Estratto dell’intervista di Pino Corrias a Romano Prodi per “il Venerdì - la Repubblica”
Nel mondo di prima, Romano Prodi, 80 anni, detto il Professore, viaggiava per l’Africa, la Cina, l’Europa, scalava gli Appennini in bicicletta e camminava nel cuore di Bologna a piedi, possibilmente con la signora Flavia al braccio. Nel mondo di oggi, corre in solitaria sul tapis roulant per dieci chilometri al giorno. E, senza mai uscire di casa, calcola di essere arrivato a Venezia, per ora, senza forzare mai troppo con il fiato e con la nostalgia. […]
Due volte zar dell’Iri, ai tempi in cui il colosso statale aveva mezzo milione di dipendenti, costruiva dighe e scatole di pomodori, banche e cioccolatini, sprofondando nei bilanci in rosso. Disse: «L’ho risanato in nove anni di lavoro duro. Ho fatto 33 privatizzazioni, alla trentaquattresima hanno privatizzato me».
[…] Se lo aspettava che il mondo intero sarebbe cambiato così in fretta?
«Non credo se lo aspettasse davvero nessuno. Nemmeno Bill Gates, che pure lo aveva messo tra i rischi possibili del Pianeta».
[…] E oggi? Sta smettendo di credere nella democrazia, impaurita e impoverita dalla globalizzazione?
«Impaurita, sì. Impoverita non direi del tutto. La globalizzazione ha dato da mangiare a 2,5 miliardi di persone che stavano ai margini del mondo e della Storia. Ma di sicuro ha messo in crisi il ceto medio di tante economie consolidate».
La crisi ha generato insofferenza per il mondo nuovo e una spinta reazionaria verso quello vecchio.
«Una parte del mondo sta andando in quella direzione. Chiede autorità e autoritarismo. Se guarda la carta planetaria, il paesaggio fa abbastanza impressione. Provi a cominciare da Est: le Filippine di Duterte, le autocrazie dell’Asia Centrale. E poi la Cina sempre più centralista, l’India, la Russia di Putin, la Turchia, la Polonia, l’Ungheria di Orbán, il Brasile di Bolsonaro, l’America di Trump».
[…] Troppa Europa dei banchieri, troppi interessi nazionali in collisione tra loro, troppi regolamenti: l’Europa è condannata a frantumarsi?
«No, non lo credo affatto. Penso che l’allarme per il virus potrà addirittura invertire la tendenza alla dissoluzione. Penso che nel disastro comune troveremo nuove ragioni per stare insieme. Finita l’emergenza sanitaria, ci sarà una recessione tremenda e ogni Paese avrà ancora più bisogno degli altri per rimanere in piedi».
Al momento non sembra.
«Se ognuno andrà per la sua strada saremo più deboli, più sottomessi ai colossi come la Cina e l’America. E poi come farà la tedesca Volkswagen a sostituire i pezzi che produciamo per loro in Italia? E l’Olanda? A chi li venderà i tulipani?».
[…] L’Europa reagirà?
«Assolutamente sì».
Nonostante un Orbán che si prende tutti i poteri, approfittando del virus?
«Ah, Orbán! Lo conosco dai tempi del suo primo governo, anno 1998. Venne a Palazzo Chigi e a cena voleva spiegarmi come funzionava l’economia di mercato. Flavia mi dava calci sotto il tavolo per dirmi guai a te se rispondi o se ti metti a ridere. È gravissimo che il Partito popolare europeo non lo abbia ancora cacciato. Cosa aspettano?».
[…] le due dozzine di commissioni?
«Tanti anni di governo mi hanno insegnato che un cammello è un cavallo disegnato da una commissione».
Ornamentali e inutili?
«Diciamo che sono utili se sono poche, con pochissimi membri e un problema ben chiaro da risolvere. Uno, non cento».
[…] Tutti i mercati nazionali chiedono aiuti pubblici. Rinasceranno l’economia di Stato e l’Iri?
«Non credo, i tempi cambiano, il passato resta dov’è. Ma il peso dello Stato finalmente tornerà a crescere rispetto allo strapotere dei mercati. Il Welfare è la conquista più importante degli ultimi settant’anni. Vuol dire sanità pubblica, equità, diritti comuni, ma anche protezione pubblica in economia. Il governo fa bene a usare le Golden share a tutela delle nostre imprese».
[…] Il virus si è portato via l’egoismo degli Stati?
«Il pericolo ci ha fatto salire tutti sulla stessa barca. Da solo non si salva nessuno. Pensi alla crisi greca di dieci anni fa. Era una cosa che poteva essere risolta con un prestito, ma la Germania andava a elezioni e Angela Merkel non se l’è sentita di mettersi contro la sua opinione pubblica. Così la piccola crisi della Grecia è diventata una valanga».
Sull’utilizzo del Mes, il fondo salva-Stati, Berlusconi è d’accordo con lei. È la prima volta, credo.
«Due ragazzi come noi che per una volta giocano insieme è una bella cosa, no?».
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