C'È UNA CIMICE NELLA TOGA - I GIUDICI CHE STAVANO PER CONDANNARE BERLUSCONI ERANO REGISTRATI DA AMEDEO FRANCO, LO STESSO MAGISTRATO CHE POI DISSE AL BANANA CHE LA SENTENZA ERA MANIPOLATA. I COLLEGHI SI ACCORSERO CHE LUI LI SPIAVA, MA PROSEGUIRONO LO STESSO PERCHÉ ALTRIMENTI SAREBBE INTERVENUTA LA PRESCRIZIONE, COSA CHE RENDE IRREGOLARE QUELLA CAMERA DI CONSIGLIO
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Anna Maria Greco per ''il Giornale''
Che cosa successe davvero nel segreto della Camera di Consiglio della Cassazione che il primo agosto 2013 arrivò alla condanna definitiva di Silvio Berlusconi per frode fiscale? L'ultima tessera del puzzle l'aggiunge l'articolo di Repubblica sul fatto che il relatore Amedeo Franco (quello che pochi mesi dopo fu registrato mentre confessava al leader di Forza Italia che la sentenza era stata manipolata) avrebbe a sua volta cercato di registrare il confronto con i quattro colleghi e sarebbe stato scoperto. Solo che, secondo il racconto di due magistrati identificati solo come Toga1 e Toga2, si sarebbe deciso a questo punto di non denunciare il fatto ma di andare avanti come se nulla fosse.
Per arrivare comunque al verdetto di colpevolezza, evitando di incappare nella prescrizione. Una ricostruzione clamorosa che conterrebbe gli elementi per invalidare quella sentenza, ma non viene confermata né smentita dagli interessati, Franco è morto e gli altri, il presidente Antonio Esposito, i giudici Giuseppe Di Marco ed Ercole Aprile, manca solo la voce di Claudio D'Isa, si trincerano dietro il segreto della camera di consiglio. Ma quel segreto tutela la decisione in sé, non i fatti che la circondano, o no?
Scrive Repubblica che, durante la discussione, i componenti della sezione Feriale sentirono uno strano rumore: «Dopo qualche secondo, quel gracchiare assume un suono più nitido: sembrano proprio le loro voci, di poco prima, registrate. Il giudice Franco si alza di scatto, mette le mani in tasca come a chiudere qualcosa, a premere un tasto. Imbarazzato, così apparirebbe ai colleghi, esce, va in bagno. Torna dopo poco. Dice che è tutto a posto. I colleghi sono interdetti. Un altro di loro si stacca e va in bagno. E scopre, in un angolo, un dispositivo o un cellulare nascosto: lo prende, lo riporta in camera. E non so altro. Spiegazioni? Non mi risulta che Franco ne abbia date, di plausibili».
Versione confermata anche dalla seconda fonte: «È lo stesso racconto, per sommi capi, che raccolsi anche io. Questa storia provocò molto turbamento e amarezza tra i quattro giudici. Un gesto equivoco. Ma senza certezze». Perché la vicenda non fu denunciata? Il ragionamento fu che «il rischio di una eventuale divulgazione» era stato bloccato in tempo. Come potevano essere sicuri di questo i quattro ermellini non si capisce e neppure perché, di fronte a un fatto così pesante, si presero la responsabilità di tacere, di coprire il comportamento così gravemente sospetto del relatore?
Nessuno disse niente e anche tre anni dopo, quando Franco fu promosso presidente di sezione al Csm, Aprile che ne faceva parte non votò a favore ma neppure spiegò il perché. E, ultima o forse prima domanda, perché Franco voleva registrare la seduta? Secondo la difesa di Berlusconi, che si prepara a inviare a Strasburgo l'articolo di Repubblica con altri documenti per il ricorso fatto alla Corte europea dei diritti dell'uomo, se il fatto fosse vero confermerebbe la tesi di un relatore così preoccupato da cercare di precostituirsi la prova che stava succedendo qualcosa di gravissimo in quella camera di consiglio.
Il professor Franco Coppi e l'avvocato Niccolò Ghedini si sono consultati ieri sulle ultime notizie che, ne sono convinti, avvalorano l'idea che quel collegio fosse, come lo definì Franco, «un plotone d'esecuzione» per Berlusconi. Che non si fermò neppure di fronte all'obbligo di sospendere la seduta, avvertire le forze dell'ordine, far sequestrare cellulari o altri dispositivi per accertare se qualcosa era stato trasmesso all'esterno e poi almeno denunciare al Csm Franco per un comportamento deontologicamente scorretto. Ma così, la decisione sul processo Mediaset sarebbe passata ad un altro collegio e forse era proprio questo che si voleva evitare.
Il rischio prescrizione, a quanto sembra, non era così impellente da imporre l'attribuzione alla sezione Feriale. Coppi e Ghedini hanno ricostruito lo scambio di comunicazioni tra uffici giudiziari: il 5 luglio la presidente della Corte d'appello di Milano, Alessandra Galli, inviò alla Cassazione una email urgente segnalando che la mannaia della prescrizione sarebbe caduta non ad agosto ma, almeno, il 14 settembre oppure il 21 o il 28, in base ai calcoli da fare.
Ma il 9 luglio la Suprema Corte notificò alla difesa di Berlusconi che l'udienza era fissata il 30 luglio e, asserendo che la prescrizione sarebbe scattata il primo agosto, abbreviò i termini di difesa da 30 a 20 giorni. Per la Cassazione tutto regolare, ma per Coppi e Ghedini così il Cavaliere fu privato del suo «giudice naturale» e affidato alla sezione Feriale, su cui pesano tanti sospetti. I legali ora pretendono accertamenti dalla Corte di Strasburgo e anche dal ministro della Giustizia. Alfonso Bonafede, quando uscì l'audio di Franco disse che non poteva indagare sui morti, ma ora potrebbe accertare se gli altri quattro membri della Feriale si comportarono secondo la legge e le regole.