IL VIRUS? TORNA L’IPOTESI DELL’INCIDENTE IN UN LABORATORIO DI WUHAN - IL CAPO DI STATO MAGGIORE USA MILLEY LASCIA APERTA L’IPOTESI. E IL "WASHINGTON POST" SVELA I TIMORI MANIFESTATI DA ALCUNI ESPERTI: NEL GENNAIO 2018 L’AMBASCIATA USA A PECHINO INVIA MESSAGGI ALLARMATI SULLA SICUREZZA NELL’ISTITUTO DI WUHAN. DURANTE UNA VISITA…
Guido Olimpio per corriere.it
È un susseguirsi di messaggi. Ruotano attorno alla doppia domanda: se il virus sia nato in laboratorio e magari sia poi sfuggito per un incidente. Gli scienziati — lo ribadiamo subito — lo escludono, ma non tutti sono convinti e non stiamo parlando di cospirativi. L’ultimo segnale: durante un incontro con i media, il Capo di Stato Maggiore statunitense Mark Milley ha detto la sua sul grande mistero: nulla è conclusivo, gli indizi sono per l’origine naturale, però non lo sappiamo con certezza. È un approccio cauto, lascia delle opzioni. In precedenza, uno dei responsabili sanitari del Pentagono, il generale Paul Freidrichs, aveva escluso lo scenario del laboratorio con un no piuttosto deciso dando ragione agli scettici.
I laboratori
L’intervento del generale ha incrociato il sentiero con un articolo, apparso nella sezione commenti, del Washington Post, a firma di Josh Rogin. Cosa racconta? Nel gennaio 2018 l’ambasciata Usa a Pechino invia messaggi allarmati a Washington sulle condizioni di sicurezza nell’Istituto di Virologia di Wuhan WIV.
Durante una visita al centro, il console statunitense e un suo consigliere scientifico annotano, con preoccupazione, che i tecnici non operano come dovrebbero, esistono problemi nella gestione e nelle protezioni. Poi aggiungono il timore che le ricerche sul legame coronavirus-pipistrelli e la possibile trasmissione verso gli esseri umani rappresenta il rischio di una nuova pandemia. Poiché l’istituto riceve sostegno da università statunitensi, i diplomatici consigliano di intensificare l’assistenza per l’importanza degli studi, ma anche per la loro pericolosità. Meglio vigilare.
Lo scienziato
L’attenzione si concentra sull’attività di Shi Zhengli, responsabile della ricerca a Wuhan proprio sul dossier chiave del contagio. I cablo trasmessi al Dipartimento di Stato segnalano l’inquietudine per i rischi che prende, osservazione già espressa da alcuni studiosi nel 2015. A loro giudizio alcune delle sue iniziative sono sul filo, possono finire male.
Altri dubbi investono un secondo laboratorio sempre a Wuhan. I medesimi rilievi emersi, pochi giorni fa, da un altro pezzo del Washington Post. David Ignatius, giornalista e commentatore con buoni agganci, sembra indicare uno scenario e, in qualche modo, una via d’uscita a Pechino: tutto potrebbe essere nato per un errore del personale dei laboratori, dunque un incidente, con la successiva contaminazione. E correda la tesi con molti riferimenti alle presunte imprudenze e alla mancanza di contromisure efficaci per evitare disastri come quello avvenuto. Ripetiamolo: il sospetto potrebbe essere quello non di un’arma batteriologica costruita a tavolino, ma di un passo falso compiuto durante prove scientifiche.
Le polemiche
Ora è noto che il mondo della scienza ha preso le distanze da queste ricostruzioni e propende per l’origine naturale. L’intelligence statunitense, che inizialmente ha escluso scenari sinistri, sta ancora indagando, raccoglie elementi e lascia aperto il file dove finiscono tante teorie. Gli agenti sono comunque convinti che gli avversari abbiano nascosto la gravità della crisi, fin dall’inizio.
C’è poi l’aspra lotta tra Pechino e Washington, con scambi di accuse, polemiche, la guerra di Trump contro l’OMS. Le indiscrezioni sui media ne sono parte, però non si tratta di semplici «opinioni». Sono tracce su un sentiero tortuoso e insidioso che potrebbe portare a conclusioni clamorose. Ma anche no. Potrebbero pesare le prove – se esistono – ma anche il duello che oppone falchi e colombe sull’atteggiamento da mantenere verso la Cina. E non solo negli Stati Uniti.