L’ULTIMA PICCONATA AI PADRI - LA CORTE COSTITUZIONALE METTE IN DUBBIO LA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL'ARTICOLO DEL CODICE CIVILE PREVEDE L'ATTRIBUZIONE AUTOMATICA DEL COGNOME PATERNO - SECONDO I GIUDICI, SAREBBE IN CONTRASTO TANTO CON L'ARTICOLO 2 DELLA COSTITUZIONE SOTTO IL PROFILO DELLA TUTELA DELL'IDENTITÀ PERSONALE, QUANTO CON L'ARTICOLO PER IL RICONOSCIMENTO DELL'EGUAGLIANZA TRA DONNA E UOMO…
-Valentina Errante per “il Messaggero”
Potrebbe essere una rivoluzione. E ancora una volta la Corte Costituzionale colmerebbe un vuoto normativo, supplendo all' inerzia del legislatore. La questione è da anni al centro del dibattito politico, ma il dossier è fermo in parlamento. Ora i giudici della Consulta, che avrebbero dovuto pronunciarsi sulla legittimità della legge che impedisce a una coppia non sposata di dare di comune accordo al figlio il solo cognome materno, hanno deciso di sciogliere definitivamente il nodo, affrontando un tema che avevano già definito indifferibile.
Conclusione: ieri la Corte ha sollevato davanti a se stessa, circostanza già di per sé assai rara, la legittimità costituzionale dell' articolo del codice civile che in questi casi prevede l' attribuzione del cognome paterno. Una procedura inconsueta, che si è quasi sempre conclusa con bocciatura delle norme esaminate.
Il problema, insomma, sarebbe a monte, e non nel fatto che una coppia di Bolzano, di comune accordo, non possa scegliere il cognome della mamma. I dubbi di costituzionalità riguardano quell' uso normativo, che trova riscontro nel codice civile, in base al quale, se il figlio è riconosciuto, avrà il cognome paterno.
«Questione pregiudiziale», rispetto a quella sollevata dal Tribunale civile di Bolzano. Cinque anni fa la Corte aveva sollecitato un intervento del legislatore per riformare in maniera organica «secondo criteri finalmente consoni al principio di parità» la questione del cognome da attribuire ai figli. Da allora, però, non è cambiato niente, con i progetti di riforma rimasti al palo. E così, ancora una volta, la Consulta dà una scossa al Parlamento.
LA VICENDA
Secondo i giudici di Bolzano l' attuale formulazione dell' articolo del codice civile portato all' esame della Corte sarebbe in contrasto tanto con l' articolo 2 della Costituzione (che tutela i diritti inviolabili dell' uomo) sotto il profilo della tutela dell' identità personale, quanto con l' articolo 3 della Carta («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso») sotto il profilo del riconoscimento dell' eguaglianza tra donna e uomo.
Non solo, per il Tribunale civile,: ci sarebbe anche la violazione degli articoli 11 e 117, primo comma della Costituzione, in relazione agli articoli 8 e 14 della Cedu e agli articoli 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell' Unione europea (Cdfue), che riguardano il rispetto della vita privata e della vita familiare e il divieto di discriminazione.
VUOTO NORMATIVO
I giudici sono andati oltre. Dopo una lunga camera di consiglio hanno deciso che, per pronunciarsi, devono esaminare il problema alla base: quel passaggio che prevede, nel caso di figli nati fuori dal matrimonio e riconosciuti contemporaneamente da entrambi i genitori, l' attribuzione del cognome paterno potrebbe avere fatto il suo tempo. Le motivazioni arriveranno nelle prossime settimane, ma la decisione finale, per la quale bisognerà ancora attendere, a questo punto, sembra scontato.
Anche in questo caso, il giudice relatore della decisione è Giuliano Amato, lo stesso della sentenza del 2016, che già aveva dato una picconata all' automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, dichiarandola incostituzionale «in presenza di una diversa volontà dei genitori».
Quella sentenza, che riponeva comunque le sue speranze nella capacità di intervento del Parlamento, definì l' impossibilità per la madre di dare al figlio sin dalla nascita il proprio cognome «un' irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell' unità familiare». Ora si potrebbe aprire un altro varco, nel nome della parità.