per segnalarle il disagio del figlio.
Accuse gravi: «Sempre lo stesso gruppetto di compagni era solito toccarlo, strizzargli i capezzoli in palestra, dargli botte nelle sue parti intime, manate che se anche non date con forza elevata il dolore si sente comunque», chiosa amaro papà Francesco che notava da tempo il cambiamento d’umore del ragazzo.
[…] In classe, invece, era diverso: quei tre compagni «cantilenavano il suo cognome con modalità femminili al punto da costringerlo talvolta a indossare gli auricolari per non sentirli». Era diventata per lui una tortura. I genitori di Leo dicono che da quando è successa la tragedia nessuno dei compagni di classe ha telefonato per fare loro le condoglianze.
La ragazzina del gruppo dei tre ieri si è presentata dai carabinieri per dire che non è vero che lo maltrattavano, che questa non è una storia di bulli, che Leo si è sparato solo per un brutto voto, un 4,5 al compito d’informatica. Insomma, era depresso. Ma il compito è stato corretto e valutato a scuola lunedì — fa notare l’avvocata Perricci — cioè quando Leo era già morto e dunque non poteva sapere il voto che aveva preso. […]