1. CON ALFIO MARCHINI A ROMA, VOLUTO DA GIANNI LETTA, E STEFANO PARISI A MILANO, SCELTO DA CONFALONIERI, BERLUSCONI SFANCULA MELONI-SALVINI E INAUGURA IL 'SUO' CENTRODESTRA
2. SCHIAFFEGGIATO DA SALVINI SU RENZI (“NON LO ATTACCA PER DIFENDERE LE SUE AZIENDE”), IL CAV HA DOVUTO SMARCARSI UNA VOLTA PER TUTTE DAL LEPENISMO FORCAIOLO E FASCISTELLO. 
E CON “ARFIO” SOSTENUTO DA “FARSA ITALIA”, LA CORSA PER IL BALLOTTAGGIO SI FA INCERTA 
3. LO "SPARIGLIO" DEL BERLUSKA INQUIETA NON SOLO IL DUPLEX FASCIO POPULISTA SALVINI-MELONI MA SOPRATTUTTO RENZI CHE VEDE NASCERE UN'ALTERNATIVA CENTRISTA: MARCHINI
 


1 - «LA DIGNITÀ NON HA PREZZO»

Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”

 

MARCHINI

Per vent’anni Berlusconi è stato una scelta di campo. Ora è Berlusconi a fare una scelta di campo. Ed è impossibile oggi stabilire se la mossa del Cavaliere preluda a un’operazione strategica per riappropriarsi di un ruolo perduto o sia più semplicemente un espediente tattico per ritagliarsi ancora un po’ di tempo e un po’ di spazio. Di certo la decisione di appoggiare Marchini nella corsa al Campidoglio rappresenta a suo modo una svolta storica, che provocherà conseguenze politiche ma è dettata soprattutto da un fatto personale: «Avere più consiglieri comunali a Roma non mi interessa. Dignità e onore non hanno prezzo».

 

confalonieri berlusconi letta

È questo il nodo inestricabile, al termine di una pochade senza eguali che per settimane ha messo insieme il balletto delle candidature di centrodestra nella Capitale e la battaglia per la leadership della coalizione a livello nazionale. Il gioco è finito quando Salvini ha denunciato Berlusconi di essere «ricattato da Renzi per questioni di affari», riesumando il vecchio conflitto d’interessi. E siccome è impensabile che il segretario della Lega non sapesse che l’attacco avrebbe portato allo strappo, il capo di Forza Italia ha interpretato quelle parole come una dichiarazione di guerra: «È insopportabile».

 

STEFANO PARISI

Forse Salvini voleva scientemente provocare la reazione, o forse no. Ma non c’è dubbio che a quel punto Berlusconi ha dovuto fare ciò che per venti anni altri hanno dovuto fare: lui che veniva scelto, ha dovuto scegliere. D’altronde non c’era soluzione. L’ha detto chiaramente ieri Gianni Letta ai dirigenti forzisti che l’hanno chiamato preoccupati per la rottura della coalizione: «Ma che coalizione era più, dopo l’attacco che ha subito alle sue aziende»? Perché il Cavaliere può accettare le provocazioni politiche, ma non può tollerare quelle portate alle cose di famiglia. Con il rischio, peraltro, che l’affondo di Salvini induca Renzi a dimostrare con atti di governo l’infondatezza dell’accusa.

 

SALVINI MELONI PIVETTI

Perciò l’ex premier ha deciso di bruciarsi i vascelli alle spalle, per l’«insopportabile» affronto dei suoi (ex?) alleati, che ancora ieri ripetevano come «Renzi chiama e Berlusconi risponde», facendo così passare un messaggio subliminale, cioè che il leader di Forza Italia ha tradito il centrodestra.

 

Sono state le circostanze a determinare la scelta con cui il Cavaliere si è intanto riappropriato di se stesso, e ha potuto scavare un solco con Salvini e Meloni aggiungendo motivazioni politiche al fatto personale: la sua distanza dal neo-giustizialismo di chi si è schierato con il presidente dell’Anm Davigo, e la sua appartenenza alla famiglia dei «Popolari europei», così diversa dalla genia populista. Che poi era quanto gli aveva chiesto giorni fa il capogruppo del Ppe Weber: «Per noi è impossibile conciliare le nostri posizioni con quelle dei lepenisti». Una sorta di «o dentro o fuori».

MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI

 

E Berlusconi sembra aver scelto, spiazzando un pezzo della sua stessa classe dirigente e quanti già lavoravano alla sua rottamazione. Un arrocco più che una mossa del cavallo, ma utile a mostrarsi ancora centrale: perché se è vero che la politica è rapporti di forza, si fosse schierato con la Meloni sarebbe parso come il capo di una «forza di utilità marginale», e non solo nella sfida per il Campidoglio.

 

Così invece potrebbe proporsi come il federatore di un aggregato di centro, dove già c’è chi esulta per la scelta del Cavaliere. Insomma, Berlusconi oggi ha più carte in mano, però — come gli ha spiegato Matteoli — «di qui in avanti dovrai essere conseguente». Per riaprire il fronte moderato, ha aggiunto Brunetta, «dovrai tornare a dialogare con i vecchi amici», i protagonisti di una diaspora di cui il Cavaliere è corresponsabile.

BERLUSCONI BERTOLASO

 

Ma è davvero questo l’obiettivo, o ieri Berlusconi ha usato solo un kit per la sopravvivenza? Anche perché il timing in politica è determinante e la mossa potrebbe rivelarsi fuori tempo massimo, in vista del referendum costituzionale che tornerà a dividere ciò che le Amministrative stanno per unire. Servirà un ben altro «guizzo» rispetto a quello con cui ieri ha risposto per fatto personale a Salvini e Meloni. E non solo a loro. «Sono molto stanco», ha esordito il Cavaliere accogliendo a pranzo i dirigenti forzisti: «Perciò scusatemi se mi dovessi addormentare. A proposito, stavolta chi mi sveglierebbe»?

 

2 - UNA NEMESI ANTI «POPULISTI»

Massimo Franco per il “Corriere della Sera”

 

salvini (d), con silvio berlusconi d

L’operazione Marchini segue una logica chiara: indebolire «la destra populista» della Lega e FdI. Forse il tentativo di scalare il Campidoglio da parte del centrodestra si rivelerà velleitario. Di certo, ieri si è consumata la nemesi di Silvio Berlusconi contro l’asse tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il ritiro del candidato di FI, Guido Bertolaso, e l’appoggio al costruttore romano Alfio Marchini, personaggio trasversale, erano nell’aria da qualche giorno.

 

E, per quanto spregiudicata e dai contorni ancora un po’ confusi, l’operazione segue una logica chiarissima: indebolire «la destra populista» della Lega e di FdI; recuperare e affermare per contrasto un profilo più moderato e «centrista»; e soprattutto punire alleati che hanno avuto il torto di trattare Berlusconi come un leader liquidabile senza troppi complimenti.

salvini (d), con silvio berlusconi e giorgia meloni sul palco allestito in piazza maggiore a bologna 77

 

Gli sviluppi di quanto è accaduto ieri si potranno misurare solo nei prossimi giorni. Lo scarto dell’ex premier non garantisce a FI il peso e i voti che è andata perdendo negli ultimi anni; né scongiura il rischio, palpabile in particolare nel Nord, di essere colonizzata e subordinata al Carroccio.

 

Ricompatta, però, i frammenti sparsi del berlusconismo: anche fuori dai confini del suo partito. Cerca di ricreare il mito dell’anziano capo in grado di dare il meglio di sé quando è messo nell’angolo. Ridimensiona le ambizioni e le velleità di primato degli alleati. E rivendica un protagonismo non sul palcoscenico nazionale ma, più prosaicamente, su quello del suo schieramento.

VIRGINIA RAGGI

 

Per lui, dunque, è già una vittoria. E la reazione stizzita dell’«altra destra» che pensava di avere ormai ereditato l’area berlusconiana sottolinea la durezza del colpo subìto. Non solo perché alcuni personaggi televisivi che avevano abbracciato l’asse Lega-FdI hanno fatto un’immediata marcia indietro, inneggiando all’intelligenza dell’ex Cavaliere. Il problema è che l’operazione Marchini si configura come una lista trasversale in grado teoricamente di fare concorrenza sia a quella del Pd, sia all’altra del Movimento 5 Stelle. In teoria, perché il punto di partenza è basso, i sondaggi dispettosi, e il sostegno di Berlusconi a doppio taglio.

GIACHETTI

 

Eppure, da ieri lo scenario per il Campidoglio può cambiare. Roma, capitale disastrata dal malgoverno e dagli scandali, si ripropone come laboratorio di un sistema articolato non più su tre ma su quattro tronconi partitici: Pd, M5S, un centrodestra con ambizioni centriste, e una destra populista.

 

francesco storace

E Marchini, erede di una famiglia di costruttori legati storicamente alla sinistra, potrebbe diventare un candidato più forte di quanto non dicano i numeri di oggi. A prima vista, il Campidoglio sembra l’incubatrice di un’Italia frammentata e condannata al proporzionale, che nessun Italicum riuscirebbe a piegare: anche se ieri il premier Matteo Renzi ha rivendicato con orgoglio la sua riforma elettorale «spaziale» perché nel 2018 «ci sarà uno che vince». Il problema è che aumenta l’incertezza su chi vincerà, e come.