AUTOSTRADA SENZA USCITA - CONTE E DI MAIO TORNANO A PARLARE DI ''REVOCA'' DELLA CONCESSIONE, SULL'ONDA DEL NUOVO CROLLO, DEI VENTI VIADOTTI A RISCHIO, E PURE DEL TRACOLLO DELLA TRATTATIVA SU ALITALIA. DA AUTOSTRADE TENGONO IL BASSO PROFILO: SIA TONINELLI CHE PATUANELLI (OLTRE OVVIAMENTE ALLA DE MICHELI, VOLTO PIU' AMICHEVOLE PER I CONCESSIONARI RISPETTO AI GRILLINI) HANNO PARLATO DI ''REVISIONE'', MA CHE SARÀ APPLICATA A TUTTI, NON SOLO AD ASPI
-1. CONTE TORNA A PARLARE DI ''REVOCA'' DELLA CONCESSIONE
Estratto da www.repubblica.it
Venti viadotti a rischio, sotto inchiesta da parte della Procura di Genova: diciotto sulle autostrade tra la Liguria e il Piemonte, tra cui il Pecetti e il Fado sulla A-26, chiusi lunedì sera; uno, il Paolillo, sulla Napoli-Canosa di Puglia; l'altro, il Moro, a Pescara, sulla Bologna-Taranto. Ponti descritti in una relazione trasmessa al Mit, che presentano elevate criticità, tanto da far dire al pm Walter Cotugno (titolare dell'inchiesta sui falsi report) che "Autostrade e Spea, delegata al monitoraggio, non hanno il controllo sulla sicurezza dei viadotti".
Un assist al premier Conte, che qualche ora dopo torna con un vecchio cavallo di battaglia dei 5S: "Sulla revoca della concessione di Aspi a seguito del crollo del ponte Morandi siamo in dirittura d'arrivo, il procedimento amministrativo è in corso, non faremo sconti. Il nostro obiettivo è tutelare l'interesse pubblico di tutti i cittadini". La concessionaria, contattata da Repubblica, in serata, sceglie il basso profilo e non risponde. Ma va ricordato che la Commissione Toninelli aveva escluso la possibilità di revoca, appunto per evitare l'apertura di contenziosi.
2. REVISIONE DELLE CONCESSIONI
Marco Conti e Umberto Mancini per “il Messaggero”
Il governo accelera sulla revisione delle concessioni autostradali. O almeno ci prova. Lo fa sull'onda emotiva dei recenti dissesti che hanno messo in luce la scarsa manutenzione di strade, ponti e viadotti. Ma più in generale, perché il discorso va ovviamente allargato, spinto dalla necessità di riavviare il piano annunciato e mai realizzato del rilancio delle infrastrutture, partendo proprio dalla messa in sicurezza del territorio. A Palazzo Chigi vogliono dare un'accelerata molto forte visto che, tra l'altro, il nuovo modello tariffario è stato già delineato. Un modello che punta ad ottenere non solo pedaggi più bassi ma ad implementare gli investimenti, aumentando allo stesso tempo i controlli sulla rete. Un tavolo tecnico è già al lavoro al Mit e interlocuzioni con i principali concessionari sono state avviate.
LA RIFORMA
La riforma del sistema approvata dall'Art, l'Autorità dei Trasporti, è pronta da mesi. E prevede, a grandi linee, che gli extra ricavi dovuti a maggior traffico delle società autostradali si traducano in riduzioni delle tariffe. Tariffe - ed è questa la maggiore novità - che registreranno annualmente, con un meccanismo di premi e penalità, anche la qualità del servizio.
Il concessionario, almeno nelle intenzioni dell'Art, sarà poi obbligato a efficientare ogni anno i propri costi operativi e gestionali, in modo da pervenire a un tetto fissato per legge calcolato tramite il confronto con le migliori pratiche del settore. C'è da dire che la riforma, così come è stata designata, ha già incassato il no secco dell'Aiscat, l'associazione che raggruppa i concessionari, che l'ha bollata come statalista e dirigista. Perchè, qualora fosse approvata, andrebbe ad incidere su contratti in corso.
L'esecutivo vuole però sfruttare l'occasione dell'aggiornamento dei piani economici e finanziari scaduti (che riguardano ben 16 concessionarie), per andare avanti. Ieri, in un incontro con la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli il nuovo ad di Aspi, Roberto Tomasi, ha assicurato il massimo impegno proprio sul fronte delle manutenzioni e delle verifiche. L'obiettivo di Autostrade per l'Italia - che ha varato un maxi piano di controlli - è proprio quello di arrecare meno disagi alla mobilità, mentre sul fronte delle tariffe l'impatto della riforma sarà tutto sommato modesto.
Come accennato le linee guida dell'Art vanno ad incidere su 16 società per le quali il periodo regolatorio quinquennale previsto dalle vigenti convezioni risulta scaduto. Il governo, in sostanza, vuole che i nuovi criteri che misureranno investimenti e i miglioramenti dell'efficienza dei gestori entrino subito in vigore, ovvero all'inizio del nuovo anno.
L'effetto, almeno in teoria, dovrebbe essere quello di moderare le tariffe tramite il price cap, un meccanismo che prevede un indicatore di produttività annuale il quale verrà calcolato con cadenza quinquennale per valutare i diversi aspetti della efficienza della gestione. Inoltre, annualmente le tariffe saranno tarate riconoscendo solo gli investimenti effettivamente realizzati secondo i piani concordati con il Mit.
Una stretta poi ci sarà sull'uso dei fondi legati alle manutenzioni che dovranno essere velocizzate. Spetta ora a Palazzo Chigi aumentare il pressing con le concessionarie, passando dalle parole ai fatti, trovando soprattutto un'intesa all'interno delle forze di maggioranza. Luigi Di Maio continua ad attaccare Autostrade e a chiedere la «revoca» della concessione. Ieri il collega di partito e di governo Stefano Patuanelli, pur precisando che la questione «non è di mia competenza», ha invece parlato di «revisione totale».
Più attenta a misurare le parole è la ministra De Micheli che da sempre parla di «revisione obbligatoria per tutti e sedici i concessionari» rifacendosi alla delibera dell'Art. Una linea politicamente consona a ciò che il premier Conte disse in aula a settembre nel discorso sul quale ottenne la fiducia dal Parlamento.
Ciò non toglie che, qualora la magistratura riconoscesse la responsabilità di Atlantia nella caduta del Ponte Morandi, la procedura di «caducazione», come la chiama il premier Conte, troverebbe il supporto necessario. «Il procedimento amministrativo - ha ribadito ieri sera Conte in conferenza stampa - è in corso, adesso si tratta di tirare le fila, e come sempre detto non faremo sconti. Il nostro obiettivo è tutelare non un interesse privato ma quello pubblico, di tutti i cittadini». La revoca costerebbe 23,5 miliardi e una durissima battaglia legale.