ALCATRAZ ALLE PORTE DI CASA – A MALTA, LODATA DA RENZI, UNA GESTIONE DEGLI IMMIGRATI COMPLETAMENTE MILITARIZZATA – CHI CI FINISCE RIMANE BLOCCATO ANCHE 10 ANNI – E INFATTI I DISPERATI FANNO DI TUTTO PER EVITARE L’ISOLA


Davide Vecchi per il “Fatto Quotidiano

 

POLIZIA MALTA

In mare persino le ombre risplendono di speranze. Chi riesce a prendere il largo dalla Libia sui barconi verso l’Italia è pronto a tutto pur di fuggire. E tutto mette in conto. Persino la morte. Per gli schiavi dell’immigrazione però l’importante è non finire a Malta. È considerata una sorta di Alcatraz nel Mediterraneo. Uno sputo d’isola che solo per malasorte capita d'incrociare, incastrato com’è tra due porte d’Italia, il Paese che è la via della salvezza verso l'Europa: la Sicilia 30 miglia a Nord e a una cinquantina di miglia a Sud-Ovest c’è Lampedusa, dove ancora ieri si sono registrati nuovi sbarchi. In mezzo c’è Malta. La malasorte.

 

Chi arriva qui sa di non avere vie di fuga. Si rimane bloccati anche per dieci anni. Senza vie di scampo. Da queste parti la gestione dell’immigrazione è una cosa seria. E ha ragione il presidente del Consiglio Matteo Renzi a riferirsi a Malta, come ha fatto ieri in aula, descrivendolo come “il Paese più piccolo ma con un grande cuore, che ha avuto il coraggio di collaborare in modo molto serio”.

MALTA IMMIGRATI

 

Le autorità maltesi sanno che da quest’isola non si scappa, non possono fingere di girarsi dall’altra parte e lasciar andare altrove i migranti nella speranza che non vengano fermati ai confini con gli altri Paesi. Da qui non partono barconi, non ci sono scafisti cui vendersi ritentando la sorte del mare. Se finisci a Malta il tuo viaggio è terminato.

 

A meno che tu non abbia diritto all’asilo politico. Ma lo status di rifugiato può arrivare anche dopo 12 mesi di detenzione e la permanenza nel carcere è permessa fino a 18 mesi. Carcere sì. Li chiamano “detention centre”. Sull’isola ce ne sono quattro. E anche se sei un minore lì arrivi appena approdato.

 

Malta - La valletta

Il primo passaggio è per tutti al Floriana, gestito dalla polizia maltese. Un casermone recintato che può ospitare fino a mille persone. In questi giorni è vuoto. “Da qui poi vengono smistati a seconda dell’età e dei singoli casi”, spiega Salvatore Cilia, il guardiano della struttura. “È vigilata 24 ore al giorno, come tutti gli altri posti e siamo tre o quattro insieme per turni da otto ore ciascuno”, dice. C’è poi il Tà Kandja che, come il Floriana, è gestito dalla polizia e serve a ospitare i nuovi arrivi. Da qui i migranti vengono poi smistati ai due centri detentivi di lunga permanenza: Hal Far Barracks e Hal Safi. Entrambi gestiti dal primo reggimento delle forze armate maltesi, sono zone militarizzate.

 

I dormitori sono chiusi dietro due reticolati controllati a vista e pattugliati dall’esercito. Tra i casermoni decine di file di tende ospitano ciascuno fino a 20 migranti. Dentro ci sono due campi da calcio. Nient’altro. Dal 2009 non entrano più neanche gli uomini di Medici Senza Frontiere. L’organizzazione, dopo aver mantenuto per anni un proprio presidio nelle strutture chiuse, le lasciò spiegando di non poter più svolgere la propria azione medico umanitaria in maniera efficace.

 

JOSEPH MUSCAT

Otto fornelli a gas per 1300 persone Msf ha inoltrato numerose richieste alle autorità maltesi affinché apportassero miglioramenti in termini di accoglienza nei centri di detenzione che “presentano condizioni inaccettabili: ambienti malsani e promiscui, spazi sovraffollati, vetri rotti, scarsità di letti e di beni di prima necessità, servizi igienico-sanitari inadeguati, sono le condizioni che fin da subito gli operatori di Msf hanno trovato nei centri di detenzione maltesi”.

 

Condizioni “che peraltro favoriscono la diffusione di patologie legate alle proibitive condizioni di vita”. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) segue la situazione maltese con attenzione tanto che sull’Isola c’è un ufficio di riferimento.

 

JOSEPH MUSCAT

Ma sulle condizioni dei centri da parte del ministero locale c’è un riserbo assoluto. Alle spalle di Hal Far c’è un altro campo: Hal Far Hangar. È un agglomerato di container ordinati uno sul’altro che ospita oltre 1300 persone. Siamo riusciti a entrare attraverso un buco sulla rete da cui i migranti di giorno escono e la sera rientrano. In un piazzale centrale tra i container c’è una struttura di cemento fatiscente che ospita i bagni e le cucine: otto fuochi a gas per tutti. Le docce sono una dozzina, tutte allagate e mal funzionanti. Condizioni igieniche ridotte allo zero.

 

Per carità: a Malta non ci sono baraccopoli. Rimangono tutti nei centri. Il motivo lo spiega Abadil. Racconta di essere somalo e di avere 21 anni, gli ultimi cinque trascorsi qui all’ Hangar. “ Tre volte alla settimana dobbiamo metterci in fila davanti al nostro buco per ricevere i cinque euro con cui dobbiamo vivere”.

immigrati barconi 6

 

Fare la spesa “ e comprare anche per tenere pulito qui, ci proviamo” . Se non sei all’ appello “ rimani senza soldi, ti tolgono il posto letto e se ti ritrovano ritorni nel carcere di là” . Lui racconta di essere stato salvato in mare. “ Stavamo andando in Italia, ero con i miei genitori e due sorelle: non le ho mai riviste e spero siano lì da voi” . A Malta ha imparato l’ inglese, Abadil. E spera di poter ripartire. “ Ma è impossibile: no way out” , ripete. All’ Hangar due notti fa ci sono stati degli incidenti: qualcuno ha tentato di protestare “ per le condizioni di schifo che ci sono” . Ma non è servito a niente. Anzi. “ Ieri non si sono visti i soldi” .

 

Da qui si può riuscire a passare a un centro aperto. Ce ne sono cinque sull’ isola. Il più importante è a Marsa, a sud di La Valletta. La zona è invasa da migranti. Molti lavorano. Nessuno qui crea problemi di sicurezza.

 

immigrati barconi 5

E nessuno ne sfrutta la manodopera criminali o tenta di specularci. “ Tutti noi maltesi li aiutiamo” , dice Oliver, il responsabile del centro. “ Chi sta qui ha un letto e la mattina può uscire, chi vuole lavorare va all’ incrocio qui sotto e aspetta: alcuni vanno a pulire i giardini, altri vengono usati per qualche lavoro di fatica ma vengono sempre pagati

normalmente” . Tutti, conferma Oliver, sognano di andarsene.

 

Ogni ospite forzato di Malta ha un numero. L’ultimo sfiorava il 5000 in uno sputo d’ isola con 400 mila anime. Ed è il numero, non la persona, l’ identità. Il numero ha il posto letto, il numero riceve i 5 euro, il numero va ai centri di detenzione o quelli aperti. Il numero ottiene il diritto d’ asilo per andare via da qui. Gli agenti delle forze militari li gridano al mattino presto nell’ hangar. Ieri due ragazzi sono andati in Italia. Qualcuno anni fa tentò di comprarsi il numero: “ Ma se ti scoprono torni in carcere, e ti scoprono di sicuro” .

 

immigrati barconi 4

Un’ altra fuga a metà. Per questo nessuno vuole venire a Malta. Nonostante da due anni sia cambiato il governo e sia finito il decennio di egemonia di Lawrence Gonzi, che introdusse i respingimenti in mare. Il nuovo premier, il 41enne Joseph Muscat, in due anni ha investito oltre dieci milioni di euro per le politiche di accoglienza ma le strutture sono vecchie e militarizzate. Gli uomini della squadra marittima delle forze armate maltesi pattugliano 250 mila chilometri quadrati di mare tra la Sicilia e la Libia per individuare e aiutare i barconi in difficoltà ma se non stanno annegando i migranti non vogliono essere aiutati da Malta.

 

Aspettano gli italiani, come ha confermato in un’ intervista a Repubblica  il capo Andrew Mallia: “ I profughi rifiutano i nostri soccorsi” . L’ emergenza è senza fine. E Malta rimane la terra senza scampo. Che toglie prima speranza e poi identità ai sopravvissuti.

d.vecchi@ilfattoquotidiano.it