ROSA, OLINDO E QUEL CHE NON TORNA SULLA STRAGE DI ERBA - GIANLUIGI NUZZI AFFONDA IL COLPO CONTRO IL FRONTE INNOCENTISTA CHE RITIENE LA COPPIA ESTRANEA ALLA STRAGE: “SAREBBERO VITTIME, A SENTIR LORO, DI UNA GIUSTIZIA APPROSSIMATIVA E MEDIOEVALE. E QUELLA LORO AUREA DI MANIFESTA GRETTEZZA, PICCINERIA TRAVESTITA DA INGENUITÀ GRASSA, ANCOR PIÙ SOSTIENE IL SUPERFICIALE COMUNE SENTIRE. DUE PERSONE IGNORANTI E STUPIDE COME LORO MAI AVREBBERO POTUTO COMPIERE LA MATTANZA MA…”
-Gianluigi Nuzzi per “la Stampa”
A due anni urlava e piangeva, a due anni infastidiva. Rosa ha tagliato la gola a Youssef Marzouk per cessare quello strazio che gli acuiva il mal di testa. Mamma Raffaella e nonna Paola, invece, sono morte a sprangate e coltellate per un cocktail micidiale di invidie, rabbie e desiderio di pareggiare i conti che ha reso ciechi gli assassini. Così, la sera dell'11 dicembre 2006 in una palazzina nella corte di via Armando Diaz 25 a Erba vengono tutti uccisi con 76 colpi.
A terra rimane priva di vita anche una la loro vicina, Valeria Cherubini, che abitava con il marito Mario Frigerio in mansarda. Quest' ultimo invece si salva grazie a una malformazione alla carotide e diventa il testimone unico della mattanza, consumata al primo piano, a casa di Youssef, data alle fiamme subito dopo la strage. Olindo Romano e Rosa Bazzi, i vicini di piano terra, rei confessi, sono stati condannati definitivamente all'ergastolo dal 2011.
Eppure godono di una crescente popolarità innocentista. Il fronte dei loro sostenitori si allarga, fa proseliti, si compatta. Eleva Rosa e Olindo agli assassini innocenti più amati nel nostro Paese, vittime, a sentir loro, di una giustizia approssimativa e medioevale. E quella loro aurea di manifesta grettezza, piccineria travestita da ingenuità grassa, ancor più sostiene il superficiale comune sentire. Insomma, due persone profondamente ignoranti e stupide come loro mai avrebbero potuto compiere la mattanza.
L'OPERA DI UN COMMANDO
Il caso sarebbe comunque chiuso se non fossero intervenuti alcuni fatti che alimentano i sogni di chi spera di vedere Rosa e Olindo tornare liberi. Sì i due, serafici, magari lì a trangugiare un hamburger doppio formaggio e patatine, come la notte della strage, con tanto di scontrino delle 21.37, messo agli atti per dar corpo a un alibi in realtà barcollante e che ebbe effetto volano vista l'ora inconsueta della cena. Senza dimenticare che il desiderio di riabilitazione si espande incurante della devastazione che cagiona ai parenti delle vittime.
Per questo fa rumore che proprio uno di quest' ultimi, il tunisino Azouz Marzouk, padre di Youssef, parte lesa della carneficina, professi l'innocenza di Rosa e Olindo. E' convinto che la strage sia opera di un commando addestrato chissà dove e che abbia agito come nei vicoli di Beirut o Pristina, ai tempi delle bombe. Una posizione passata sottotono per l'inverosimiglianza e per la scarsa credibilità di questo signore nato nel 1980 in Tunisia, con alle spalle un patteggiamento a 3 anni e 7 mesi per spaccio e detenzione di cocaina, dopo un arresto nel 2005 e un'altra accusa nel 2007 che determina la sua espulsione dall'Italia.
LA REVISIONE DEL PROCESSO
Questa verità alternativa prima sussurrata poi formalizzata addirittura in un'istanza di revisione, quindi urlata sempre più ora gli è costata persino un processo. E' alla sbarra in aula per rispondere del reato di calunnia per aver accusato Rosa e Olindo di aver affermato il falso quando si sono dichiarati colpevoli. Un processo davvero singolare con i giudici che cercano di parare i rimbalzi mediatici, come a giugno quando hanno negato la deposizione in aula dell'ingombrante parte lesa, ovvero di Rosa e Olindo.Il 25 novembre sarà comunque il suo turno mentre la sentenza è prevista per il 9 dicembre.
Certo, se Azouz dovesse venire assolto in questo processo sarebbe un innegabile colpo indiretto alla sentenza di condanna per la strage di Erba. Anche se i sostenitori della colpevolezza dei coniugi mettono le mani avanti: un'eventuale assoluzione significherebbe solo che rimane legittimo dubitare delle confessioni poi ritrattate di Rosa e Olindo. Su questa stanno lavorando gli avvocati della coppia che puntano a chiedere la revisione, imboccando tutte le strade percorribili.
Come quando hanno chiesto di poter compiere delle analisi su una serie di reperti, rimasti lontani dal faro del processo e che invece «potrebbero dimostrare l'innocenza della coppia», come assicura il difensore Fabio Schembri. E qui la storia si complica e si apre un giallo. Infatti dopo la richiesta dei difensori, il 3 luglio 2017 la corte d'Assise di Como aveva sospeso il provvedimento di distruzione dei reperti, in attesa della decisione definitiva sul riesame degli stessi.
Peccato però che il 12 luglio 2018 il cancelliere dell'ufficio corpi di reato del tribunale, Angelo Fusaro, decide di mandare quegli oggetti (un accendino e altre cose) all'inceneritore, proprio il giorno in cui la cassazione deve dire l'ultima parola sulla richiesta. Quello che succede è presto detto: la suprema corte dà l'ok all'analisi ma i reperti ormai sono ridotti in cenere.
E così parte lo scarico delle responsabilità: Fusaro giura di non avere saputo del provvedimento che sospendeva la distruzione, mentre Francesco Tucci, ex responsabile ufficio corpi di reato, afferma di avere comunicato a Fusaro quell'ordine che bloccava la distruzione. Chi dice il vero? Chi mente? Il fronte innocentista in questo sgambetto della giustizia decripta un'oscura trama per mutilare Rosa e Olindo di quei reperti che avrebbero dimostrato la loro innocenza. Si apre un'indagine per capire chi ha sbagliato ma la procura non accerta la responsabilità individuale e chiede per entrambi l'archiviazione.
I NUOVI REPERTI
Quando i difensori di Rosa e Olindo vanno a spulciare nel fascicolo dell'indagine scoprono però anche dei reperti mai analizzati, anzi ufficialmente distrutti il 12 luglio 2018, come il pigiama indossato da Frigerio e il piumino del letto del bambino. Ma non dovevano essere distrutti? Come se non bastasse con l'arrivo del nuovo funzionario, Paola Valsecchi, l'archivio viene riordinato ed ecco come per incanto che compare «uno scatolone contenente cinque plichi di reperti, quattro () contenenti una tanica, otto coltelli, un affilacoltelli, un mazzo di chiavi ed un abbonamento, e uno contenente un cellulare», che risulta «aperto senza che vi fosse allegato il verbale di apertura».
I difensori chiedono di poterli analizzare la ma corte d'assise risponde picche. Adesso si attendono i gradi successivi mentre gli avvocati lavorano sull'unica concessione ottenuta: nuovi file originali dalle intercettazioni e altri nastri per capire se sono stati compiute o meno alterazioni. Solo in autunno si saprà se la richiesta di riaprire il processo prenderà forma, superando quindi i baluardi della sentenza definitiva, prove scientifiche e testimoniali.
Come quella oculare di Frigerio («non me la dimenticherò mai quella faccia», disse in aula indicando Olindo), le confessioni ricche di particolari che potevano essere conosciuti solo dagli autori. Dettagli che sapeva chi c'era, come la posizione delle vittime o quei cuscini vicino al corpo di Raffaella. O, infine, la traccia di sangue sul battitacco dell'auto della coppia con le caratteristiche genetiche sovrapponibili perfettamente a quelle di Valeria Cherubini, senza alcuna degradazione del dna.
Quest' ultima particolarità, porta l'accusa a ritenere che l'impronta sia stata lasciata prima dell'arrivo dei soccorritori, che avrebbero potuto alterarla con l'acqua usata per spegnere le fiamme. E, quindi, subito dopo la mattanza. In attesa del bivio, rimane l'intercettazione del 7 gennaio 2008, tre giorni prima della clamorosa confessione, quando Rosa, mancina come uno degli aggressori, confidò a Olindo: «Ho paura come quella sera che siamo andati a Como».
"Quella sera" era la sera della strage, era la cenetta dell'hamburger, patatine e carneficina. Perché Rosa aveva così paura, se quella sera era uscita serena con il marito alle 20 per andare a guardare le vetrine senza sapere - stando almeno alla sua ritrattazione - quanto accadeva ai vicini? O forse bisogna ripetere le parole di Olindo per arrivare alla cruda verità? Già, quando Olindo in modo terrificante sibilò: «E' stato come ammazzare un coniglio, se l'è meritata».