ARCHEOLOGIA BRIGATISTA - IL NASCONDIGLIO DELLE BR SCOPERTO AL POLICLINICO DI MILANO RIPORTA A GALLA I PRIMI AGGUATI. PARLA DE CAROLIS, DEMOCRISTIANO GAMBIZZATO E MINACCIATO: ''ERO CONVINTO DI MORIRE. L'INCHIESTA SUL MIO FERIMENTO NON PORTÒ A NULLA PERCHÉ IL PM FU UCCISO. MA MI DISSE CHE LA DONNA DEL COMMANDO ERA PAOLA BESUSCHIO, CHE INCONTRAI ANNI DOPO E FINSE DI NON RICONOSCERMI''. LE BR CHIESERO LA SUA SCARCERAZIONE IN CAMBIO DI MORO...
1. "QUANDO LE BR MI MISERO AL MURO ERO MORTO, COLPIRONO LE GAMBE"
Luca Fazzo per ''il Giornale''
Un'intercapedine che viene rimossa durante i lavori di ristrutturazione del Policlinico. E lì, dov'era nascosto da decenni, salta fuori un gruzzolo di carte che riporta indietro l'orologio della stria di quarant'anni.
Sono documenti - come racconta ieri Repubblica - delle Brigate Rosse, che al Policlinico di Milano avevano una delle loro colonne più agguerrite. E insieme a volantini e documenti, salta fuori un tesserino di Massimo De Carolis, il fondatore della maggioranza silenziosa, vittima il 15 maggio 1975 di uno dei primi attentati delle Br.
De Carolis, allora capogruppo della Democrazia cristiana a Palazzo Marino, venne sequestrato all'interno del suo studio legale, interrogato e gambizzato. Per lunghi anni, il tesserino che gli venne sottratto dai brigatisti è rimasto lì, nascosto dietro la parete del padiglione dell'ospedale. Oggi De Carolis ha settantasei anni, e anche per lui la notizia è un tuffo indietro nel passato.
Ha letto?
«Ho letto, ho letto. Il mio tesserino... Non può essere quello da deputato, perché io nel 1975 non ero ancora entrato in Parlamento, dove venni eletto solo l'anno dopo. Non può essere il tesserino da avvocato perché ce l'ho ancora qui con me. Potrebbe essere il tesserino da consigliere comunale, che allora esisteva. Le Br nella loro maniacalità cercavano ogni tipo di documento, mi perquisirono lo studio, portarono via agende, rubriche telefoniche, carteggi. Forse in un cassetto trovarono anche quello e se lo presero».
Adesso risalta fuori. Può aggiungere qualcosa alla ricostruzione dell'attentato contro di lei?
«Chissà. L'inchiesta sul mio ferimento non è mai arrivata a niente, per il semplice motivo che il pm che la conduceva venne ucciso. Era Emilio Alessandrini, un magistrato di grande livello che io conoscevo bene. Prima di venire ucciso, fece in tempo a dirmi che avevano identificato la donna del commando.
Vede, all'epoca le Br applicavano rigidamente le norme sulle pari opportunità e nelle loro azioni c'era quasi sempre una donna. Nel mio studio entrarono in quattro e una era effettivamente una donna. Alessandrini mi disse che era Paola Besuschio, una del nucleo originario delle Brigate Rosse che era stata arrestata qualche mese dopo per altri fatti. Ma nel 1979 Alessandrini venne ucciso e l'inchiesta si arenò».
In mezzo a tanti pentimenti, non si è mai saputo chi facesse parte del commando?
«Zero. Io però ho una convinzione precisa ed è che quello che mi interrogava e mi ha sparato non fosse un brigatista, ma un criminale comune. Di politica non capiva quasi niente, ma sparava benissimo. Era un orecchiante, faceva domande una più sbagliata dell'altra».
Che domande le faceva?
«Più che farmi domande in realtà mi lanciava delle accuse. Se doveva essere un processo, era più una requisitoria che un'istruttoria. L'unica cosa giusta che mi contestò era che come capogruppo della Dc a Palazzo Marino mi ero opposto a intitolare una scuola di via Cagliero a Roberto Franceschi, lo studente ucciso dalla polizia davanti alla Bocconi, perché non mi sembrava il caso di dedicare una scuola a uno che lanciava le molotov. A un certo punto mi resi conto che mi confondeva persino con un altro De Carolis, un deputato umbro che di nome faceva Giancarlo. Non poteva essere un brigatista vero, loro questi sbagli non li facevano».
Erano mascherati o a volto scoperto?
«A volto scoperto, tutti. Solo la Besuschio era truccatissima, aveva tutto un cerone addosso e una parrucca bionda. Molti anni dopo la incontrai in consiglio comunale, era molto cambiata, in pelliccia di visone. Io le dissi: signora, lei è molto diversa dall'ultima volta che ci siamo incontrati. E lei: ma no, cosa dice, non ci siamo mai visti prima. Ma non credo proprio che Alessandrini parlasse a vanvera».
E gli altri del commando?
«Mai saputo niente. Quello che mi interrogava e poi mi ha sparato me lo ricordo perfettamente ancora adesso e se lo incontrassi domattina per strada lo riconoscerei senza fatica. Ma può darsi che sia morto, perché era un po' più anziano di me».
Dopo la requisitoria, lessero la sentenza?
«No, si limitarono a lasciare il volantino con la rivendicazione, perché evidentemente la decisione era stata presa già prima di processarmi».
Ebbe paura che la ammazzassero?
«Ne ero assolutamente convinto, perché mi misero in piedi davanti al muro. Quando mi spararono alle gambe fui molto contento».
Il ritrovamento del materiale al Policlinico può fare nuova luce su quegli anni?
«Non c'è niente da capire. Non credo alle dietrologie, ai grandi vecchi, ai servizi segreti. Le Br sono un mistero solo per chi vuole negare la realtà che è quella di una militanza armata dell'ultrasinistra che colpiva i nemici del popolo nella speranza di creare una sollevazione».
2. NEI DOCUMENTI DELLE BR L' OMICIDIO COCO E LE TRACCE DI MORETTI
Massimo Pisa per ''la Repubblica''
La polvere, accumulata negli anni, velava completamente il rosso del fascicolo ritrovato il 27 aprile al Policlinico di Milano, padiglione Granelli.
Dentro, altro segno del tempo, le vecchie cartelle della Sit Siemens, la fabbrica dove lavorava il perito Mario Moretti, uno dei futuri capi brigatisti. Quattro faldoni, circa trecento fogli, un' ottantina di documenti, alcuni in più copie.
GLI ORIGINALI
Chi ha visto le carte, racconta che alcuni fogli, soprattutto quelli delle rivendicazioni degli attentati, sono battuti a macchina. Con i caratteri molto simili a quelli dei comunicati del rapimento del presidente della Dc Aldo Moro a Roma. Ai tempi non esistevano le fotocopie, ma con la carta carbone si ricavavano le copie. Su questi originali, a penna, ci sono anche correzioni e annotazioni. Scritte da chi?
La grafia, le impronte digitali, l' eventuale Dna sono ora oggetto di analisi da parte del Ros e del Nucleo informativo dei carabinieri. Nel fascicolo è presente la «Risoluzione della direzione strategica n. 2» delle Br, con la stella a cinque punte.
E' fondamentale: dettava le regole della compartimentazione tra colonne e fronti, della clandestinità e dell' esecutivo.
LO STEMMA
Le Brigate Rosse s' impegnavano in «inchieste» (le chiamavano così): si trattava della compilazione delle schede con le abitudini, gli orari, le targhe delle auto, gli indirizzi, degli «obiettivi». Cioè delle persone da colpire. Per eseguire i pedinamenti senza essere notati a volte usavano piccoli trucchi.
Uno di questi era sistemare sulla fiancata della loro auto uno stemma che rimandava alle «polizie». E non è un caso, dunque, che proprio in mezzo ai documenti del covo del Policlinico sia spuntato un adesivo dell' Ipa, International Police Association.
L' AGGUATO DI GENOVA
Tra le rivendicazioni trovate nei faldoni, ha destato interesse degli investigatori quella del primo omicidio «selettivo».
Non è originale, ma ciclostilata.
Riguarda l' agguato del giudice Francesco Coco, a Genova, l' 8 giugno del 1976, insieme con il brigadiere di polizia Giovanni Saponara e l' appuntato dei carabinieri Antioco Deiana.
Gli esecutori non sono mai stati individuati: l' omicidio viene considerato il «salto di qualità » del partito armato a guida di Mario Moretti.
Avvenuto sempre a Genova, ma un anno prima, e rivendicato dalle Br, è il sequestro dell' ingegner Vincenzo Casabona, capo del personale dell' Ansaldo.
Targato Roma il volantino della «gambizzazione» di Valerio Traversi, dirigente del ministero di Grazia e Giustizia, febbraio '77. Di questi due fatti, ci sono le rivendicazioni originali.
I RICORDI DI DE CAROLIS
Ieri abbiamo scritto che nei documenti riemersi nel sottotetto del Policlinico c' era la rivendicazione dell' azzoppamento del democristiano di destra Massimo De Carolis (Milano, 1975). De Carolis racconta: «In realtà, quello è stato il secondo episodio. Poco prima del voto del '72, per me era pronto un covo, in via Boiardo. Mi ritengo salvato dal commissario Luigi Calabresi, che qualche giorno prima lo individuò. Dentro c' erano le foto dei miei due figli».
Come mai? «Una brigatista con cui avevo lavorato, Anna Bianchi, aveva fatto il mio nome. Ma è nel '76, quando sono eletto deputato, che Walter Alasia, poco prima di essere ucciso, entra - è dunque la terza volta - nel mio ufficio di Porta Vercellina.
Lega i presenti, ruba a uno la busta paga e se ne va. Mi sentivo "abbandonato" e in costante pericolo, e non ero il solo».
Nel covo scoperto nel controsoffitto del padiglione del Policlinico è stato trovato un documento originale di De Carolis, il suo tesserino da giornalista pubblicista. Gli venne portato via quando venne sparato alle gambe e non era mai stato trovato: «Prima mi puntarono la pistola alla testa, pensavo fosse finita, invece...».
LE SIGLE A SORPRESA
Non solo Brigate Rosse. Tra le cartellette della Sit Siemens e quelle di un supermercato, sono spuntati documenti di altre organizzazioni: Proletari armati in lotta (nel '74 confluiranno nelle Br) e Nuclei Armati Proletari. Dei Nap ci sono le rivendicazioni del sequestro del magistrato Giuseppe Di Gennaro e del ferimento del consigliere regionale dc Filippo De Jorio, avvenuti a Roma nel 1975.
Tutti da capire, infine, i riferimenti a due brigatisti provenienti proprio dalla Sit Siemens: Umberto Farioli, arrestato in città nel 1978, e Paola Besuschio. Era la detenuta che lo Stato ipotizzò di rilasciare per ottenere a sua volta la liberazione di Aldo Moro. È un materiale «antico» che, però, può far sentire ancora la sua voce.