STA FINENDO LA PACCHIA PER I MALATI DEL RESO: ORA RISPEDIRE INDIETRO QUELLO CHE VIENE ACQUISTATO ONLINE SI PAGA – LA VERSIONE UFFICIOSA È CHE UN ACQUISTO RESPONSABILE AIUTA A SALVAGUARDARE L’AMBIENTE, MA LA VERITÀ È CHE ANCHE PER I COLOSSI GESTIRE LA RESTITUZIONE DEGLI ARTICOLI STA DIVENTANDO TROPPO ONEROSA – LE AZIENDE PERDONO CIRCA IL 50% DEL LORO MARGINE SUI RESI: UNA SCELTA ANTIECONOMICA CHE ADESSO RICADRÀ SU TUTTI I CLIENTI CHE…

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Estratto dell'articolo di Irene Maria Scalise per www.repubblica.it

 

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Attenzione alle indecisioni quando si fanno gli acquisti su internet. Se fino a ieri restituire un pacchetto era gratuito, oggi ogni ripensamento rischia di avere un prezzo.

Addio per sempre, insomma, al “reso compulsivo” di vestiti, accessori, scarpe. Avanza infatti la rivolta di Amazon, Zara, H&M, J.Crew, Anthropologie, Abercrombie & Fitch che hanno deciso di cambiare le regole. La versione ufficiosa è nobile: salvaguardare l’ambiente dai troppi camion carichi di pacchetti e, contemporaneamente, educare le persone ad uno shopping meno disordinato.

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Ma di fondo c’è che questo scherzetto del reso sta diventando dal punto di vista logistico (ed economico) ingestibile anche per simili colossi.

Secondo i dati della National Retail Federation, solo in America, i clienti hanno rispedito circa il 17% della merce totale acquistata nel 2022, per un totale di 816 miliardi di dollari.

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Per la società di servizi di vendita Inmar Intelligence, i rivenditori spendono 27 dollari per gestire il reso di un articolo da 100 dollari acquistato online. Mentre il Wall Street Journal spiega come le aziende perdono circa il 50% del loro margine sui resi.

 

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E quindi? A quanto riferisce il New York Post l’81% dei rivenditori hanno deciso di addebitare una commissione per la restituzione degli articoli. Mentre secondo un rapporto della società di logistica Happy Returns, più di quattro commercianti su cinque hanno detto stop alla restituzione gratis.

A fare da apripista è stato il Regno Unito dove, per la restituzione di quanto non piace più, Zara da circa un anno ha deciso di addebitare 1,95 sterline, ai clienti che vorranno restituire un capo acquistato online attraverso i punti di consegna gestiti da terze parti (come gli uffici postali).

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Nulla cambia invece per i prodotti resi nei negozi fisici della catena spagnola. Restituzioni a pagamento anche per la giapponese Uniqlo e la britannica Asos.

 

Di fatto molte aziende si sono rese conto che le persone acquistavano molti più colori e taglie rispetto a quelli che poi avevano intenzione di tenere e trasformano la propria casa in una sorta di cabina di prova.

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Anche in America Amazon ha iniziato ad addebitare ai clienti un dollaro per restituire gli articoli in un negozio Ups. […] Secondo il New York Post Zara, Macy's, Abercrombie & Fitch, J. Crew, H&M hanno imposto commissioni sino a 7 dollari per la restituzione degli articoli tramite resi postali.

Dillard's addebita 9,95 dollari per restituire gli articoli tramite posta mentre H&M costringe i clienti a sborsare 5,99 dollari per la spedizione di restituzione. JC Penney chiede 8 dollari mentre J.Crew 7,50 dollari.

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[…] E in Italia? Qualcosa sta cambiando anche qui. Per Zara il reso è gratuito esclusivamente se si porta il capo in negozio. Altrimenti: “Ti offriamo la possibilità di restituire i tuoi articoli attraverso il nostro servizio di ritiro a domicilio. Il costo per ogni richiesta di restituzione è di 4,95 euro, che verrà detratto dal tuo rimborso”.

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Tuttavia, se acquisti in qualità di "consumatore" e decidi di recedere dal contratto di vendita entro quattordici giorni di calendario dalla data di avvenuta consegna dei prodotti, ti verranno restituiti, anche le spese di spedizione.

Insomma a volte si a volte no. […]

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