IL VIRUS COLPISCE PURE L’ECONOMIA – PER LA SARS CI FURONO SEI MESI DI CAOS SUI MERCATI, MA ORA IL DRAGONE CONTA MOLTO DI PIÙ NEI MERCATI GLOBALI: CONTRIBUISCE PER IL 15,8% AL PIL MONDIALE E ACQUISTA 2200 MILIARDI DI DOLLARI DI BENI - CON L’ISOLAMENTO TOTALE È TUTTO CONGELATO. GLI EFFETTI PIÙ DEVASTANTI SUL LUSSO E SUL TURISMO - E ANCHE I COMMERCIANTI E I RISTORATORI CINESI IN ITALIA SONO (MOLTO) PREOCCUPATI)
-1 – SOTTO CHOC IL LUSSO E IL TURISMO. RISCHI PER L’ECONOMIA GLOBALE
Roberta Amoruso per “il Messaggero”
Un certa prudenza nelle previsioni è d'obbligo, ma quando il coronavirus sarà stato disinnescato si parlerà di effetto transitorio sull'economia cinese e quindi anche su quella globale. Forse, sostengono gli economisti, ci vorranno sei mesi come nel caso della Sars, ma alla fine il coronavirus potrà lasciare il segno su uno o due trimestri, non di più. Va detto, però, che in diciassette anni di globalizzazione molto è cambiato nei pesi del Pil mondiale.
E il Dragone è più importante che mai per l'economia globale. Se al momento dell'epidemia Sars, nel 2003, rappresentava il 4,2% dell'economia mondiale e contribuiva per il 18% alla crescita del Pil mondiale, nel 2018 la sua quota di Pil globale era salita al 15,8%, con il 35% della crescita globale targata Pechino. In particolare, il settore terziario del Paese, quello più esposto oggi a questo tipo di epidemia, ha avuto un certo peso nella crescita del Dragone negli ultimi dieci anni: il suo peso è passato dal 41 al 53% e il suo contributo alla crescita è passato dal 46% al 59%.
La differenza non è poca cosa. E dunque qualche responsabilità finirà comunque per averla nei tempi della ripresa globale. Non solo perché Pechino acquista quasi 2.200 miliardi di dollari di beni nel mondo, ora in gran parte congelati, come i quasi 2.500 miliardi di export. Ma anche perché fermare la circolazione di 90-100 milioni di cinesi proprio nei giorni del Capodanno cinese vuol dire un colpo secco, seppure transitorio, a turismo e beni di lusso.
Senza contare l'effetto pesante sui consumi interni. Sono cose che pesano, anche al tempo del commercio on-line. E come farà poi la Cina a rispettare il faticoso accordo con gli Usa sui dazi? Acquistare 200 miliardi di beni in più rispetto al 2017 nei prossimi due anni sarà un obiettivo difficile da raggiungere.
L'ESCALATION
Tra le poche certezze di chi in queste ore si esercita in previsioni, c'è che il nuovo virus cinese si può paragonare alla Sars del 2003, che costò un calo tra l'1 e il 2% al Pil del Dragone. E allora è da questo confronto, con le dovute cautele, che partono le valutazioni di questi giorni. La buona notizia è che il virus di diciassette anni fa aveva una mortalità tripla e non fu affrontato con la determinazione dimostrata in questi giorni dalle autorità cinesi.
Quanto agli effetti sul resto della crescita mondiale, si è un po' meno ottimisti. Perché l'effetto sarà anche transitorio per Pechino - probabilmente ridurrà la crescita del Pil cinese sotto il 6%, rispetto al 6,5% previsto - ma ben più difficile è prevedere l'impatto sul resto del mondo. «Né si può escludere una recessione in Europa», osserva l'economista Mario Deaglio in occasione della presentazione del XXIV Rapporto sull'economia globale e l'Italia promosso da Centro Einaudi e Ubi Banca.
EFFETTO SHOPPING
Se i tempi si allungheranno, dice a sua volta Schroders, ne risentiranno i partner commerciali più coinvolti, dal resto dell'Asia all'Australia, ma anche l'Europa. I rischi per l'economia, e in particolare per quella italiana, secondo Deaglio partono innanzitutto dal turismo: «I cinesi sono al quarto posto come turisti in Italia, se scendono a zero è una bella botta, che quest'anno non riusciremo a recuperare. Ci sono poi decine di milioni di cinesi che non escono da casa né comprano merci italiane».
Non bastasse, aggiunge l'economista, «l'Italia produce macchine agricole per il mercato cinese e importa semilavorati tecnici dalla Cina». Un pezzo importante di interscambio che conta 13 miliardi di esportazioni italiane in Cina, contro 30 miliardi di importazioni.
Un capitolo a sé è quello del lusso, molto caro all'Italia. Secondo i dati di Planet, l'anno scorso le vendite agli acquirenti cinesi in Europa sono cresciute del 6% rispetto all'anno prima. Non solo. In Italia i cinesi valgono il 36% del mercato tax free, davanti ad americani e russi. Più in generale, la quota di acquisti all'estero dei cinesi vale il 76% dell'intero mercato del Dragone del lusso. Un pezzo di economia che oggi appare completamente congelata.
2 – CORONAVIRUS, CLIENTI IN FUGA DA NEGOZI E RISTORANTI CINESI
Camilla Mozzetti per “il Messaggero - Cronaca di Roma”
Nel cuore dell'Esquilino, tra le vie che abbracciano piazza Vittorio, i commercianti cinesi restano sull'uscio delle attività. «Non siamo in Cina ma la gente ha un po' di paura», dice uno di loro in via Napoleone III. Non si palesa ancora come una vera e propria psicosi anche se i sintomi sembrerebbero proprio quelli perché la diffusione del coronavirus ha comunque innalzato i livelli di allerta e di preoccupazione tra le persone che frequentano il quartiere, da anni abitato dalla comunità cinese, pur non avendo fatto registrare casi di contagio nella Capitale.
Il risultato? I negozi restano vuoti nonostante i prezzi molto convenienti; che si tratti di abbigliamento, calzature, biancheria, «oggi abbiamo battuto appena cinque scontrini», dice la commessa di una delle tante attività commerciali sotto i portici di piazza Vittorio. «C'è la crisi ma gli affari ne stanno risentendo, noi diciamo di star tranquilli non siamo lì, ci troviamo a Roma, i nostri parenti sono a casa laggiù, ma la gente preferisce non entrare, passerà». Ad essere maggiormente colpiti, sono i ristoranti cinesi e non solo quelli dell'Esquilino.
TAVOLI VUOTI
Mediamente in tutta la Capitale ci sono oltre 400 esercizi di somministrazione cinesi e in questi giorni le prenotazioni sono crollate del 70 per cento. Vale a dire che sette ristoranti su 10 hanno visto ridurre la clientela a pranzo e a cena e disdire le prenotazioni in una settimana importante come quella del Capodanno cinese, fanno sapere dalla comunità.
Tavoli vuoti e cucine ferme «Sta venendo meno gente racconta il titolare di un ristorante sulla Tiburtina qui è tutto sicuro ma il calo c'è». «I clienti più affezionati sono rimasti aggiunge Anna Chiang storica titolare del ristorante Ruyi in via Valadier a Prati Speriamo che le cose migliorino, così è difficile. Da quando si è saputo del virus, tanti tavoli restano deserti». Il fenomeno si è esteso anche a quei bar, gestiti ad esempio, sempre intorno a piazza Vittorio da cittadini asiatici.
LE MASCHERINE
Per strada, all'Esquilino, si incontra più di un passante con il volto coperto da una mascherina. Italiani e cinesi non c'è differenza. E anche dentro quelle attività che, nonostante la paura, lavorano un po' di più è il caso dei parrucchieri e delle estetiste i dipendenti si proteggono il naso e la bocca. «Solo un'accortezza per chi lavora da noi e per i clienti ma per ogni tipo di virus», spiega il titolare di un salone in via Carlo Alberto.
Di certo, «a meno che non sia proprio necessario racconta Nilde P., di fronte agli ex magazzini Mas non entro in questi negozi pur servendomi spesso da loro. Sarà una sciocchezza ma preferisco in questo periodo non avere troppi contatti».
PARTENZE POSTICIPATE
Non finisce qui perché oltre ai ristoranti e ai negozi, a restar vuote sono anche le agenzie di viaggio specializzate sull'Oriente. Il coronavirus ha fatto scendere le prenotazioni dei viaggi verso la Cina. Molte delle agenzie che da tempo operano sempre all'Esquilino da via Conte Verde a via Foscolo hanno mediamente registrato un calo e un cambio sulle prenotazione del 5%.
«Diversi clienti hanno preferito spostare il biglietto e rimandare al partenza al prossimo mese spiega una dipendente dell'agenzia Lantian cielo blu nonostante i festeggiamenti per il Capodanno cinese. Una scelta personale e precauzionale anche se credo che la situazione sia sotto controllo. I miei genitori sono in Cina, stanno bene ma certamente stanno facendo molta attenzione: restano in casa ed escono di meno».