LA SILICON VALLEY C'HA "DISRUPTED" LE PALLE - DOPO AVER LAVORATO PER ANNI NELL'ELDORADO DELLE START UP, ANNA WIENER DEMOLISCE IN UN LIBRO LA "FILOSOFIA" DI GOOGLE & CO: "GLI IMPRENDITORI TECNOLOGICI NON SI TRATTENGONO DAL CANNIBALIZZARE MUSICA, LIBRI, SOTTOCULTURE. L'ORIGINE NELLA CONTROCULTURA LIBERTARIA FA DELLA SILICON VALLEY UN POSTO MISOGINO. DICONO DI VOLER RENDERE IL MONDO UN POSTO MIGLIORE MA MIGLIORE PER CHI? IL LORO MARKETING PUNTA A OFFUSCARE. APPREZZEREI SE DICESSERO: ABBIAMO FATTO QUESTA APP PER I SOLDI"

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Riccardo Staglianò per "il Venerdì - la Repubblica"

 

Anna Wiener

La silicon Valley, più che la nebulosa geografica che la delimita, è uno stato mentale. Col totem della disruption, versione algoritmica della distruzione creativa schumpeteriana. E il tabù dei soldi, che si fanno a quintali e si spendono a tonnellate per sopravvivere ad affitti stellari, ma di cui non si parla mai. La missione dichiarata di quasi ogni startup è, nientemeno, «rendere il mondo un posto migliore». Un meme che si sfarina alla prova dei fatti.

silicon valley

 

Anzi, la cosa che rende furiosa Anna Wiener in La valle oscura ("uncanny", "perturbante", nel titolo originale), l' illuminante diario dei suoi cinque anni a lavorare in due diverse startup, è proprio che gli imprenditori tecnologici «sembrassero costituzionalmente incapaci di trattenersi dal cannibalizzare musica, libri, sottoculture: qualsiasi cosa rendesse la vita interessante».

 

Il problema degli ingegneri, mi spiega via Zoom la trentatreenne giornalista del New Yorker, è che soffrono di una specie di «acuto tecno-determinismo. Se qualcosa può essere fatto, va fatto. Da utente dico che Spotify funziona benissimo, ma fallisce miseramente nel consentire ai musicisti di campare con la musica».

 

silicon valley

Ma questo è un effetto collaterale, un'esternalità negativa il cui smaltimento non compete al programmatore né all' amministratore delegato. Che pure continua a ripetere, a ogni conferenza Ted dove viene invitato, di puntare a una versione 2.0, più performante, del mondo come lo conosciamo («Ma le ulteriori domande sarebbero: migliore per chi? E che tipo di mondo?»).

 

stanford university e la silicon valley

In pochi anni dare addosso alla Silicon Valley è diventato un genere letterario, di cui lei è l'esponente più stilosa. Qual è stato il momento di svolta?

«Finalmente c'è un livello di scrutinio appropriato alle dimensioni economiche e sociali del fenomeno, agli spaventosi livelli di disuguaglianza che produce. Il momento sono state forse le elezioni del 2016 e il ruolo che Facebook avrebbe giocato. Una specie di scatola nera all'interno della quale succedevano cose che la gente non capiva. Però voci critiche, tipo Paulina Borsook e Ellen Ullman, esistono da quando esiste internet. Io sono solo arrivata in una fase storica più ricettiva».

 

BEZOS ZUCKERBERG PICHAI COOK

Tristan Harris, altro critico celebre, dice che molti dei problemi hanno a che fare con il modello pubblicitario: Facebook punta a darti dipendenza perché così guadagna, mentre Apple no, fa i soldi vendendo il telefono. È d' accordo?

«Sono d' accordo che il modello pubblicitario vuole agganciare i clienti, massimizzando in ogni modo il loro engagement (coinvolgimento). Ma ogni modello ha i suoi problemi. Google è stata attaccata per i contratti col Pentagono. Amazon per aver dato alla polizia un software di riconoscimento facciale. Il problema è vasto».

Anna Wiener

 

Tra i problemi collaterali c'è anche la gentrificazione accelerata da Big tech: com'è vivere a San Francisco oggi?

«I problemi abitativi c'erano anche prima, ma i nuovi ricchi li hanno moltiplicati, e anch' io ho contribuito pro quota. Ma la pandemia ha fatto crollare gli affitti anche del 40 per cento. Da una parte chi era fuggito dalla città perché non poteva più permetterselo torna. Dall'altra qualcuno ha approfittato del "lavoro da casa" per trasferirsi. Magari è l'occasione per la città di tornare a essere vivibile anche per le sottoculture delle origini e non più solo per la monocultura tecnologica».

 

BEZOS ZUCKERBERG PICHAI COOK

Un altro paradosso dell'industria, nella parte di mondo che tutela ogni sfumatura sessuale di "identità non binarie", è la sua misoginia: come se lo spiega?

«Credo che abbia a che vedere con l'origine nella controcultura libertaria, con mito dell'underdog, il perdente che recupera terreno impegnandosi allo stremo. Quella spinta di riscatto, nonostante questa sia stata anche la culla della liberazione sessuale, sembra ancora legata ai maschi».

 

Versante stranezze, lei cita alcune domande fatte durante i colloqui, tipo «quanti metri quadrati di pizza vengono consumati negli Stati Uniti?» o «Quante palline da ping pong ci stanno in un aereo?». Cosa dovrebbero dire dell'intelligenza del candidato?

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«Che è in grado di ridurre un problema complesso in unità elementari, sa navigare in territori incogniti. Quella che mi piaceva di più era: "Come spiegheresti internet a un contadino medievale?". Devi semplificare, arrivare all'essenza. Google ha lanciato questo stile, poi mitologizzato».

 

Racconta anche di una festa aziendale con caccia al tesoro e selfie su sfondo di spogliarellista. C'è proprio bisogno di questo ethos tardo-adolescenziale?

«Anche qui la controcultura ha un ruolo. L'idea di essere irriverente, fare le cose in modo diverso, niente giacca e cravatta. Però c'è anche un altro aspetto: se riesco a convincerti che il lavoro è divertimento, ne farai di più, non avrai voglia di lasciare l' ufficio. Da qui le mense pantagrueliche e gli altri benefit».

san francisco e la silicon valley

 

Sul versante manipolatorio rientra la geniale abbreviazione di "applicazione" in "app", come a rimuovere l'aspetto informatico. Altri esempi di maquillage linguistico?

«Uber che chiama "partner" i guidatori, prendendo le distanze dallo status di dipendenti. L'uso di "Ai", intelligenza artificiale, con tutta la sua carica astratta, per tanti servizi che potrebbero invece essere spiegati. Il marketing della valle punta a offuscare. Demistificarlo è un imperativo morale».

 

A proposito di Uber, ha appena vinto un referendum per non dover assumere gli autisti. Non mi sembra il segno che la Silicon Valley abbia raggiunto un picco da cui può solo scendere...

san francisco

«No, la fase che stiamo vivendo è segnata dalla critica, ma continueranno a fare business come sempre. Forse cambieranno un po' la narrazione. Apprezzerei l'onestà se cominciassero a dire: abbiamo fatto questa app per i soldi! L'industria - e il lockdown l' ha ribadito - è più in forma e pervasiva che mai. Però qualcosa si sta muovendo, a partire da vari tentativi di sindacalizzazione. E poi, per vincere il referendum, hanno stanziato 200 milioni di dollari. Non spendi una cifra del genere se non hai paura che il vento stia cambiando!».

MESSICO CITY SILICON VALLEY