L’ERA DELLA SPUTTANESCION – NEDVED, SANNA MARIN, ALBINO RUBERTI: ORMAI NON PASSA GIORNO SENZA UN VIDEO “RUBATO” FATTO GIRARE PER GETTARE FANGO SU UN NEMICO - GIANLUCA NICOLETTI: “CHIUNQUE PUÒ OGGI SPUTTANARE, COME FOSSE UN PASSATEMPO DIVERTENTE O UN DIRITTO CIVILE. QUANDO IL GIUSTIZIERE COLLETTIVO COLPISCE CHI CI STA ANTIPATICO LO GIUSTIFICHIAMO CON INDULGENZA, QUANDO CI GRAFFIA NELLA NOSTRA CARNE INVOCHIAMO LA PRIVACY. DI CERTO, DOVUNQUE CI COLLOCHIAMO, NON SARÀ PIÙ POSSIBILE PER NOI USCIRNE…”
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Gianluca Nicoletti per “La Stampa”
Il privato è un rimasuglio del passato. È impensabile nutrire nostalgia dei tempi passati in cui era possibile avere una vita non condivisa da chiunque.
Bisogna far pace con l’idea che non avremo più una zona riservata in cui coltivare lontano da occhi estranei i nostri legittimi momenti di relax, come pure piaceri, passioni, allegrezze di varia maniera.
Scordiamoci l’anonimato, l’indifferenza, la zona confortante dove sia legittimo fare quello che ci piace, fosse anche festeggiare in piacevole compagnia, alzare il gomito, folleggiare, palpeggiare e fare cose stupide, futili, ardite fino alla sconcezza che condivisa e discretamente praticata non rappresenta reato, sopraffazione, attentato al buon costume, vilipendio alle tavole della legge.
Da quando è avvenuta la quasi totale transumanza, di ogni abitante di ogni città del mondo, nella dimensione allargata degli umani digitalmente potenziati, ogni attimo del nostro esistere è a rischio di video divulgazione.
«Welcome to favelas» è la frase che introduce centinaia di migliaia di video che quotidianamente riprendono e pubblicano incidenti stradali, risse, azioni di Polizia, persone che sbroccano, tafferugli, irregolari e «devianti» di ogni tipo (e qui calza a pennello il discusso attributo di chi turbi la quiete di ogni quotidiana invariabilità), insomma tutto quello che rompe la routine nella direzione dell’orrido, del ridicolo, del tragico, del patetico, dell’umanamente commiserevole.
Chiunque può fregiarsi del nome multiplo di segnalatore di episodi da favela, l’esistenza del collettore stimola la lussuria dell’immortalare e pubblicare.
Ognuno può rispondere come crede all’accusa di violatore del privato altrui. Alimentare l’archivio di «Welcome to favelas» può essere millantato come un contributo alla documentazione di episodi di cronaca: spesso è stato pure verosimile. Indubbiamente se visto in questa ottica senza fotoreporter amatoriali e improvvisati non si sarebbe prodotta documentazione di atti efferati, violenze, omicidi, stupri ecc.
Le cronache recenti traboccano di video «rubati» e condivisi che, a ragione o a torto che sia sono diventati essi stessi argomento di dibattere sulla liceità di riprendere, diffondere, usare strumentalmente la prova di un atto in sé immondo.
Solo per completezza qui ricordo i recentissimi casi dell’ambulante assassinato per strada a Civitanova Marche, come quello della donna stuprata, sempre per strada, a Piacenza.
In entrambe le circostanze chi filmava e condivideva non sembrava nemmeno rendersi conto del parossismo del suo gesto, compiva l’atto che oramai è naturale in chiunque abbia una telecamera incorporata alla sua coscienza, documentando secondo il presunto dovere civico di promuove in una dimensione «epica», pubblicamente fungibile, ogni episodio che sfugga dalla norma.
Tutto questo con la probabile convinzione che sia giusto così, perché tutti lo farebbero e quindi perché non approfittarne, centellinando una nuova forma di lussuria per la delazione, forse sentendosi persino investiti di una missione di lecita repressione della divergenza.
Ognuno è tentato a farlo, molti se ne astengono pur faticando, i più non resistono e si abbandonano al reportage, senza nessuna razionale valutazione delle possibili conseguenze nelle vite di chi si riprende; tanto nell’omettere soccorso privilegiando il documentare, quanto nel diffondere ogni truculenza incurante delle conseguenze nella vita della vittima o dei suoi congiunti.
Poi va considerata la stessa attitudine ad auto proclamarsi «archivisti del tempo digitale» nei confronti di personaggi avvolti dall’aura della celebrità. Qui scattano antichi meccanismi di rivalsa nei confronti di chi si ritiene appartenente a un élite ai più interdetta.
È «l’avvoltoio da fotocamera», versione forse meno ossessionata del «leone da tastiera» che spara contro chiunque lo sovrasti in prestigio sociale. Il vip watching degli sfigati fuori dai locali in Costa Smeralda è oramai storia del passato. Ora l’intento è sentirsi Robin Hood e derubare i ricchi per dare ai poveri.
Il furto si riduce a sgraffignare momenti ritenuti socialmente dannosi alla fama del personaggio, per distribuirli a chi non ha nulla per affrancarsi dal suo status di reietto anonimo, cosi si pasce dello spettacolo di teste mozzate a colpi di smartphone.
Sputtanare è facile basta filmare nella notte di Torino un signore di spalle che barcolla per sancire che si tratti di Pavel Nedved ubriaco. Potrebbe essere anche lui ma avrà diritto di una sbornia? No la diagnosi dell’avvoltoio è «crisi da mezza età».
SANNA MARIN BALLA AVVINGHIATA A UNO SCONOSCIUTO IN UN CLUB DI HELSINKI
Non basta poi, sempre un simil Nedved appare a stretto giro in un video probabilmente di anni fa durante un “trenino” in una festa privata mentre si aggrappa alle poppe di una prosperosa ragazza che fa la locomotiva. E allora? Vogliamo giudicarlo alcolista affetto da satiriasi per questo? Se pure fosse non sarebbe per lui lecito esserlo?
La pretestuosità bieca di questo comportamento, ampiamente sdoganato, è la vicenda political bacchettona che ha travolto la premier finlandese Sanna Marin. Alla ragazza che balla a una festa tra amici in un prive di Helsinki viene imputato l’averlo fatto abbracciata stretta a più di un uomo.
Due ragazze del gruppo si baciano… Per tutti è Sodoma e Gomorra, qualcuno ci ha marciato ma se l’ha potuto fare è perché non mancano i paladini della virtù, che filmano e mettono da parte.
Persino la grottesca vicenda dello sbrocco da Suburra di Albino Ruberti, che sta costando carissimo all’ex Capo di Gabinetto del Sindaco di Roma, è stata giocata su un ignoto documentarista. Poco cambia se ha agito strumentalmente a giochi politici interni, il metodo è collaudato e funziona proprio perché mimetizzato in un uso collettivo e ampiamente tollerato.
Chiunque può oggi sputtanare, come fosse un gioco, un passatempo divertente o ancor più un diritto civile. Quando il giustiziere collettivo colpisce chi ci sta antipatico di solito tendiamo a giustificalo con indulgenza, quando ci graffia nella nostra carne invochiamo la privacy. Di certo, dovunque ci collochiamo, non sarà più possibile per noi uscirne.