LA VERITÀ, VI PREGO, SU VIA D’AMELIO – LA PROCURA DI CALTANISSETTA ALZA LA BANDIERA BIANCA E CHIEDE L’ARCHIVIAZIONE PER ANNAMARIA PALMA E CARMELO PETRALIA – I DUE PM DAL 1992 PORTARONO AVANTI INDAGINI E PROCESSI SULLA BASE DELLE DICHIARAZIONI DEL FALSO PENTITO VINCENZO SCARANTINO, CHE FECERO CONDANNARE ALL’ERGASTOLO SETTE INNOCENTI PER LA MORTE DI BORSELLINO – NON CI SONO CONDOTTE CON RILEVANZA PENALE, MA TANTE ANOMALIE...

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Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”

 

STRAGE DI VIA D'AMELIO

Responsabilità penali da parte dei magistrati che le condussero non ce ne sono, ma le inchieste che portarono alla falsa verità giudiziaria sulla strage di via D'Amelio (sette innocenti condannati all'ergastolo per la morte del giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, a causa delle bugie del finto pentito Vincenzo Scarantino) furono caratterizzate da «anomalie tecnico-giuridiche e valutative» che non trovano spiegazioni convincenti.

 

ANNAMARIA PALMA

Dopo due anni di lavoro la Procura di Messina ha chiesto l'archivizione del fascicolo a carico degli ex pubblici ministeri di Caltanissetta che dal 1992 portarono avanti indagini e processi basati sulle dichiarazioni del presunto «collaboratore di giustizia»; dovendosi limitare «esclusivamente all'accertamento di condotte aventi rilevanza penale» ha alzato bandiera bianca.

 

CARMELO PETRALIA

Ogni altra valutazione «esula» dai compiti del pool guidato dal procuratore Maurizio De Lucia, tuttavia dalle oltre 160 pagine della richiesta di archiviazione traspare il rammarico e una certa incredulità per come «il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana» (così lo definirono i giudici di Caltanissetta che inviarono gli atti a Messina per indagare sui magistrati) abbia potuto resistere per oltre 16 anni, fino al pentimento (ritenuto autentico, e dopo 12 anni non sono arrivate smentite) del mafioso vero (a differenza di Scarantino) Gaspare Spatuzza.

LA BORSA DI PAOLO BORSELLINO

 

Una storia per la quale sono alla sbarra, a Caltanissetta, tre poliziotti che fecero parte del gruppo investigativo guidato dall'ex questore Arnaldo la Barbera (morto nel 2002), che si conferma torbida anche dagli atti raccolti dai pm di Messina.

 

Di indizi sulla inattendibilità di Scarantino ce n'erano molti, ma nessuno degli inquirenti di allora ascoltati (sia i due indagati, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, che i testimoni, da Ilda Boccassini a Nino Di Matteo e altri) ha saputo spiegare come non si riuscì a evitare il depistaggio.

 

giovanni falcone e paolo borsellino

Persino la lettera dell'ottobre 1994 in cui Boccassini e il suo collega Roberto Saieva misero in dubbio la credibilità di quello strano pentito diventa un mistero, con gli altri pm che dicono di non averla mai ricevuta.

 

«Io non ho tanti elementi sul dopo, però il fatto che Scarantino mentisse in maniera grossolana era percepibile dal primo o secondo interrogatorio», ha ribadito Boccassini. A smentire il falso pentito furono ex boss di ben diverso calibro sedutisi davanti a lui; ora s' è scoperto che pure a Francesco Marino Mannoia, nel ricordo del suo avvocato di allora, «bastò un minuto di colloquio appartato con Scarantino, e disse che non era uomo d'onore»; eppure di questa conclusione del pentito «vero» non c'è traccia nel verbale di confronto ufficiale.

 

E ci sono una ventina di colloqui investigativi di poliziotti con Scarantino, regolarmente autorizzati dai magistrati, da cui presumibilmente è scaturita la falsa verità che ha resistito per tanto tempo. «Stranisce tra l'altro - denuncia la Procura di Messina - che le autorizzazioni siano state rilasciate dagli stessi magistrati con cui, proprio in quel periodo, Scarantino rendeva le dichiarazioni "collaborative" a mezzo interrogatorio. In questo senso, generiche e poco convincenti appaiono le risposte fornite da costoro circa le motivazioni a sostegno delle autorizzazioni rilasciate».

PAOLO BORSELLINO - STRAGE DI VIA DAMELIO

 

Tra le «anomalie» ci sono anche i «contatti informali (dei magistrati, ndr ) con il collaboratore e i suoi familiari», che non hanno trovato adeguate giustificazioni. E che ancora oggi consentono al falso pentito e alla ex moglie di lanciare accuse o insinuazioni che però si sono rivelate false, o non hanno trovato conferme. Contribuendo a intossicare ulteriormente la vicenda.

 

Nella quale non mancano i servizi segreti, con l'anotazione del Sisde che anticipò la «pista Scarantino» e l'irrituale coinvolgimento richiesto dall'allora procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, morto nel 2017.

 

PAOLO BORSELLINO CON LA FAMIGLIA

Ma tra i danni maggiori provocati dal depistaggio c'è quello raccontato da Fiammetta Borsellino, una delle figlie di Paolo, quando ha testimoniato la risposta avuta nell'incontro con Giuseppe Graviano, uno degli assassini di suo padre a cui aveva chiesto un contributo di verità: «A un certo punto, l'ha buttata sui magistrati, della serie: "Perché viene da me a chiedere le cose? Non l'ha visto che hanno fatto i depistatori?"... Uno dei grandi danni che hanno fatto queste persone è stato anche quello di fornire un alibi per non parlare, l'alibi perfetto per deresponsabilizzarsi di tutto».

STRAGE DI VIA D'AMELIO - I SOSPETTI CHE HANNO POTUTO TRAFUGARE L'AGENDA ROSSA DI BORSELLINO
AGENDA ROSSA DI PAOLO BORSELLINO
PAOLO BORSELLINO - LA STRAGE DI VIA D AMELIO
PAOLO BORSELLINO
PAOLO BORSELLINO CON LA MOGLIE AGNESE
giovanni falcone paolo borsellino
PAOLO BORSELLINO
AnnaMaria Palma

 

foto di letizia battaglia paolo borsellino
PAOLO BORSELLINO