LA SICCITÀ CI LASCIA TUTTI A BOCCA ASCIUTTA - L'ARIDITA' CHE HA COLPITO IL NOSTRO PAESE STA CAUSANDO DANNI PER 2 MILIARDI DI EURO ALL'AGRICOLTURA E UNA RIDUZIONE DELLA PRODUZIONE DI GRANO, FRUTTA E ORTAGGI - PESANO ANCHE GLI AUMENTI DEI COSTI ENERGETICI PER SOLLEVARE L'ACQUA E DISTRIBUIRLA - A SUBIRE LA CRISI IDRICA È ANCHE IL SETTORE TURISTICO - IL PRESIDENTE DI COLDIRETTI HA CHIESTO AL GOVERNO "INDENNIZZI ADEGUATI"  

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Francesco Moscatelli per “la Stampa”

 

Mentre lungo il Po si misurano con preoccupazione i centimetri di acqua persi - al Ponte della Becca, in provincia di Pavia, ieri si è arrivati a -3,7 metri, il dato peggiore da settant' anni - negli uffici studi dei settori più dipendenti dalle risorse idriche si stanno cominciando a valutare i danni economici della «grande sete» in Italia. Numeri che fanno tremare i polsi e che sono solamente una minima parte di quei 178 mila miliardi di dollari che l'economia mondiale potrebbe perdere nei prossimi cinquant' anni a causa dei cambiamenti climatici in base al Global Turning Point Report 2022 di Deloitte.

 

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Coldiretti ha rivisto al rialzo i danni della siccità sull'agricoltura: in primavera si ragionava attorno a 1 miliardo di euro di mancati raccolti, ieri la cifra per il 2022 ha raggiunto i 2 miliardi. La mancanza d'acqua riduce la produzione di grano (-15%) ma anche di girasole, mais, foraggi per l'alimentazione animale, frutta e ortaggi. Il primo effetto è l'aumento della dipendenza dall'estero da cui già acquistiamo il 64% del grano tenero, il 44% del grano duro, il 47% del mais per gli allevamenti e il 27% dell'orzo.

 

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A impensierire molto, soprattutto in Pianura padana, è anche l'abbandono delle risaie. «Lo scorso anno la superficie coltivata a riso superava i 220 mila ettari - spiega Paolo Carrà, presidente dell'Ente Risi -. Oggi siamo sotto i 214 mila e alcuni risicoltori della Lomellina in questi giorni hanno deciso di abbandonare il riso e di destinare i campi a una soia di seconda coltura. Il paradosso è che siamo in una fase di mercato in cui la domanda di riso cresce».

 

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In Emilia Romagna le perdite potrebbero arrivare a 300 milioni di euro perché finora è stato dato il 30% dell'acqua che serve ad albicocche, ciliegie, pesche e susine e addirittura solo il 12% a meli e peri. Nel Lazio si arriva a 250 milioni di euro di danni considerando gli investimenti sostenuti per le semine, l'aumento dei costi del gasolio e dell'elettricità per irrigare e i livelli bassissimi di produzione.

 

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«Ulivo e vite produrranno di meno per questo caldo eccessivo, e solo in autunno riusciremo davvero a quantificare questo danno - analizza Massimo Gargano, direttore di Anbi, l'associazione che riunisce 141 consorzi di bonifica dalle Valle d'Aosta alla Sicilia e che irriga 3,5 milioni di ettari di pianura -. Poi bisogna conteggiare i maggiori costi energetici per sollevare l'acqua e distribuirla. Un dato su tutti: lunedì l'energia costava 210 euro a Mwh, oggi siamo a 327 euro». Un problema comune a tutti i distributori.

 

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«Il nostro impianto pesca dal fondo del lago e non abbiamo effetti diretti anche se il livello dell'acqua si abbassa - spiega l'ingegner Daniele Pagani, direttore dell'acquedotto industriale di Como, una società che rifornisce 60 aziende del tessile, uno dei comparti che più ha bisogno d'acqua nei suoi cicli produttivi -. Al 31 maggio abbiamo speso 420 mila euro di energia per il pompaggio, il 125% in più del 2021».

 

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I produttori di energia sono una delle altre categorie più colpite nel portafoglio dalla carenza d'acqua. «Nel 2022 abbiamo avuto in media il 70% di produzione in meno, con picchi del 90% - spiega Luca Boschetto, direttore di Federidroelettrica, 200 associati e circa 450 impianti nel Centro Nord -. Sul Secchia, in provincia di Modena, una centrale nei primi tre mesi dell'anno ha prodotto quello che normalmente produceva in un giorno. Da gennaio ad aprile abbiamo avuto mancati introiti per 25-30 milioni di euro».

 

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La scarsità d'acqua sta creando anche contrasti fra i vari utenti. Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini ha chiesto al governo «indennizzi adeguati» e di «definire le priorità di uso delle risorse idriche ad oggi disponibili, dando precedenza al settore agricolo per garantire la disponibilità di cibo», ma anche altri sono pronti a battere i pugni sul tavolo.

 

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«Chiederemo un ristoro per i cali di fatturato - anticipa Andrea Fabris, direttore dell'Associazione piscicoltori italiani, che rappresenta 600 allevamenti -. Poca acqua per noi vuol dire crescita ritardata dei pesci, necessità di vendere prodotti di taglio minore per liberare spazio, bollette più salate per pompare acqua dal sottosuolo a costi più che triplicati e necessità di acquistare ossigeno liquido per garantire il benessere dei nostri animali. Non è un caso che in queste settimane molti stiano pensando di chiudere».

 

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A subire la crisi idrica è anche il settore turistico. «Il 20% delle nostre 373 strutture rischia di rimanere senz' acqua e di chiudere con alcune settimane d'anticipo già ad agosto - conferma Riccardo Giacomelli, presidente della commissione rifugi del Cai -. I nostri gestori si stanno organizzando per garantire comunque l'apertura il più a lungo possibile fornendo un'ospitalità più frugale, però è importante che anche gli utenti entrino nell'ottica della sobrietà e della responsabilità».