RIMANDATELI IN ITALIA PRIMA DI SUBITO - ALLA PRIMA UDIENZA PER LA PROCEDURA DI ESTRADIZIONE, I 9 EX TERRORISTI LATITANTI DI FRANCIA SI SONO DICHIARATI INNOCENTI - L'EX BR MARIA PETRELLA: "LE VITTIME PER LE QUALI SIAMO STATI CONDANNATI SONO STATE LARGAMENTE RISARCITE. QUESTA IDOLATRIA VITTIMISTICA E' UN GRANDE PASSO INDIETRO FILOSOFICO" - GOFFREDO BUCCINI (CORSERA): "UNA FRASE CHE MERITA UN OMERICO VAFFANCULO"
-Le vittime per le quali siamo stati condannati, perdonate il linguaggio cinico, sono state largamente risarcite da tutti compagni che hanno fatto ergastoli.... Questa idolatria vittimistica è un grande passo indietro filosofico”.
(Marina Petrella, brigatista)
— Luca Telese (@lucatelese) May 6, 2021
Frase che merita, onestamente, un omerico vaffanculo
— goffredo buccini (@GoffredoB) May 6, 2021
Francesca Pierantozzi per "il Messaggero"
«Ho vissuto questi anni con grande dolore» dice Marina Petrella arrivando alla Corte d'Appello di Parigi. Nell'aula 5, quella della Chambre de l'Instruction, comincia ufficialmente la procedura di estradizione per gli «ultimi latitanti» di Francia.
Arrivano alla spicciolata, Giorgio Pietrostefani, Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Sergio Tornaghi, Luigi Bergamin, Narciso Manenti, Raffaele Ventura. Arrivano per sentirsi ripetere i capi di accusa che pesano su di loro in Italia, omicidi, associazione sovversiva, concorso morale, banda armata.
ACCOMPAGNATI Arrivano quasi tutti accompagnati: chi le figlie, chi la moglie, chi un amico. Un gruppetto, c'è anche Oreste Scalzone. Sono venuti a sostenerli silenziosamente fuori, sulla piazza davanti al palazzo di Giustizia sull'Ile de la Cité. I nove vanno dritti dagli avvocati che li aspettano davanti all'aula, cercando di evitare i giornalisti.
Il decimo nome sulla lista di quelli per cui l'Italia chiede l'estradizione continua a essere latitante: Maurizio Di Marzio (ex brigatista, 14 anni per tentato sequestro) ha fatto perdere le tracce dal 28 aprile. Per lui la prescrizione sta per arrivare: scade il 10 maggio.
Roberta Cappelli (ex Brigate Rosse, ergastolo per associazione con finalità di terrorismo, concorso in omicidio e rapina) non cede ai cronisti, sussurra: «è impossibile parlare adesso, non si può spiegare tutto con poche parole, con una dichiarazione».
Marina Petrella (ex Brigate Rosse, ergastolo per concorso in omicidio) si ferma prima di entrare a palazzo di Giustizia. Ci sono le figlie, una «collega» che lavora con lei come assistente sociale nel 20simo arrondissement. Cerca le parole, preferisce il francese, anche se dopo trent'anni resta forte l'accento italiano, anzi romano: «So che ogni mia parola varrà l'accusa di essere arrogante, che arriveranno invettive. Siamo alla fine: tengo a dire che ho vissuto tutti questi anni con grande dolore. Dolore e compassione per le vittime, tutte le vittime, per tutte le famiglie coinvolte, compresa la mia».
«Sono stata condannata sulla base dell'assunzione di responsabilità collettiva», spiega a qualche giornalista Petrella, «quest'assunzione di responsabilità resta, ma alla giustizia spetta condannare in base a chi ha fatto cosa, e questo non è stato fatto. Gli ergastoli erano a palate. Ci sono state tante vittime, e ci sono stati tanti compagni che hanno pagato con l'ergastolo per quelle vittime, che non sono rimaste impunite, senza memoria. E' stato uno scontro duro per tutti».
«Da parte mia, ho fatto 10 anni di carcere, fra Italia e Francia. E 30 di esilio, un'espiazione quotidiana che dura tutta la vita, una pena senza sconti e senza grazie. Che ti impedisce di tornare nella terra natale, di dare sepoltura ai tuoi morti. Anche qui un passaggio nel dolore e nella lacerazione».
Trovare finalmente un linguaggio comune, le sembra ancora «impossibile». C'è una sfera «intima» per il perdono della quale, dice, «non parlerà mai» - e poi c'è quella della vita pubblica, dell'impegno civico. «Forse non è un caso se faccio il lavoro che faccio, un lavoro in cui posso essere utile socialmente, fare qualcosa di bene, una sorta di riscatto simbolico».
«PARAGONE OSCENO» In compenso, le parole del ministro della Giustizia francese Dupont Moretti, che ha paragonato i fuoriusciti italiani in Francia ai terroristi del Bataclan, le sembrano «oscene»: «il paragone semmai lo poteva fare con piazza Fontana, Brescia, Bologna, Reggio Calabria».
Davanti all'aula dell'udienza, che dà il via a una procedura che su questo sono tutti d'accordo sarà lunga, forse addirittura lunghissima, c'è anche William Julié, che rappresenta lo stato italiano: chiede al magistrato di poter essere presente durante tutta la causa.
Questo darà all'Italia la possibilità di pesare di più sull'intero iter giudiziario. Davanti al magistrato sfilano uno per uno gli ex latitanti: tutti con le stesse risposte, no, non accettano la richiesta di estradizione, e sì, si dichiarano innocenti.