SETTANTA MI DÀ TANTO (E I GIOVANI RIMANGONO DISOCCUPATI O SCAPPANO) – SECONDO UNA RICERCA DI UNIONCAMERE ALLA GUIDA DELLE AZIENDE ITALIANE CI SONO SEMPRE PIÙ ULTRA-SETTANTENNI. IN DIECI ANNI SI SONO PERSI PIÙ DI UN MILIONE E 300MILA CAPITANI D’IMPRESA SOTTO I 50 ANNI: OGGI SONO IL 53% IN MENO RISPETTO AL 2011 – DOVE SONO FINITI? PROBABILMENTE ALL’ESTERO, DOVE GUADAGNANO DI PIÙ, SONO MAGGIORMENTE RISPETTATI E DOVE IL RICAMBIO GENERAZIONALE È UNA COSA SERIA…
-Attilio Barbieri per “Libero quotidiano”
Al timone delle imprese italiane ci sono sempre meno giovani. Nella realtà sta accadendo l'esatto contrario di quello che la narrazione prevalente ha accreditato da tempo. Si tratta di dati incontrovertibili.
Secondo un'analisi condotta da Unioncamere e Infocamere sul Registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio, in dieci anni si sono persi oltre un milione e 300mila capitani di impresa under 49. Per la precisione oggi sono il 53% in meno rispetto al 2011. Nel medesimo lasso di tempo sono aumentati gli ultrasettantenni che pesano il 27% in più rispetto a dieci anni or sono.
Tra il 2011 e il 2021 il sistema imprenditoriale italiano ha registrato un forte aumento dell'età della classe dirigente. «Ci sono sempre più teste grigie fra titolari, amministratori e soci al comando delle imprese, soprattutto al Sud dove gli over 70 sono aumentati addirittura del 41%, a fronte di un dimezzamento dei condottieri con meno di cinquant' anni», scrivono i curatori della ricerca. Un fenomeno che contraddice l'immagine stereotipata da un management sempre più giovane e più rampante, incline ai cambiamenti e alle innovazioni.
Addirittura in procinto di lanciare una rivoluzione digitale, soppiantando i modelli di gestione d'impresa classici. Nulla di tutto questo trova conferma nella realtà.
UNDER 30 INTROVABILI
Più nel dettaglio, la classe di età con meno di 30 anni fra imprenditori e manager si è ridotta del 25,9% e del 28% quella fra i 30 e i 49 anni.
E fra i giovani con meno di 30 anni sono soprattutto il Mezzogiorno e la componente femminile ad avere registrato la maggiore contrazione: rispettivamente -29,8% e -28%.
Contemporaneamente sono ben 623mila in più le persone con incarichi di vertice fra i 50 e i 69 anni (+ 17,1%) Mentre sono 277mila in più gli over 70.
Numeri che non lasciano dubbi e testimoniano pure la carenza di ricambio generazionale a tutti i livelli. Se mancano i giovani operai specializzati con le caratteristiche ricercate dalle imprese, latitano pure i giovani manager. Il sistema Italia, così, è sempre meno reattivo alle innovazioni di prodotto e di processo. Una caratteristica che spiegherebbe anche la differenza di produttività nelle nostre organizzazioni rispetto a quelle degli altri grandi Paesi europei. Francia e Germania soprattutto. Un fenomeno, perdipiù, in atto da tempo.
MODERNIZZAZIONE
«Il forte calo di giovani alla guida delle imprese, causato anche dall'invecchiamento della popolazione, pone un serio problema di passaggio generazionale dell'imprenditoria italiana che va affrontato in modo deciso», sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, secondo il quale il fenomeno «rischia di rallentare il processo di modernizzazione in corso del modo di fare impresa in Italia cogliendo i vantaggi legati alla transizione 4.0».
Rischiamo anche di sprecare alcune delle cartucce offerte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, centrato proprio sulle competenze e sulle capacità digitali che le imprese possono e potranno mettere in campo. L'indagine di Unioncamere smentisce pure l'agiografia degli "startupper", i neoimprenditori quasi sempre nativi digitali - pronti a gettarsi a capofitto nei nuovi business innovativi richiesti e spesso creati dalla digitalizzazione dell'economia in atto.
Per quanti possano essere incidono marginalmente a livello numerico sul totale dei capitani d'impresa attivi nel nostro Paese. Ed è logico nutrire il dubbio, a questo punto, che si tratti soprattutto di eccezioni. Diversamente non si spiega l'andamento demografico dei vertici aziendali italiani.