ALTRO CHE BUZZI, È LA METRO C IL VERO BUBBONE DI ROMA: UN DISASTRO BANDITO DA VELTRONI, PROSEGUITO DA ALEMANNO E AFFOSSATO DALL'INETTITUDINE DI MARINO E DALLA VORACIA DEI COSTRUTTORI, CHE INVECE DI COSTRUIRE SI OCCUPANO DI FARE DECINE DI CAUSE AL COMUNE
Giorgio Meletti per "il Fatto Quotidiano"
Ci mancava solo questa alla vergogna della Metro C di Roma: i costruttori che fanno le vittime. Ieri il presidente del consorzio, Franco Cristini, ha detto che “non ci sono assolutamente le condizioni per andare avanti” e che “nessuno ancora oggi sa come debba proseguire l’opera”. Detto da quelli che nel 2006 hanno vinto la gara in cui si impegnavano a progettare e realizzare l’opera come general contractor, a costi fissi e in tempi certi, secondo quella Legge Obiettivo con cui nel 2001 Silvio Berlusconi inaugurò l’era delle grandi opere rapide ed efficienti.
“Ora si tratta di individuare le reali responsabilità”, minaccia Cristini. Ma all’opera c’è già l’Autorità Anticorruzione, il cui presidente Raffaele Cantone ha messo la Metro C al primo posto tra i casi di “anomalie relative al prolungamento dei tempi e all’incre - mento dei costi”. Insomma, la madre di tutte le porcherie.
E visto che la Metro C sarà il simbolo degli sprechi della Seconda Repubblica, partiamo dai nomi. Il padre della madre di tutte le porcherie si chiama Walter Veltroni: è lui il sindaco che ha bandito la gara per la Metro C e, sei mesi dopo l’aggiudicazione al consorzio Astaldi - Caltagirone-coop rosse, ha avallato la firma di un contratto di appalto che ha stravolto il bando di gara. Sua fu l’idea di fare la Metro C con la Legge Obiettivo.
L’accusa viene da Walter Tocci, braccio destro del sindaco Francesco Rutelli negli anni 90, regista della mobilità urbana quando l’idea della Metro C fu concepita. Scrive nel pamphlet appena pubblicato Non si piange su una città coloniale: “Purtroppo, anche la Metro C fu inserita nella legge obiettivo, quindi con una progettazione poco definita che ha indebolito i poteri di controllo comunale e ha conferito ampi margini di iniziativa all’impresa realizzatrice. Questa base contrattuale troppo lasca ha favorito la dilatazione dei tempi di attuazione e la crescita di un enorme contenzioso sull’aumento dei costi”.
Guido Improta, attuale assessore alla Mobilità del Campidoglio, l’uomo che ha ereditato l’immonda grana fino a che ha annunciato le dimissioni, conferma: “La Metro C è stata contrattualizzata senza che ci fossero tutti i progetti approvati e senza che ci fossero anche le risorse disponibili”. Il vicepadre della madre di tutte le porcherie è il successore di Veltroni, Gianni Alemanno, che dal 2008 al 2013 ha gestito la giungla di 45 varianti, revisioni prezzi, contenziosi e transazioni.
È un film horror di cui è nota solo la fine: nel febbraio 2006 il consorzio Metro C ha vinto la gara per costruire, al prezzo chiuso di poco più di 2 miliardi, 25 chilometri di metropolitana che dall’estrema periferia est di Roma doveva arrivare alla basilica di San Giovanni, da lì raggiungere il Colosseo e piazza Venezia, poi attraversare il centro storico e finire in piazzale Clodio, estremità ovest del centro della Capitale.
Doveva essere tutto pronto nel 2012. Oggi risultano già spesi 3 miliardi e la Metro C, partita dalla ridente località Pantano, è arrivata a un chilometro da San Giovanni, dove ci sarebbe l’intersezione con le linee di metropolitana già esistenti. E ancora non si sa se e quando ci arriverà. Per quanto riguarda Colosseo, piazza Venezia e tutto il resto lo sapranno i posteri.
Ricetta miracolosa del disastro. Primo ingrediente: Veltroni inventa una spa controllata dal Campidoglio al cento per cento che fungerà da stazione appaltante, poi ottiene che la Metro C sia finanziata per il 70 per cento dallo Stato, per il 18 per cento dalla Regione Lazio e per il 12 per cento dal Comune. Ma chi assume obblighi con il general contractor è il Comune: se lo Stato non eroga il finanziamento e il general contractor lamenta i ritardi, a pagare i danni sarà il Comune. Poi lo Stato paga ma il costo dell’opera lo determina il Comune, maneggiando il bando di gara e i contratti come fossero di Pongo.
Secondo ingrediente: si scrive una cosa nel bando di gara e poi ci si mette d’accordo con il vincitore della gara per fare tutt’altro, a trattativa diretta tra il Comune di Roma, due costruttori romani come Astaldi e Caltagirone e le coop Ccc e Cmb, parenti politiche della giunta aggiudicatrice. Tra l’aggiudicazione e il contratto sono passati otto mesi, da febbraio a ottobre 2006.
Nel bando si faceva prima la parte centrale (San Giovanni-Alessandrino) e poi il resto. Nel contratto si è deciso di fare subito da San Giovanni a Pantano. Il general contractor, che aveva vinto la gara offrendosi di costruire tutto in 2736 giorni, nel contratto ha aggiunto uno sconto sui tempi di 620 giorni, ottenendo in cambio la riduzione del prefinanziamento a suo carico dal 20 per cento al 2 per cento d el l ’opera (cioè da 400 a 40 milioni).
C’è anche scritto che la tratta già progettata (San Giovanni-Alessandrino) costerà 623 milioni, mentre i costi di tutte le altre tratte “verranno determinati” sulla base dei progetti fatti dai costruttori. E li chiamavano “ costi certi”. Solo un dato: nel contratto firmato a ottobre 2006 compare 15 (quindici) volte la dicitura “in deroga a quanto previsto dal bando di gara”.
In tanta vaghezza, le cosiddette “riserve” (“voglio più soldi”) del general contractor sono partite poche settimane dopo la firma del contratto: già il 4 ottobre 2007 c’è la prima richiesta di arbitrato. Il primo verbale di accordo transattivo lo ha firmato Alemanno appena insediato, il 12 giugno 2008. E la corsa della Metro C non si è più fermata: lavori sempre più lenti, costi sempre più fuori controllo.