AMERICA FATTA A MAGLIE - CON TRUMP L'ECONOMIA S'INGRIFA: L'INDICE DI FIDUCIA E OTTIMISMO DELLE PICCOLE IMPRESE È CRESCIUTO AI LIVELLI DEGLI ANNI '80, MENTRE LE GRANDI IMPRESE, DA FIAT-CHRYSLER ALLA CINESE ALIBABA, BACIANO LA PANTOFOLA - STASERA IL DISCORSO DI ADDIO DI OBAMA, NON SI PLACA L'OPPOSIZIONE CIECA DEI DEMOCRATICI: PIÙ PER FARE CONTENTA LA LORO BASE CHE PER REALE POSSIBILITÀ DI INTERFERIRE CON LA TRANSIZIONE
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Meno 10. Saranno dieci giorni vivaci quelli che mancano al giorno dell'insediamento del 45esimo presidente degli Stati Uniti, Donald J Trump. Le notizie sul fronte economico sono ottime, e non solo perché si affrettano a decretare investimenti negli Stati Uniti invertendo i processi di delocalizzazione le grandi aziende automobilistiche come Ford, General Motors e Fiat Chrysler, non solo perché importanti manager e miliardari corrono a baciare la pantofola del presidente eletto, vedi Marchionne nostrano sempre governativo, subito convertito da grande fan di Obama ad estimatore fiducioso del nuovo presidente;
vedi Carlos Slim, il miliardario messicano, già uomo più ricco del mondo ora quarto, che possiede il 15% delle azioni del New York Times e durante la campagna elettorale ha soffiato sull’odio verso il tycoon, ma ora medita addirittura di presentarsi alle presidenziali del Messico, e proprio in Trump style;
ma anche il più misterioso di tutti il cinese Jack Ma, fondatore di Alibaba, che dopo un lungo incontro con Trump ha annunciato il progetto per un milione di posti di lavoro in 5 anni, puntando sul sostegno a piccole imprese e sul commercio tra America di Midwest e sud est asiatico di frutta e vino.
Non solo le grandi industrie decidono che è molto meglio tornare a investire in US, e non è tanto il dazio del 35% minacciato a spaventarli quanto la promessa di tasse al 18% a incoraggiarli a rientrare; ma si rianimano anche le piccole e medie imprese.
Scrive Bloomberg, mai stato tenero col presidente eletto, che l'indice di fiducia e ottimismo delle piccole imprese è cresciuto a livelli che non si vedevano dagli anni 80, e la Fondazione Nazionale di Business Indipendente ha rivelato che il suo indice è salito da 74 punti del mese scorso a 105,8 ovvero il livello più alto dalla fine del 2004 quando tocco’ il 98,4% il più alto dal 1980 subito dopo un’ elezione presidenziale.
Trump sta concludendo, così bisogna dire abbastanza trionfalmente, un periodo di transizione pubblica come non era mai accaduto, nella quale all'attivismo di uscita dalla Casa Bianca di Barack Obama si è contrapposto un attivismo di entrata del nuovo presidente, che ha praticamente cominciato a governare, ad annunciare e dimostrare quello che fara’ i primi 100 giorni anticipandolo, soprattutto a gestire la cosa pubblica col metodo del presidente d'azienda.
Questa sera Barack Obama tiene a Chicago il discorso di addio che in qualche modo, in assenza di leader importanti del Partito Democratico e in inesistenza di Hillary Clinton, fara’ da viatico per i prossimi mesi. Sarà un discorso di moderazione? Non è probabile viste le iniziative radicali di Obama, e anche visto il clima generale, che è pesante.
I democratici non sembrano imparare la lezione e si ostinano a concepire la nuova condizione di oppositori tutta concentrata su Washington, ovvero sull' ostruzionismo al Congresso delle nomine, su Hollywood, la ridotta più liberal del Paese, e sui media disponibili a proseguire con lo stile tenuto nella campagna elettorale.
Però l'ostruzionismo non ha sponda, perché fino a che il gruppo repubblicano è coeso possibilità di strappargli la maggioranza non ce n'è, e allora che cosa serve questo metodo? Serve a placare la rabbia di quelli che non si sono rassegnati, non certo a riprendersi voti perduti. Prendiamo l'esempio delle audizioni iniziate ieri per la conferma del senatore Jeff Sessions come attorney general, l'equivalente del nostro ministro della Giustizia e uno degli incarichi più importanti del governo.
Sessions sarà confermato perché anche i senatori repubblicani non trumpiani come Suzanne Collins e Lindsay Graham sono con lui e lo è anche il senatore Flake dell'Arizona. Eppure con una mossa che non ha precedenti nella storia del Senato americano un altro senatore democratico, Cory Booker, testimonierà contro di lui accusandolo di razzismo per aver, cosa che lui nega, chiamato boy un pubblico ministero nero, e per aver pronunciato, cosa che lui dice essere stata una battuta, la seguente frase “mi sono sempre piaciuti quelli del Ku Klux klan fino a che non ho saputo che fumano marijuana'’.
Le accuse risalgono a 30 anni fa e più, Sessions è considerato anche dagli avversari un avvocato e un procuratore distrettuale poi senatore di onestà cristallina e di grande capacità politica; certo è un conservatore, ed è stato il primo nel gennaio scorso a riconoscere le capacità di Donald Trump e le sue opportunità contro l'intero partito repubblicano. Si può credere di fare battaglia politica in questo modo?
Barack Obama terrà tra poche ore un discorso molto polemico, ma, scrivono tra il serio e il faceto New York Post, Wall Street Journal e il grande Daily Mail, come volete che possa fare meglio della intemerata durata 6 minuti a voce roca e a tratti tremante, messa in scena da Meryl Streep la sera in cui le è stato consegnato il Globe alla carriera? Davvero la sua peggiore interpretazione, dicono, anche se i giornali italiani, capitanati dal Foglio, devono aver visto un'altra serata o meglio hanno visto solo la risposta di Donald Trump via tweet e hanno criticato, traducendola a capocchia, quella, a proposito di fake news.
Bene, la notizia è un'altra ed è che a Hollywood pensano quelli che contano che il Golden Globe non è stato abbastanza ricco di critiche e insulti a Donald Trump e che soprattutto Jimmy Fallon, il conduttore, è stato troppo morbido. Lo scrive a nome della comunità il critico Dominic Patten che lamenta che Fallon si sia tenuto troppo lontano dal terreno politico. Il che comporta come conseguenza che il conduttore dell'imminente cerimonia degli Oscar, Jimmy Kimmel, si sentirà tenuto ad andarci giù pesante e la cerimonia perderà ancora milioni di spettatori.
Tenete presente che una delle battute chiave di Fallon domenica sera è stata che i Golden Globe sono uno dei pochi eventi nei quali il voto popolare conta ancora qualcosa. Evidentemente la Costituzione che stabilisce che conti il voto elettorale, anche per evitare che si decida tutto in California, non piace nel ghetto d'oro di Hollywood. Gliene importa qualcosa a Donald Trump? Durerà ancora a lungo questo atteggiamento? Molto dipenderà dal Partito Democratico, quanto a Donald Trump, non sembra preoccupato.