L'ALLEANZA GIALLOVERDE È AL CAPOLINEA? - TAV, DICIOTTI, VENEZUELA, SAVONA, INSULTI: PER DI MAIO SALVINI CERCA ''L'INCIDENTE'', PER I LEGHISTI LUIGINO È STATO COMMISSARIATO DALL'ALA MOVIMENTISTA: NIENTE TUNNEL E VAI COL PROCESSO. MA SE FARE IL MARTIRE POLITICO PORTA VOTI, IL NO ALLE GRANDI OPERE FA PERDERE AL NORD - GIORGETTI: ''SENZA L'OK ALLE AUTONOMIE, LASCIAMO IL GOVERNO''. SOLO CHE DALL'ALTRA PARTE C'È SILVIO. E PER MATTEO, IL CENTRODESTRA È ARCHIVIATO…
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1. LEGA, SI RAFFORZA L' ALA ANTI-M5S MA SALVINI FRENA I SUOI. PER ORA
Marco Conti per “il Messaggero”
Lo scambio Tav-Diciotti, Matteo Salvini lo nega con forza da giorni e anche ieri ha invitato a «curarsi» chi pensa possa essere messa sul mercato «una grande opera necessaria al Paese e un processo». Se non altro perché la richiesta di processare il ministro dell' Interno, per la vicenda dei migranti della Diciotti, ha fatto schizzare ancora più in alto i consensi della Lega. Mentre un definitivo no alla Tav rischia di produrre l' effetto opposto.
L' INVIDIA
Il ministro dell' Interno ne è consapevole e tiene duro sul processo come sulla Tav, ma è l' unico - o quasi - nella Lega che è convinto che alla fine si possa trovare un accordo con l' alleato prima delle elezioni europee di maggio.
O che dopo il voto sarà più facile far ripartire i cantieri e metter mano ad una legge di Bilancio fatta di investimenti e non solo di assistenza. Uno scetticismo che pervade da tempo i parlamentari della Lega ma che ha ormai contagiato anche gli esponenti di governo che ieri hanno assistito con una buona dose di invidia al ciaone di Paolo Savona che ha lasciato il ministero per la Consob.
Il partito di Salvini è una pentola a pressione che rischia di esplodere da un momento all' altro. La Liga Veneta chiede ormai apertamente di rompere anche se Salvini invita tutti a trattenersi e a non minacciare crisi qualora il M5S dovesse autorizzare il processo. Mettere in discussione il governo, aprire la crisi, sono frasi che Salvini per ora non pronuncia e non autorizza a dire anche se sale l' irritazione per la posizione «da sfinge», come la definisce un leghista, che continua a tenere il M5S sulla Diciotti.
E così nel Carroccio c' è chi si interroga e teme, come ammette un sottosegretario, che «alla fine rischiamo di essere costretti a scegliere tra la Tav e Berlusconi, perchè Mattarella non scioglierà le camere e dovremo fare una manovra di Bilancio con 23 miliardi di clausole e niente flessibilità».
Ovvero un ritorno della Lega ad un' alleanza con il centrodestra che Salvini continua a consegnare alla storia ma che rischia di essere l' unica alternativa qualora, in caso di crisi, non si aprisse la strada al voto anticipato. Una nuova maggioranza Lega, FI, FdI e magari qualche pezzo della pattuglia grillina. Anche corposo vista la scarsissima voglia degli eletti M5S di tornare a casa prima della fine della legislatura.
Ma Salvini, che pure domani sarà a Pescara con Berlusconi e Meloni per una conferenza stampa unitaria sull' Abruzzo, non intende tornare nelle braccia del Cavaliere il quale, candidandosi per le Europee dimostra come non intenda farsi da parte.
Ma più che la Diciotti e il Venezuela il problema di Salvini è la Tav. La speranza di trovare un' intesa sulla Torino-Lione si è ancor più ridotta ieri con la consegna, da parte del ministro Toninelli, all' ambasciatore francese dell' analisi costi-benefici. Non aiutano le rassicurazioni che Di Maio e Di Battista hanno dato sull' opera al leader a Christophe Chalencon, esponente dell' ala dura dei gilet gialli che oltre a contestare la Tav ha il merito di aver di recente invitato i francesi «alla guerra civile». Un «non si farà mai» pronunciato da di Maio che taglia i residui ponti sui quali anche il premier Conte pensava di poter costruire una trattativa.
A ridurre le speranze di un possibile rinvio della scelta - magari dopo le elezioni europee - contribuiscono i non brillanti rapporti del governo italiano, soprattutto dei due vicepremier, con la Francia di Emmanuel Macron. Ed infatti a Bruxelles, come raccontava ieri l' eurodeputato azzurro Massimiliano Salini membro della Commissione Trasporti, si cominciano già a fare i conti di quanto l' Italia dovrà restituire (1,8 miliardi) e quanto dovrà pagare alla Francia di indennizzi.
A rendere poco respirabile l' aria nella maggioranza c' è anche il viaggio di Di Maio e Di Battista in Francia. La presa di distanza dei due dall' alleato piace al leader dei gilet gialli, ma oltre risultare poco gradevole per il Carroccio non basta. I due sono ancora in volo quando a sera Chalencon esclude qualsiasi intesa con il M5S che incassano l' ennesimo no dopo quelli dei mesi scorsi.
Senza alleati in Europa e senza poter nemmeno sventolare la bandiera dei gilet gialli, la corsa grillina alle elezioni europee si annuncia in salita. L' isolamento in Europa del primo partito di governo non può che riflettersi sull' Italia. Salvini e anche il premier Conte ne avvertono tutti i rischi ma sono preda della geopolitica grillina che l' arrivo di Di Battista ha reso una sorta di maionese impazzita.
2. I VICEPREMIER CERCANO L' INCIDENTE? IL TIMING (POSSIBILE) DELLA CRISI
Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
È finita prima ancora che finisca: lo si nota dai piccoli dettagli e dalle grandi questioni che la maggioranza gialloverde è al capolinea. E anche il timing, finora posizionato dopo le Europee, potrebbe essere anticipato. D' altronde, cosa può tenere insieme un' alleanza se alla presentazione della carta per il reddito di cittadinanza i grillini non invitano l' alleato?
Quanto a lungo possono coesistere se il ministro per le Infrastrutture Toninelli trasmette il dossier sulla Tav ai francesi e non ai suoi colleghi italiani? E soprattutto dov' è la «solidarietà di governo», se i Cinque Stelle continuano a non sciogliere la riserva sul voto del Senato che potrebbe mandare a processo il ministro dell' Interno per quello che Palazzo Chigi definisce un «atto di governo»?
Il punto è che l' asse tra Salvini e Di Maio si è incrinato. È una rottura personale oltre che politica, su cui ha inciso (anche) il caso Diciotti. Nel cambio di atteggiamento del leader leghista, il capo M5S ha visto l' intenzione dell' altro vicepremier di «cercare l' incidente» e «spaccare il Movimento». Sul fronte opposto, il modo in cui Di Maio tergiversa sulla richiesta del Tribunale dei ministri, irrigidisce la sua posizione sulla Tav e non offre spiragli sulla crisi venezuelana, ha convinto Salvini che l' alleato sia stato «commissariato» dall' ala movimentista del grillismo. Così si è passati agli insulti, anticamera del divorzio.
Che sia finita prima ancora che finisca lo riconoscono fonti accreditate dei Cinque Stelle e lo riferiscono esponenti leghisti del governo, che raccontano come il leader del Carroccio si sia «stufato» e stia «facendo freddamente i calcoli»: l' hanno capito - dicono - «da come ci ha chiesto conto di alcuni provvedimenti in cantiere», quasi stia cercando il punto di rottura.
Perché c' è la Tav, ma non solo.
È credibile quindi Salvini quando dice che «non c' è alcuna trattativa» con M5S che abbia come «merce di scambio» il voto sul suo processo: se i grillini lo autorizzassero, il governo non cadrebbe sul caso Diciotti. Ma avrebbe i secondi contati.
Il passaggio per il ministro dell' Interno è delicato: per questo motivo ha imposto la consegna del silenzio ai dirigenti leghisti. Solo che i dirigenti leghisti tra loro parlano.
Così la scorsa settimana a Bergamo, durante la festa della Lega lombarda, il sottosegretario alla presidenza Giorgetti ha detto che «se non dovesse passare l' Autonomia regionale come la chiediamo noi, e come peraltro è scritto nel contratto, io mi ritirerei dal governo. Restarci non avrebbe senso». È finita l' epoca delle mediazioni, anche perché la recessione avanza e la responsabilità della crisi finirebbe per ricadere pure sulla Lega. Berlusconi sta già tentando di insinuare il tarlo nell' elettorato: «Salvini ha delegato la politica economica a Di Maio, la tempesta si sta avvicinando e persino Savona ha deciso di defilarsi».
Il passaggio alla Consob del ministro per gli Affari europei manifesta la difficoltà di una coalizione incapace di trovare per tempo soluzioni adeguate, costretta a usare una pedina di governo per superare in extremis lo stallo, e già ai ferri corti per un' altra casella di potere: il vertice dell' Inps.
In questo contesto la spaccatura sul Venezuela passa quasi in secondo piano, gestita dagli alleati-avversari come un affare domestico, come un altro tema di battaglia elettorale, con la noncuranza di chi non sa quanto sia storicamente pericoloso maramaldeggiare nel «cortile» americano. E proprio sul Venezuela si rivela la debolezza di Conte, che nonostante il monito pubblico del capo dello Stato e la protesta riservata della diplomazia statunitense, non è stato finora in grado di sbloccare la situazione.
La verità è che il «mediatore» si trova imbrigliato tra Di Maio e Salvini. I due vicepremier non possono sbagliare: il primo si gioca solo il governo, il secondo rischia anche personalmente. Entrambi mirano a scaricare sull' altro la responsabilità della rottura.
Ecco spiegato il motivo per cui non c' è certezza sulla deadline , che - secondo rappresentanti di governo leghisti - «potrebbe essere anticipata prima delle Europee». In quel caso non ci sarebbero i numeri per altri esecutivi.
L' opzione M5S-Pd è impraticabile, «i dem non sono pronti», spiega un esponente grillino. E un gabinetto di centro-destra con i transfughi dei Cinque Stelle non lo vorrebbe Salvini: intestarsi una simile operazione per gestire poi la prossima Finanziaria, vorrebbe dire ripercorrere la strada di Renzi. Che vinse alle Europee e poi perse tutto.