1- DICIOTTO MESI PRIMA DELLA STRAGE DELL’11/9 LA CIA ERA SULLE TRACCE DI DUE DEI 19 FUTURI DIROTTATORI. SAPEVA CHE ERANO NEGLI USA E HA IMPEDITO ALL’FBI DI SCOPRIRLO - 2- A DISTANZA DI DIECI ANNI DAGLI ATTACCHI ALLE TORRI GEMELLE DI NEW YORK E AL PENTAGONO DI WASHINGTON, RICHARD CLARKE, ZAR DELL’ANTITERRORISMO ALLA CASA BIANCA, INTERVISTATO DALLA TV FRANCO-TEDESCA ARTE, LANCIA IL SUO J’ACCUSE: “PERCHÉ LA CIA NON HA AVVERTITO IL GOVERNO AMERICANO SULLA PRESENZA, NEL NOSTRO SUOLO, DI DUE UOMINI DI AL QAEDA? È UNO DEI GRANDI MISTERI DELL’11 SETTEMBRE" - 3- UN’IPOTESI SCONCERTANTE: LA “SORVEGLIANZA” SUI DUE SAUDITI SI SAREBBE INSERITA IN UN’OPERAZIONE, POI FALLITA, DI GRANDE PORTATA DELLA CIA CONTRO AL QAEDA -


Fabrizio Calvi e Leo Sisti per "Il Fatto Quotidiano"
Domani, 31 agosto, la tv franco-tedesca Arte trasmetterà la prima puntata del documentario di Fabrizio Calvi e Jean Christoph Klotz. Nello stesso giorno, autore Fabrizio Calvi, uscirà in Francia il libro "11 septembre: la contrenquete", (Fayard Editions)

11/9 - Il collasso della torre sud


Diciotto mesi prima della strage dell'11 settembre la Cia era sulle tracce di due dei 19 futuri dirottatori, i sauditi Khaled al-Mihdhar e Nawaf al-Hamzi. Sapeva che erano negli Stati Uniti e ha impedito all'Fbi di scoprirlo. A distanza di dieci anni dagli attacchi alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono di Washington, Richard Clarke, zar dell'antiterrorismo alla Casa Bianca, intervistato dalla tv franco-tedesca Arte, lancia il suo j'accuse: "Perché la Cia non ha avvertito il governo americano sulla presenza, nel nostro suolo, di due uomini di Al Qaeda? È uno dei grandi misteri dell'11 settembre".

La commissione d'inchiesta del Congresso, creata per risolverli, non ha approfondito la questione. Nelle sue memorie pubblicate sei anni fa, Richard Clarke dedica solo poche righe a quell'episodio. Oggi, però, per la prima volta, chiama in causa il ruolo dell'"agenzia".

Nuovi elementi, raccolti da Arte per un documentario, portano a un'ipotesi sconcertante: la "sorveglianza" sui due sauditi si sarebbe inserita in un'operazione, poi fallita, di grande portata della Cia contro Al Qaeda.

11 settembre L impatto del secondo aereo

YEMEN, LA CENTRALE DEL TERRORE
Tutto comincia nel '98 quando i servizi Usa intercettano alcune conversazioni in una casa di Sanaa, capitale dello Yemen: è la "centrale del terrore" di Al Qaeda. Qui i jihadisti ricevono istruzioni e lasciano messaggi. Tra il '96 e il '98 quel numero è stato chiamato più di 200 volte da Osama Bin Laden e dai suoi fedelissimi. E alla fine di dicembre '99 scatta l'allarme, grazie a una telefonata dall'Afghanistan. Bin Laden ordina a Khaled e Nawaf di recarsi subito a Kuala Lumpur, Malesia. Qui è previsto il meeting preparatorio per la missione dell'11 settembre.

Ma la Cia è all'erta. La "Alec Station", l'unità speciale costituita al suo interno per occuparsi di Bin Laden, identifica Khaled al-Mihdhar e Nawafal-Hazmi. La caccia inizia. Il 5 gennaio 2000, in viaggio verso Kuala Lumpur, Khaled viene rintracciato in transito a Dubai. Il suo passaporto, con visto d'ingresso negli Usa, verrà fotocopiato e spedito al quartier generale della Alec Station.

11/9 - L'impatto del secondo Boeing contro la torre nord

Dove lo riceveranno anche due agenti dell'Fbi, lì distaccati come liaison officers, Mark Rossini e Doug Miller. Stanno per mandare un rapporto in materia ai loro superiori di Washington quando il numero due della Alec Station, Tom Wilshire, dal quale ora dipendono gerarchicamente, li blocca. Rossini però protesta, esige un motivo. Wilshire lo gela: "Quando vorremo informare l'Fbi, lo faremo noi".

LA RIUNIONE DI KUALA LUMPUR
Il 5 gennaio, a Kuala Lumpur, agenti della "Special Branch" malese controllano il rendez-vous di Al Qaeda per conto della Cia. E pedinano Khaled fino a un lussuoso appartamento di proprietà di un ricco uomo d'affari malese simpatizzante di Al Qaeda. Presiede il summit di dodici persone Khaled Sheik Mohammed, il cervello dell'11 settembre.

Scopo: organizzare due attentati: quello dell'ottobre 2000 al cacciatorpediniere Uss Cole nel porto di Aden e, appunto, quello delle Torri Gemelle. Ma gli agenti malesi non riescono a piazzare le cimici. Si limitano a stare alle costole di Mihdhar e Hamzi, per poi vedere il loro aereo decollare verso Bangkok. L'8 gennaio i due sauditi atterrano all'aeroporto tailandese, spiati dalla Cia, che li perde di vista.

11/9 - Il fumo e i detriti sul World Trade Center dopo il collasso delle torri

Mark Rossini, intervistato da Arte, commenta: "Ero molto preoccupato. Quei due stavano per giungere qui, e non certo in visita turistica. Avevo capito che il loro viaggio faceva parte di un piano. Mi chiedevo: ‘Che cosa vengono a fare da noi? Che cosa vogliono?'". Percezione esatta. Il 15 gennaio 2000 Khaled e Nawaf sbarcano proprio a Los Angeles. Qui vengono accolti dal saudita Omar al-Bayoumi, ex impiegato al ministero della Difesa, vicino all'intelligence del regno arabo. E vanno a vivere a San Diego, dove seguono corsi d'inglese e di pilotaggio.

11/9 - Fumo sulle torri

Primi di marzo. Alla Alec Station ricevono posta dalla Cia di Bangkok. Con due mesi di ritardo apprendono che Khaled e Nawaf sono partiti per l'America. Da questo momento l'"agenzia" sa che i due jihadisti sono negli Usa. Ma continua a tagliar fuori l'Fbi.

VISTI PER L'11 SETTEMBRE
Fine maggio 2000. Khaled al-Mihdhar vuole rimpatriare nello Yemen: è appena diventato padre, ci tiene a vedere sua figlia. Il 9 giugno Khaled salta su un aereo e raggiunge Sanaa. Nei mesi successivi andrà in Afghanistan e prenderà parte all'assalto alla Uss Cole di sei mesi dopo. A San Diego è rimasto l'amico Nawaf, tutto il giorno a navigare su Internet, leggere bollettini su Bosnia e Cecenia, ricevere messaggi da Khaled Sheik Mohammed. Il tempo passa.

11/9 - Inferno di fumo su Manhattan

Nel maggio 2001 Khaled si sposta ancora, destinazione Arabia Saudita. Viaggia con un documento a suo nome, che riporta un segno distintivo invisibile ad occhio nudo, ma che lo qualifica come sospetto terrorista. I servizi sauditi lo segnalano subito agli americani. Per parte sua Khaled ha un problema.

Deve ritornare negli Stati Uniti, ma ha un passaporto "pericoloso", tutti quei timbri afgani e yemeniti, in grado di allertare i doganieri Usa. Studia il rimedio. Sosterrà che "quel" documento gli è stato rubato. Il primo giugno ne ottiene uno nuovo, sempre dotato della solita "stampigliatura", ma che, per una ragione incomprensibile, non ha data di scadenza. Nessuno se ne accorge, nemmeno il consolato Usa di Gedda che appone il visto il 13 giugno. Una firma illegittima. Perché Khaled ha mentito scrivendo, nell'apposito formulario, di non aver mai messo piede negli Usa.

La Torre nord avvolta dalle fiamme

Paradossale. Era stato quello stesso consolato a concedergli il visto in precedenza, nel dicembre '99. Il 4 luglio, giorno della festa nazionale Usa, due mesi prima dell'11 settembre, Khaled rientra in America, con un passaporto pieno di "buchi", bollato come terrorista, dopo essere stato monitorato dai servizi americani, malesi, tailandesi e sauditi.

Fumo su Manhattan

L'ALLARME DELL'INTELLIGENCE
In tutto questo periodo la Cia lancia l'allarme: è in vista un attentato. Il 10 luglio 2011 il suo direttore George Tenet incontra Condoleezza Rice, consigliere per la sicurezza del presidente George W. Bush. Lo accompagna il responsabile della Alec Station, Richard Blee, che annuncia: "Ci saranno azioni spettacolari nelle prossime settimane o mesi. Avranno luogo simultaneamente contro interessi americani, forse all'interno degli Stati Uniti, e provocheranno danni gravissimi". Il numero 2 della stessa Alec Station, Wilshire, è stato intanto trasferito al quartier generale dell'Fbi, come ufficiale di collegamento.

Fumo sulle torri

Forse per assicurare che non vi siano fughe di notizie riguardanti Kuala Lumpur? Quel summit lo assilla. A fine maggio chiede a Margaret Gillespie, un'analista dell'Fbi, di passare in rassegna, ma "senza urgenza", e nel tempo libero, tutti i fatti di Kuala Lumpur. Omette di aggiungere che almeno due dei presenti a quell'appuntamento, Khaled al-Mihdhar e Nawaf al-Hazmi, sono arrivati negli Stati Uniti il 15 gennaio 2000.

11/9 - Il fumo si leva dalle Twin Towers a pochi minuti dall'attacco terroristico e invade Manhattan

L'ULTIMA CHANCE
Il 21 agosto, a venti giorni dalla strage, miss Gillespie ritorna dalle vacanze e finalmente riesce ad esaminare il memo della Alec Station dal quale risulta che "due sauditi di San Diego" sono in America da tempo. Subito scopre che: al-Hazmi è sempre lì, dove ha preso lezioni di volo; al-Mihdhar è rientrato il 4 luglio e non si è più mosso. "Mi si è accesa una lampadina", ammetterà in seguito.

Il giorno dopo la Gillespie riferisce l'esito delle sue ricerche a Wilshire. Che questa volta non può più mettere i bastoni tra le ruote. L'Fbi apre infine un'inchiesta, ma di routine, cioè ancora senza fretta. Nawaf e Khaled vengono messi sulla lista dei terroristi da fermare alle frontiere. Ma nessuno allerta le autorità aeree civili, le sole preposte alla sorveglianza dei voli interni.

11 Settembre New York

Il 23 agosto l'Fbi di New York, incaricata di localizzare i due sauditi, affida l'incombenza a un novellino appena uscito dalla Scuola di Quantico. Il quale viene investito del compito il 28 agosto, sempre come routine. Dal 4 settembre ci lavora. Ma lui di Bin Laden non sa nulla. E a nulla approderà. Cronaca di un disastro annunciato.

Il momento dell'impatto tra l'aereo e la Torre

I DUBBI DEL CAPO DELLA SICUREZZA
Che cosa è successo? Perché la Cia non ha permesso all'Fbi di individuare i due sauditi negli Usa? La Cia avrebbe agito per proteggere un suo informatore all'interno di Al Qaeda? Il fatto che Khaled e Nawaf siano stati "curati" da al-Bayoumi, accrediterebbe la tesi di una manovra americano-saudita e giustificherebbe il silenzio della Cia.

Una fonte dentro Al Qaeda poi farebbe capire perché all'"agenzia" l'aggressione agli Usa fosse prevista. Tutte le testimonianze concordano: se la Cia lo aveva "intuito", ignorava però data e obiettivi dell'evento. Era forse stata vittima di un agente "triplo"? Non sarebbe la prima volta.

Richard Clarke sovrintendeva tutte le iniziative antiterrorismo dalla Casa Bianca. Avrebbe dovuto essere avvisato sulle mosse di Khaled e Nawaf. Ha dichiarato ad Arte: "La Cia sapeva e non l'ha comunicato né a me né all'Fbi. Quando dopo l'11 settembre tutto questo è venuto fuori, ero indignato, pazzo di rabbia, ho cercato delle scuse".

11 Settembre New York

Così mister Clarke ha condotto la sua personale indagine e oggi afferma: "Da più di un anno tutte le persone dell'antiterrorismo alla Cia erano al corrente, direttore in testa: 50 persone, che sono state zitte. È più di una coincidenza. Non amo le teorie cospirazioniste, ma voglio una spiegazione. La commissione d'inchiesta non l'ha trovata. Tra l'altro il direttore della Cia mi chiamava con regolarità per notizie banali".

Dopo l'11 settembre Clarke ha tentato di avere chiarimenti dal grande boss, Tenet, invano. Ha domandato a Dale Watson, capo dell'antiterrorismo Fbi, come avrebbe reagito il bureau se avesse saputo dei due pericolosi sauditi in giro per gli Usa, sentendosi rispondere: "Avremmo piazzato le loro foto dappertutto, le avremmo messe su internet".

Ancora Clarke: "Ho chiesto a Dale: ‘Quante possibilità avreste avuto di arrestare quei due tipi? 'Mi ha detto: 100percento". E il massacro dell'11 settembre non ci sarebbe mai stato.