"SAREBBE ANCORA VIVA SE CI AVESSERO ASCOLTATE" - LA RABBIA DI AWA, LA SORELLA DI MOUSSA SANGARE, REO CONFESSO DELL'OMICIDIO DI SHARON VERZENI: "HO DENUNCIATO TRE VOLTE MIO FRATELLO. ERAVAMO IN PERICOLO MA NESSUNO SI È MOSSO. EPPURE I SEGNALI C’ERANO TUTTI. VOLEVAMO AIUTARLO A LIBERARSI DALLA DIPENDENZA. HANNO DETTO CHE DOVEVA ESSERE LUI A PRESENTARSI VOLONTARIAMENTE" - "HO AVUTO PAURA DI MORIRE ANCHE IO. QUELLO CHE HA FATTO A SHARON POTEVA SUCCEDERE A ME…"
-Estratto dell'articolo di Floriana Rullo per www.corriere.it
«Ho avuto paura di morire anche io. Mio fratello ha tentato di uccidermi. Quello che ha fatto a Sharon poteva succedere a me. Ne sono convinta». Awa, sorella di Moussa Sangare, insieme col suo avvocato Stefano Comi, racconta gli anni di violenze che lei e la madre hanno dovuto subire da parte del fratello, 30 anni non ancora compiuti, ora in stato di fermo e in carcere dopo aver confessato il delitto di Sharon.
«È stata un’escalation — dice la 24enne, studentessa di Ingegneria a Bergamo —. Io mia madre Kadiatou abbiamo fatto di tutto per aiutarlo. Non volevamo credere a quello che ha confessato. Con mamma siamo scoppiate in lacrime. Forse però se ci avessero ascoltate Sharon sarebbe ancora viva. Il nostro pensiero va a lei e alla sua famiglia».
Awa, voi avevate segnalato la violenza di Moussa...
«In ben tre denunce. La prima nel 2023, l’ultima a maggio. Danneggiamenti, violenza domestica, maltrattamenti. Eravamo in pericolo. Nessuno si è mosso. Sia io sia il mio avvocato abbiamo scritto al sindaco, agli assistenti sociali. Eppure i segnali c’erano tutti. Volevamo aiutarlo a liberarsi dalla dipendenza. Ci abbiamo provato: hanno detto che doveva essere lui a presentarsi volontariamente. Non lo ha fatto».
Quando è cambiato?
«Dal suo ritorno dall’estero. Era andato in America e in Inghilterra, voleva fare il rapper, ha lavorato come cameriere. Noi siamo sempre stati a Suisio, io e Moussa siamo nati qui, abbiamo frequentato le scuole in paese. I miei genitori sono originari del Mali, la casa è nostra. […] Quando è tornato dall’estero, nel 2019, Moussa ci ha detto che aveva fatto uso di droghe sintetiche. Non era più lui».
Era violento?
«Per qualche anno abbiamo tentato di contenerlo. Nel 2023, ad aprile, mia mamma ha avuto un ictus. La situazione è degenerata: quella notte ha tentato di buttare giù la porta. Voleva i soldi. Tre mesi dopo ha aperto il gas, incendiando la cucina».
Poi il secondo episodio...
«Era novembre. Mi ha minacciato con parole pesanti. Mi ha detto “Ti ammazzo”, mi ha gettato oggetti addosso. Abbiamo chiesto aiuto ai servizi sociali e al sindaco. Siamo state lasciate sole».
[…] E i maltrattamenti...
«Il 9 maggio scorso. Mi ha puntato contro un coltello, prendendomi alle spalle. Ero in cucina, ascoltavo musica con le cuffie. È scattato il codice rosso e il suo allontanamento».
Che non è arrivato..
«Era sparito. Non abbiamo più saputo nulla. Poi abbiamo scoperto che aveva occupato la casa al piano terra».
[…]
Avete sospettato di lui in questo mese?
«No, la bici era sotto il telo. Non abbiamo visto nulla. Moussa viveva di notte, di giorno dormiva. Non lavorava, era disoccupato». […]
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