LA SANITÀ PUBBLICA SI CALA LE BRAGHE DAVANTI AI PRIVATI – LA NUOVA TENDENZA DILAGANTE NEL SERVIZIO SANITARIO È QUELLA DI AFFIDARE AI PRIVATI LA GESTIONE DELLE SALE OPERATORIE DEI NOSTRI OSPEDALI – REGIONI E AMMINISTRATORI SI GIUSTIFICANO: UNA DECISIONE DETTATA DALLA MANCANZA DI PERSONALE. PECCATO CHE L'APPALTO DEI BLOCCHI OPERATORI COSTI MOLTO PIÙ DI QUANTO SI SPENDEREBBE ASSUMENDO I MEDICI E GLI INFERMIERI CHE MANCANO - LA REPLICA DEL "GRANDE OSPEDALE METROPOLITANO BIANCHI-MELACRINO-MORELLI"
-Replica del "Grande Ospedale Metropolitano "Bianchi-Melacrino-Morelli" di Reggio Calabria
In riferimento all’articolo pubblicato il 29 ottobre su “Dagospia”, “La sanità pubblica si cala le braghe davanti ai privati”, estratto dell’articolo di Paolo Russo per “La Stampa”, il Grande Ospedale Metropolitano “Bianchi-Melacrino-Morelli” di Reggio Calabria, nell’esercizio del diritto di replica, chiarisce quanto segue.
Nell’articolo in questione il giornalista, nella generalità del discorso che coinvolge diverse realtà sanitarie pubbliche, fa esplicita menzione degli “Ospedali Riuniti” di Reggio Calabria, affermando che la ristrutturazione delle sale operatorie è stata affidata alla Ngc, alla quale viene assegnata anche la loro gestione logistica e di approvvigionamento.
Ebbene, quanto riportato è completamente destituito da ogni fondamento. Infatti, nel lontano 2017, la Ngc Italia propose al G.O.M., ai sensi degli artt. 179 c. 3 e 183 c. 15 del D. Lgs. n. 50/2011, un progetto per la ristrutturazione delle sale operatorie di Ostetricia e Ginecologia del presidio “Riuniti” del G.O.M. di Reggio Calabria, che avrebbe previsto anche la gestione logistica e gli approvvigionamenti delle stesse. Tuttavia, diversamente da quanto riportato dall’articolo, la richiesta di partenariato non ebbe alcun seguito.
Le due sale operatorie di Ostetricia e Ginecologia sono attualmente in fase di completamento e la loro ristrutturazione è stata eseguita con fondi aziendali, regionali e statali. Si rimarca che il gruppo operatorio di Ostetricia rappresenta solo una parte del novero delle sale operatorie attive al G.O.M. di Reggio Calabria, costituito da 8 sale operatorie nel blocco principale ed ulteriori due nella Cardiochirurgia nonché, ancora, una sala di Emodinamica e una di Endoscopia. Il tutto realizzato con finanziamenti esclusivamente pubblici.
In riferimento, poi, al ritmo blando dell’attività operatoria di cui si scrive nell’articolo e che sarebbe il risultato di una ricognizione del Ministero della Salute, si chiarisce che, nell’anno 2022, il G.O.M. di Reggio Calabria ha effettuato al Blocco Operatorio un numero complessivo di 4.940 interventi di cui 206 di chirurgia robotica.
Ciò detto, lungi dal voler negare le oggettive difficoltà che riguardano la Sanità pubblica, si chiede nell’affrontare i delicati argomenti relativi alla salute, di porre una più attenta verifica delle fonti al fine di non gettare discredito su Aziende i cui organi direzionali e, soprattutto, tutti i lavoratori faticano non poco per garantire servizi e assistenza migliori possibili. Il presente comunicato vale come richiesta di replica e si chiede di voler dare la medesima visibilità dell’articolo oggetto della risposta.
Staff Direzione Generale
Estratto dell’articolo di Paolo Russo per “La Stampa”
«Ho l'assicurazione ma se dovessi operarmi andrei nel pubblico, mi dà più sicurezza». È un ragionamento che fanno in molti, soprattutto quando si tratta di un intervento serio, magari al cuore o per la rimozione di un tumore. Ma pochi, o forse nessuno, sanno della nuova tendenza dilagante nella sanità, quella di affidare la gestione delle sale operatorie dei nostri ospedali ai privati.
Per carenza di personale, è il ritornello di Regioni e amministratori quando si tratta di giustificare il passaggio di consegne. Salvo poi scoprire che l'appalto dei blocchi operatori costa molto più di quanto si spenderebbe decidendosi finalmente ad assumere il personale che manca. O anche a riorganizzare una rete di sale operatorie […]
Tanto che sono tantissimi gli ospedali che operano sotto i livelli standard di sicurezza, proprio perché fanno troppi pochi interventi per acquisire sufficiente esperienza e dimestichezza.
Ma oramai è così, la privatizzazione strisciante non risparmia più nemmeno il tempio sacro dei nostri ospedali: le sale operatorie.
L'ultimo ad averle appaltate ai privati è il Policlinico di Tor Vergata, quello dell'omonima università romana di cui era rettore il nostro ministro della Salute, Orazio Schillaci, prima di conquistare il suo scranno nel governo Meloni. Nonostante il buco da 100 milioni che rende rosso fuoco il bilancio del Policlinico, il suo direttore generale, Giuseppe Quintavalle, ha appena informato la Regione Lazio di aver dato il via libera alla proposta di Althea Italia, azienda leader nella gestione integrata delle tecnologie biomediche, per la ristrutturazione, l'allestimento e la gestione integrata dei blocchi A e B, oltre che della terapia intensiva e del day surgey.
[…] La scelta è stata giustificata specificando che il contratto di partenariato pubblico-privato costituisce «uno strumento determinante per la pubblica amministrazione», mediante il quale realizzare obiettivi strategici grazie a una serie di incentivi. In altre parole, un affare.
Per chi lo sia veramente è facile intuirlo dopo aver ascoltato le parole di Marco Scatizzi, presidente dell'Acoi, l'Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani: «Sicuramente il costo degli appalti è nettamente superiore a quello del personale che bisognerebbe assumere per far gestire al pubblico, in massima sicurezza, le sale operatorie dei suoi ospedali. Invece stanno dilagando da Nord a Sud contratti di servizio con società private, che a volte riguardano solo la strumentazione, a volte anche gli anestesisti, gli infermieri di sala e persino i chirurghi».
In pratica, sottolinea il loro rappresentante, «un sistema simile a quello dell'appalto ai gettonisti ma più in grande». Solo che così i costi finiscono nel capitolo «beni e servizi» dei bilanci di Asl e ospedali, da anni in crescita esponenziale proprio a causa degli appalti ai privati di vario genere.
Un escamotage costoso, che viene utilizzato dai direttori generali delle aziende sanitarie per non sforare l'anacronistico tetto di spesa per il personale, ancorato per legge ai livelli del lontano 2004, in più diminuiti dell'1,4%. Un ostacolo che né questo né i precedenti governi si sono mai decisi a rimuovere. Fatto è che la privatizzazione delle sale operatorie prosegue sotto traccia.
[…]
Agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria la ristrutturazione delle sale operatorie e è stata affidata alla Ngc, alla quale viene assegnata anche la loro gestione logistica e di approvvigionamento. La stessa società in Sicilia, al Policlinico Paolo Giaccone di Palermo, anni fa si è accaparrata un appalto di 27 milioni di euro nei cosiddetti «global service», poi rescisso per alcune inadempienze sulle quali ha indagato la Procura del capoluogo. Ma per capire quanto il fenomeno sia dilagante basta dire che la stessa Ngc vanta circa 90 nosocomi sotto contratto.
«L'ospedale di Voghera è al 70% in gestione ai privati», rivela il professor Scatizzi, secondo il quale questo processo di affidamento in appalto «è in forte accelerazione e si sta diffondendo a macchia di leopardo un po' in tutta Italia». Colpa dei vuoti in pianta organica. Ma anche della cattiva gestione di quel che abbiamo nel pubblico. Recentemente l'Agenas, l'agenzia pubblica per i servizi sanitari regionali, ha presentato il nuovo Piano esiti dei nostri ospedali, dove a causa dello spezzatino che si fa delle sale operatorie, in molti casi non si raggiunge la soglia di sicurezza in termini di interventi eseguiti in corso d'anno.
Per il by-pass coronarico ad esempio solo il 24% delle strutture supera la soglia di sicurezza dei 200 interventi l'anno. E il dato è anche in netto peggioramento. Per la frattura al femore un ospedale su quattro fa così pochi interventi da mettere a rischio la gamba dei propri pazienti, mentre il 23% delle strutture è sotto gli standard per il tumore alla mammella e 163 ospedali non arrivano a fare 10 interventi l'anno di rimozione del tumore al fegato, considerati una soglia minima. Storture di una organizzazione pensata per far fregare le mani ai privati. Anche a discapito della sicurezza degli assistiti.