ARMAGEDDON DEMOCRATICO - O SI FA UN GOVERNO DI TRANSIZIONE, O RENZI FA UN NUOVO PARTITO ("AZIONE CIVILE"?) - ZINGARETTI ASPETTA MATTARELLA MA I GRUPPI PARLAMENTARI SONO CON MATTEUCCIO - BETTINI MEDIA: “SE C'È UN ESECUTIVO DI LUNGO RESPIRO...” - L'OPERAZIONE “TUTTI CONTRO SALVINI” AVREBBE L'APPOGGIO DI "BIG" DEL PD COME FRANCESCHINI, VELTRONI, PRODI ED ENRICO LETTA…
-Monica Guerzoni per il “Corriere della sera”
O si fa un governo di transizione, o si fa un nuovo partito. Matteo Renzi non lo ha detto con queste parole, ma ai suoi parlamentari ha chiesto di tenersi pronti a tutto. La ferita che lacera il corpo del Partito democratico è profonda, suturarla è difficile e l' ex premier non si fida del chirurgo. Il no di Nicola Zingaretti a un esecutivo che tenga assieme dem e Cinque Stelle per salvare gli italiani dalla «botta» dell' Iva e approvare il taglio dei parlamentari, ha allarmato i renziani e convinto «Matteo» ad accelerare verso lo strappo.
«Scissione» è la parola impronunciabile, che avrebbe come primo passo la nascita di nuovi gruppi parlamentari.
Con il paradosso che il segretario si troverebbe in minoranza. I gruppi sono nati a fortissima trazione renziana e, anche se il congresso del Pd ha cambiato gli equilibri, il fiorentino che ha guidato il Nazareno continua ad attrarre la maggioranza dei senatori e dei deputati dem. A loro Renzi ha fatto sapere che andrà fino in fondo e che al momento del voto «ciascuno dovrà assumersi la propria responsabilità». Perché sia evidente «chi ha detto di sì e chi ha detto di no». Ragionamenti che l' ex capo del governo ha fatto recapitare a Zingaretti, avvertendolo che «se voterà no all' accordo non potrà raccontare in campagna elettorale che bisogna fare una santa alleanza contro Salvini».
Renzi è tornato. Ignora i veleni degli ex ds, che lo dipingono «seppellito di insulti dai social» per essere finito nelle braccia dell' arcinemico Beppe Grillo. E lancia un' opa sui gruppi parlamentari del Pd, dove dal più alto dirigente all' ultimo dei peones nessuno (o quasi) ha voglia di precipitarsi alle urne. La furia del senatore, che chiederà una riunione della direzione e un voto nei gruppi parlamentari, potrebbe indurre Zingaretti alla resa.
Se la prima reazione all' intervista di Renzi al Corriere è stata «no a operazioni di palazzo», nel volgere di poche ore il segretario ha aggiustato il tiro. E, forse anche per paura di ritrovarsi accerchiato, o persino isolato, sarebbe pronto ad aprire più di una fessura a un governo di transizione che, come primo obiettivo, conduca in porto la manovra economica. Al momento le posizioni di Renzi e Zingaretti appaiono inconciliabili, ma ad avvicinarle potrebbe essere una moral suasion del presidente Mattarella. O almeno, questo sperano dirigenti dem del calibro di Graziano Delrio e Dario Franceschini.
Il ponte tra il senatore toscano e il segretario, che ha dalla sua parte Paolo Gentiloni e Andrea Orlando, lo ha lanciato Goffredo Bettini, uno degli uomini più vicini al presidente del Lazio: «O si dà vita ad un governo di lungo respiro, con una maggioranza chiara e un programma condiviso, o è meglio andare a votare, come ha detto Zingaretti». Dove la formula «lungo respiro» è studiata per tranquillizzare anche i parlamentari di Forza Italia, spaccati tra chi è attratto dalle sirene di Salvini e chi vuole restare leale a Berlusconi. E qui l' anello di congiunzione con il mondo renziano è Gianni Letta, che in questi giorni roventi è stato contattato più volte e ai massimi livelli.
La strada è tortuosa e piena di insidie. Il profilo del possibile premier è ancora incerto, ma comincia a delinearsi. Una personalità istituzionale come Enzo Moavero? Un economista alla Giovanni Tria, ascritto dai media al «partito» virtuale del Pil e del Quirinale? Oppure un nome non «contaminato» dal governo gialloverde, come Carlo Cottarelli o Raffaele Cantone? Roberto Fico resta tra i papabili e così, anche se con poche chance , Giuseppe Conte.
Al di là dei nomi, l' operazione «tutti contro Salvini» per scongiurare che il leader leghista faccia il pieno nelle urne, si scelga i presidenti delle Camere e nel 2022, ottenuti i «pieni poteri» che ora invoca, si elegga il capo dello Stato, avrebbe l' appoggio di Pietro Grasso e di «big» del Pd come Franceschini, Veltroni, Prodi ed Enrico Letta. Il quale in questa battaglia, per i paradossi della politica si ritrova dalla parte di colui che nel 2014 lo defenestrò da Palazzo Chigi.