AVVISATE RENZI CHE L’ITALICUM È MORTO - D’ALEMA E BERSANI TORNANO UNITI DOPO IL GRANDE GELO: IL SENATO LO FACCIAMO PASSARE, LA “LEGGE DI VERDINI” NO – STAINO: “NON RIESCO PIÙ A SOPPORTARE IL VECCHIO MASSIMO”
1. L'ITALICUM È MORTO MA RENZI NON LO SA
Marco Palombi per Il Fatto
C'è stata una sola vera novità politica nella giornata democratica di ieri: dopo lungo guerra interna iniziata da anni e culminata nel cortocircuito sul Quirinale del dopo-elezioni, Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema si sono ritrovati per la prima volta insieme nella trincea anti-Renzi. Lo hanno fatto in quella sorta di riunione dei reduci e combattenti che è stato il convegno dalla minoranza Pd al teatro Ghione di Roma, svoltasi proprio mentre Matteo Renzi inaugurava la campagna per le europee a Torino.
Poco carino, per carità, ma d'altronde il premier non era stato molto carino coi due ex capi partito: Renzi, per dire, ha già spaccato la minoranza Pd prendendo con sé un bel pezzo dei quarantenni che sui giornali vengono ancora chiamati bersaniani o dalemiani. I ministri Andrea Orlando e Maurizio Martina, ad esempio, e altri come il capogruppo alla Camera Roberto Speranza o l'ex responsabile organizzazione del Pd Davide Zoggia (non a caso ieri tutti presenti a Torino).
Il risultato è che l'Italicum così come lo conosciamo è morto. Alla fine verrà cambiato perché i numeri sono sempre numeri, specialmente quelli del gruppo democratico in Senato, e perché il ridimensionamento di Silvio Berlusconi porta con sé anche il ridimensionamento dell'accordo del Nazareno. "C'è una maggioranza di governo che si va allargando - spiega un dirigente del Pd - e non si può non tenerne conto mentre si fanno le riforme istituzionali".
Il duo Bersani-D'Alema, al di là dei toni duri che ora vedremo, offre a Matteo Renzi una via d'uscita politica: passi pure il Senato non elettivo, ma la legge elettorale ipermaggioritaria no. Le critiche di Bersani, in particolare, riecheggiano quelle dei "professoroni" sbertucciati dal premier (una la intervistiamo qui accanto): "Ora c'è una legge elettorale per una sola Camera con un megapremio di maggioranza per cui chi vince col 52% si può nominare il presidente della Repubblica, la Consulta e tutti gli assetti istituzionali del Paese.
Questo da parte di un Parlamento formato essenzialmente da ‘abbastanza nominati'. Poi ci sono delle primarie non regolamentate per plebiscitare il nominante universale". Conseguenza: "Dobbiamo batterci per consentire alla gente di scegliere gli eletti". La butta sul romantico, Bersani, parla della sinistra italiana, se ne intesta la storia, la concede in ostensione ai presenti, reclama quella che Berlusconi chiamerebbe "agibilità politica" dentro il Pd per il presente e per il passato: "
D'Alema è più pragmatico, cosa che è insieme il suo pregio e la sua dannazione. Si concentra sul partito, sull'organizzazione, sulle tessere: "Noi siamo una parte grande della militanza e questa forza deve attivarsi. Il Pd dobbiamo farlo funzionare noi, dobbiamo lavorare per il tesseramento del Pd anche se le tessere non si stampano più. Noi nelle sezioni, nei circoli ci siamo, vediamo se ci stanno anche loro".
Il partito, scandisce il fu leader Maximo, appassisce, sta morendo: "Il Pd sta diventando un comitato elettorale del leader, un partito radicato nelle istituzioni e ‘servente'. Ma il partito delle primarie senza il partito che cosa è, cosa diventa?". Stilettata finale: "C'è il rischio di un mutamento qualitativo del sistema democratico". Pure sull'Italicum si riversa il veleno di Massimo D'Alema: "Nessuno toglierà al premier il merito di aver rimesso in moto questo processo riformatore, anche se la legge elettorale verrà fuori un po' meglio di come è nata.
L'ha scritta Verdini, non veniva fuori da un circolo di riformatori illuminati, e serviva a tenere la destra ancorata a Berlusconi". La cosa strana di questo attacco così duro è che nel Pd si dà per scontato che D'Alema abbia già l'accordo con Renzi sulla sua nomina a commissario Ue: "Sì, ma non si fida - spiega una fonte di minoranza - È convinto che non avrà niente se non tratta da posizioni di forza".
Matteo Renzi, dal canto suo, sembra non aver capito che la situazione sta rapidamente cambiando. Ieri a Torino per lanciare la campagna per le europee e per le regionali in Piemonte ha lavorato la folla col solito atteggiamento da velocista: "Nei prossimi mesi non perdiamo tempo a litigare tra noi, c'è tanto da fare, dobbiamo andare pancia a terra per cambiare l'Italia. La sinistra che non cambia diventa destra".
I suoi fedelissimi la buttano sull'indice di gradimento: "Ma che volete? Nei sondaggi siamo al 33,9%, un livello mai toccato", si irrita Federico Gelli. Il compito di rispondergli è toccato a Gianni Cuperlo, benedetto ieri coram populo dal duo Bersani-D'Alema leader unico della minoranza: "Una cosa di destra non diventa di sinistra perché la proponiamo noi". Chiosa di Bersani: "Calma, ci vuole lo stesso tempo a fare le cose giuste e quelle sbagliate".
2. "NON RIESCO PIÙ A SOPPORTARE IL VECCHIO MASSIMO"
g. d. m. per La Repubblica
«Non lo sopporto più». Appena D'Alema comincia a parlare Sergio Staino, l'inventore di Bobo, il fondatore di Tango che "Massimo" lo ha disegnato centinaia di volte nelle sue vignette satiriche, si alza e svicola verso l'uscita. Un gesto voluto. «Doveva essere un'assemblea di giovani, irrequieti e incazzati. Oppure, seguendo la bussola del bellissimo discorso di Cuperlo, un luogo per sviluppare il pensiero di una nuova sinistra. Invece salgono sul palco ancora loro. D'Alema, Bersani, quella della Cgil Carla Cantone, pure simpatica ma si capisce che ha imparato a prendere applausi alla scuola Pci. Così è diventato l'appuntamento dei reduci sconfitti ».
È Cuperlo ad averlo organizzato in questo modo.
«Lo so. Non riesce a lasciarli andare. Ne avessero azzeccata una. Ma non mollano.
Mettono il cappello su ogni cosa. Lo dico con affetto, gli abbiamo voluto bene. Adesso basta, però. Gianni potrebbe viaggiare solo, ha testa e idee per disegnare una nuova rotta. Eppure non resiste al richiamo dei vecchi dirigenti. Sa quanto ha preso Cuperlo a Firenze nelle primarie? L'11 per cento. Zero, una miseria».
Che è successo?
«Era circondato dai dalemiani, sempre gli stessi. La gente li ha visti, li ha riconosciuti. Allora, tra le solite facce e Renzi che mescola tutto, ha scelto Renzi. Almeno col rimescolamento si apre una speranza».
A Bobo non garba Renzi, ma si trova a disagio anche con la minoranza.
«Ero venuto per sentire Cuperlo. Poi arriva D'Alema e dice all'apparato che il pensiero non serve, che bisogna tornare a essere maggioranza. Ha rovinato tutto».