L’EPIDEMIA SI POTEVA EVITARE? CI SONO NUOVE PROVE SUI TENTATIVI DEL REGIME CINESE DI NASCONDERE IL CORONAVIRUS: SPUNTA UNA MAIL DEL 2 GENNAIO IN CUI SI CHIEDEVA ALLA COMUNITÀ SCIENTIFICA DI NON DIVULGARE NIENTE: “TUTTI I DATI NON DEVONO ESSERE PUBBLICATI SUI SOCIAL” – ERANO I GIORNI IN CUI IL MEDICO EROE LI WENLIANG DENUNCIAVA I CASI SOSPETTI, RICEVENDO IN CAMBIO LA VISITA DELLA POLIZIA - IERI I GUARITI HANNO SUPERATO I NUOVI CONTAGI, MA SONO MORTI 2 PASSEGGERI GIAPPONESI DELLA “DIAMOND PRINCESS” - VIDEO
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1 – CORONAVIRUS, IERI NUMERO DEI GUARITI IN CINA HA SUPERATO NUOVI CONTAGI
(LaPresse) - In Cina il numero delle persone guarite da coronavirus ieri ha superato quello dei contagiati. Lo riferisce la Commissione sanitaria nazionale specificando che ieri 1.824 persone sono state dimesse dagli ospedali dopo essere state curate, mentre sono 1.749 i nuovi casi registrati. In tutto la Commissione cinese ha registrato 2.004 morti e 74.185 casi confermati.
2 – CORONAVIRUS, IERI NUMERO DEI GUARITI IN CINA HA SUPERATO NUOVI CONTAGI-2
(LaPresse) - Secondo la Commissione sanitaria nazionale cinese, è la prima volta che il numero delle persone guarite da coronavirus supera quello dei nuovi contagi. In tutto, stando ai dati di ieri, i pazienti infetti e poi dimessi dopo la guarigione sono stati 14.376.
3 – CORONAVIRUS, MORTI 2 PASSEGGERI GIAPPONESI DELLA DIAMOND PRINCESS
(LaPresse/AP) - Il ministero della Salute giapponese ha dichiarato che due passeggeri della nave da crociera Diamond Princess colpita dal coronavirus, sono morti in ospedale, portando a tre il numero di morti in Giappone. Nell nave in questione, in quarantena al largo del porto di Yokohama, si registra il maggior numero di casi al di fuori della Cina, con 621 passeggeri e l'equipaggio risultati positivi ai test. Secondo le autorità giapponesi citate da Nhk, si tratta di una coppia di giapponesi, un uomo di 87 anni e una donna di 84
4 – CORONAVIRUS, 'TITOLO RAZZISTA': CINA REVOCA TESSERA STAMPA A 3 GIONALISTI WSJ
(LaPresse) - La Cina ha revocato la tessera stampa a tre giornalisti del Wall Street Journal a Pechino a causa di un articolo "dal titolo razzista" sugli sforzi del paese nella lotta contro l'epidemia di coronavirus. Lo riporta il Global Times citando il portavoce del ministero degli Ester, Geng Shuang.
5 – CORONAVIRUS, 'TITOLO RAZZISTA': CINA REVOCA TESSERA STAMPA A 3 GIONALISTI WSJ-2
(LaPresse/AP) - Il titolo fa riferimento all'attuale epidemia di coronavirus, definendo la Cina "il vero malato dell'Asia". Il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, ha affermato che l'editoriale del 3 febbraio "infanga gli sforzi del governo e del popolo cinesi di contrastare l'epidemia".
I giornalisti, afferma, "hanno usato un titolo veramente discriminatorio e razzista, scatenando indignazione e condanna tra i cinesi e nella comunità internazionale". L'espulsione, ha aggiunto, è arrivata dopo che il WSJ ha rifiutato le richieste di presentare "scuse ufficiali e far sì che le persone coinvolte ne rispondessero". Il Foreign Correspondents' Club of China ha diffuso una nota in cui esprime "profonda preoccupazione e forte condanna" della decisione di Pechino, sottolineando che i tre giornalisti colpiti non hanno ruolo nell'editoriale né nel suo titolo.
6 – PARTITO DA UNA EMAIL L'ORDINE AI MEDICI DI TACERE SUL VIRUS
Da “la Stampa”
La mail spedita il 2 gennaio dall' Istituto di Virologia di Wuhan metteva in allarme la comunità scientifica cinese ed era perentoria su un punto: vietato divulgare. Niente. Nulla deve uscire dal Paese, su canali ufficiali e non ufficiali. Il mondo non deve sapere. «Il comitato sanitario nazionale richiede esplicitamente che tutti i dati sperimentali dei test, i risultati e le conclusioni relative a questo virus non siano pubblicati su mezzi di comunicazione autonomi», si legge nella lettera, cioé i social media.
E ancora, «non devono essere divulgati ai media, compresi quelli ufficiali e le organizzazioni con cui collaborano». Si chiede di «rispettare rigorosamente quanto richiesto». E poi si fanno gli auguri. La direttrice dell' Istituto, Wang Yan Yi, la manda ai vari dipartimenti di virologia e ricerca dopo gli ordini di Pechino.
Gli auguri, però, sono fatti al mondo intero, visto che ancora oggi il mondo intero è sconvolto dal coronavirus, che nessuno sa come debellare. Le prime avvisaglie saranno di venti giorni dopo, quando l' epidemia arriva fino negli Usa, con un 35enne americano, che aveva fatto visita ai suoi familiari a Wuhan. Torna a casa malato: il 20 gennaio, in una clinica della contea di Snohomish nello Stato di Washington, il sanitari provano a trattare il paziente con metodi tradizionali, ma lui peggiora.
Il 27 gennaio, la decisione di somministrargli un nuovo farmaco ancora in via di sperimentazione e non ancora approvato dalla Fda (l' organo federale di controllo americano). Si chiama «Remdesivir», è un antivirale concepito per contrastare il virus dell' ebola. Così, le condizioni del 35enne migliorano, il 30 gennaio i sintomi spariscono. I risultati vengono pubblicati sul New England Journal of Medicine il giorno successivo.
La «ricetta» non resta entro i confini Usa, ma il caso strano è la tempistica con cui la Cina si interessa al remdesivir. Il 21 gennaio, ovvero sei giorni prima che Washington tenti l' uso del farmaco anti-ebola, l' Istituto di Virologia della dottoressa Wang Yan Yi, avanza una richiesta del brevetto. Il motivo? Trattamento di pazienti malati di «nuovo coronavirus». Una richiesta che il centro scientifico tra i migliori al mondo, che fa parte della Cas (Chinese Academy of Science) ovvero la più grande organizzazione di ricerca del mondo, con 60 mila ricercatori e 114 istituti, pubblicherà solo il 4 febbraio sul suo sito.
«Per il farmaco Remdesivir non ancora commercializzato in Cina - dicono - e che presenta barriere alla proprietà intellettuale, abbiamo chiesto un brevetto di invenzione cinese il 21 gennaio in conformità con la pratica internazionale e dal punto di vista della protezione degli interessi nazionali (resistenza al nuovo coronavirus nel 2019)». La Cina offriva, inoltre, di far contribuire le società straniere interessate alla prevenzione e al controllo dell' epidemia cinese (a quel punto uscita allo scoperto in tutto il mondo). «Per il momento non avremo bisogno dell' attuazione dei diritti rivendicati dal brevetto», concedevano i cinesi.
«Speriamo di lavorare con società farmaceutiche straniere per ridurre al minimo l' impatto della prevenzione del controllo delle epidemie». Tante le domande a cui le autorità cinesi dovrebbero rispondere, a partire dall' invio di nascosto della mail. Come ha potuto l' Istituto di Virologia di Wuhan prevedere che un farmaco ancora in fase sperimentale, e non approvato dalla Fda, potesse essere una soluzione a una materia di sicurezza nazionale, quando ancora il 21 gennaio non si erano neppure adottate le misure di sicurezza (quarantena per la città da cui è partito il contagio) necessarie a dichiarare lo stato di emergenza? Nella lettera, proprio nei giorni in cui Li Wenliang denunciava i casi di una nuova Sars, si fa cenno a una «polmonite le cui cause sono ignote».
Si trattava del Covid-19? E perché i risultati dei test sul virus avrebbero dovuto non essere divulgati ai media? Tutte questioni a cui Wuhan e il governo di Xi Jinping, nonostante i rumors sempre più insistenti che circolano tra i loro cittadini, si rifiutano di rispondere.