TUTTI I TORMENTI DI MARIA FIDA MORO – LA PRIMOGENITA DELLO STATISTA DEMOCRISTIANO, MORTA A 77 ANNI, AVEVA INTERROTTO I RAPPORTI CON LA FAMIGLIA. E NEL 2010 NON PARTECIPÒ AL FUNERALE DELLA MADRE – NEGLI ANNI HA PORTATO AVANTI SVARIATE TEORIE “ALTERNATIVE” SUL RAPIMENTO E L’UCCISIONE DEL PADRE ALDO – ELETTA AL SENATO CON LA DC, PASSÒ POI DA RIFONDAZIONE AL MSI, FINO A SALIRE SUL PALCO CON GRILLO…
-Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
Quando rapirono suo padre Maria Fida Moro aveva 31 anni e un figlio di 2 e mezzo, e per lei il presidente della Democrazia cristiana aveva un’attenzione speciale. Proprio a causa di quel bambino che trascorreva molto tempo a casa dei nonni, anche di notte; la mattina del 16 marzo 1978 Aldo Moro ebbe il tempo di giocarci un po’, prima di andare incontro al drammatico destino […]
Uno spartiacque nella storia d'Italia, e ovviamente nella famiglia Moro; dunque anche per Maria Fida, primogenita dello statista scomparsa ieri a 77 anni, uccisa da una malattia. Durante i 55 giorni del sequestro la moglie Eleonora e i suoi quattro figli apparvero all’esterno uniti e compatti nel tentativo di salvare l’ostaggio, schierati al fianco di Moro che accusava il governo e il suo partito di non muovere un dito in nome di un’ottusa «linea della fermezza».
Ma dopo l’esecuzione del 9 maggio, le crepe tra le mura domestiche si sono fatte sempre più profonde, fino alla frattura pressoché insanabile tra Maria Fida e il resto della famiglia: sua madre, le sorelle Anna Mara e Agnese, il fratello Giovanni. Come apparve plasticamente nel 2010, quando lei non partecipò ai funerali della signora Eleonora. Seguirono cause legali per questioni private, che tali sono rimaste.
Divenne invece pubblico e parimenti controverso il percorso politico di Maria Fida, cominciato sulle orme del padre nello stesso partito che Aldo Moro, in punto di morte, aveva rinnegato e sconfessato. Nonostante quella rottura, nel 1987 la primogenita accettò l’offerta della Dc di candidarla al Senato.
Venne eletta, ma tre anni dopo decise di spostarsi a sinistra, fino alla neonata Rifondazione comunista. Da cui si staccò presto, per approdare nel 1993 sulla sponda opposta: candidata del Movimento sociale italiano come sindaco del Comune di Fermo. Senza successo. A destra rimane un po’ più a lungo, partecipando alla transizione del Msi verso Alleanza nazionale, ma nel 1999 eccola di nuovo in lizza, stavolta per il Parlamento europeo, sotto nuove insegne: Rinnovamento italiano, partito centrista di Lamberto Dini.
Successive peregrinazioni l’hanno vista vicina ai radicali e poi sullo stesso palco con Beppe Grillo, fino a un più recente riavvicinamento alla destra ora al governo. Ma accanto a questo convulso e un po’ contradditorio girovagare politico, c’è stata l’adesione al «partito dei dietrologi» sul caso Moro.
Sempre alla ricerca di ulteriori verità e nuovi misteri, veri o presunti che fossero. Contribuendo, ad esempio, a diffondere la vulgata secondo cui nella notte fra il 3 e il 4 agosto 1974 suo padre, all’epoca ministro degli Esteri, doveva viaggiare sul treno Italicus che saltò in aria nell’attentato neofascista, trattenuto solo dall’improvvisa impellenza di firmare delle carte; un episodio che non ha mai trovato alcun riscontro.
Oppure interrogandosi sulle monete da 50, 100 e 200 lire ritrovate nelle tasche di Moro quando fu riconsegnato cadavere dalle Br alle famiglia; disse che suo padre odiava maneggiare i soldi spicci, e dunque dovevano avere un significato: forse per telefonare una volta liberato. […]
Una incessante e ostinata ricerca di spunti per contestare le versioni «ufficiali» del sequestro in cui le si era affiancato, nell’ultimo tratto della sua vita, l’ex giudice istruttore del caso Moro Ferdinando Imposimato, divenuto il suo avvocato. Che in tale veste ha continuato a proporre istanze alla magistratura per aprire nuove indagini. Senza arrivare, tuttavia, a ricostruzioni alternative credibili o suffragate da prove.
Al figlio Luca che portava il cognome del padre ha voluto dare il suo e quello del nonno: Moro. In modo da legarlo con un laccio in più all’uomo che nel buio della prigione brigatista considerava quel bambino «la gioia più grande che potessi desiderare» e insieme il suo cruccio maggiore: «Questa è per me la punta più acuta di questa dolorosissima vicenda — scrisse nell’ultima lettera a Maria Fida e al marito —. Non vedere il piccolo e non potergli dare tutto l’amore, tutto l’aiuto, tutto il servizio che avevo progettato».