SIAMO DROGATI DI TORTE E BURRO – LO STUDIO PUBBLICATO SU "NATURE" DALLO ZUCKERMAN INSTITUTE CI SPIEGA COME I CIBI RICCHI DI GRASSI INNESCHINO UN’ASSUEFAZIONE – “È LECITO PENSARE CHE IL CIBO ATTIVI I CIRCUITI CEREBRALI CHE GUIDANO LA RISPOSTA COMPORTAMENTALE" E DUNQUE CI FACCIA SGARRARE DURANTE LA DIETA - MA ATTENZIONE: "QUESTI ESPERIMENTI SUGGERISCONO LA POSSIBILITÀ DI NUOVE STRATEGIE PER CAMBIARE LA RISPOSTA DEL CERVELLO AL CIBO” - VIDEO
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Daniela Natali per www.corriere.it
Siete a dieta ma non riuscite a resistere a torte e burro? Forse la spiegazione non sta, come direbbero in molti, nella vostra mancanza di forza di volontà, ma in una connessione tra l’intestino e il cervello che guida il desiderio di cibi «grassi».
Allo Zuckerman Institute della Columbia University, in uno studio condotto sui topi, si è scoperto che il «grasso» che entra nell’intestino innesca una forma di assuefazione capace di stimolare il desiderio di altri cibi grassi.
Pubblicato il 7 settembre 2022 su Nature, lo studio prospetta la possibilità di riuscire a interferire con questa connessione intestino-cervello per aiutare a prevenire scelte malsane e affrontare la crescente crisi sanitaria globale causata dall’eccesso di cibo.
«Viviamo in tempi senza precedenti, in cui il consumo eccessivo di grassi e zuccheri sta causando un’epidemia di obesità e disturbi metabolici — ha commentato il primo autore della ricerca, Mengtong Li, dello Zuckerman Institute —. Se vogliamo controllare il nostro insaziabile desiderio di cibi grassi e malsani, la scienza ci sta dimostrando che la chiave su cui agire è la connessione tra l’intestino e il cervello».
Questa nuova visione delle scelte alimentari è iniziata con un lavoro precedente del professo Charles Zuker, sempre allo Zukerman Institute, sullo zucchero, studio in cui si è scoperto che il glucosio attiva un circuito specifico tra intestino-cervello che comunica a quest’ultimo la presenza di zucchero nell’intestino.
I dolcificanti artificiali, senza calorie, al contrario, non innescano questo meccanismo il che, probabilmente contribuisce a spiegare perché le bibite dietetiche ci facciano sentire insoddisfatti. «Queste ricerche stanno dimostrando che la “lingua” “dice” al nostro cervello ciò che ci piace: cibi salati o dolci o ricchi di grassi, e ciò di cui abbiamo bisogno», ha dichiarato Zuker.
«Per meglio chiarire le ipotesi allo studio — ha aggiunto Li — sono state proposte ai topi bottiglie d’acqua con grassi disciolti, tra cui olio di soia, e bottiglie d’acqua contenenti sostanze dolci. I roditori entro un paio di giorni hanno sviluppato una forte preferenza per l’acqua contenente grassi. E la preferenza si è confermata anche quando i ricercatori hanno modificato geneticamente i topi rimuovendone la capacità, attraverso la lingua, di percepire il gusto del grasso».
Anche se gli animali non potevano più cogliere il gusto del grasso, erano comunque spinti a consumarlo. È quindi lecito pensare che il cibo ricco di grassi attivi i circuiti cerebrali che guidano la risposta comportamentale degli animali. Per cercare quel circuito, Li ha misurato l’attività cerebrale nei topi mentre dava agli animali dei grassi e ha visto che i neuroni di una particolare regione del tronco cerebrale si sono risvegliati.
Un dato interessante perché questa zona cerebrale era anche implicata nella precedente scoperta relativa alla base iniziale della preferenza dello zucchero.
Dopo aver identificato il meccanismo biologico alla base della preferenza per il grasso, Li ha poi esaminato da vicino l’intestino stesso, in particolare le cellule endoteliali che lo rivestono. Ha così trovato due gruppi di cellule che inviano segnali ai neuroni in risposta al grasso. Un gruppo di cellule funziona come sensore generale e risponde ai grassi, ma anche agli zuccheri e agli amminoacidi; un altro gruppo risponde invece solo ai grassi aiutando il cervello a distinguerli da altre sostanze nell’intestino».
Li ha poi fatto un importante passo in avanti bloccando l’attività di queste cellule utilizzando un particolare farmaco. La segnalazione di spegnimento di entrambi i gruppi cellulari ha impedito ai neuroni di rispondere al grasso nell’intestino. Ha quindi usato tecniche genetiche per disattivare tutti i neuroni implicati nel meccanismo e in entrambi i casi un topo ha perso “l’appetito” per il grasso».
«Questi esperimenti – ha concluso Li – suggeriscono la possibilità di nuove strategie per cambiare la risposta del cervello al cibo. La posta in gioco è alta. I tassi di obesità sono quasi raddoppiati in tutto il mondo dal 1980.
Oggi, quasi mezzo miliardo di persone soffre di diabete. Il consumo eccessivo di alimenti economici e altamente trasformati ricchi di zuccheri e grassi sta avendo un impatto devastante sulla salute umana, specialmente tra le persone a basso reddito. Più comprendiamo come questi alimenti dirottino il meccanismo biologico alla base del gusto e il funzionamento dell’asse intestino-cervello, maggiori saranno le opportunità di intervenire».