BANCOPOLI A TARALLUCCI E VINO - RENZI CAMBIA IDEA E SULLE BANCHE VUOLE UNA COMMISSIONE DI INDAGINE E NON UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA CHE HA POTERI PIU' PESANTI ASSIMILABILI A QUELLI DELLE PROCURE (INTERROGA E SEQUESTRA DOCUMENTI) - MEGLIO BUTTARLA IN CACIARA…


Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"

fotomontaggi maria elena boschi e banca etruria 11

 

Sembra una disquisizione strettamente formale, roba per linguisti e pochi altri. E invece la differenza è più che sostanziale. Il caso delle quattro banche salvate dal governo e dalla Banca d’Italia sarà al centro, in Parlamento, di una commissione d’indagine e non di una commissione d’inchiesta, come era stato ipotizzato all’inizio.

 

A variare non è solo il significato letterale del termine, ma il senso politico della verifica chiesta in prima battuta dalle opposizioni (Lega e Movimento 5 Stelle in testa) e che ora premier Matteo Renzi si vuole intestare. Uno «scippo» che ha due ragioni: la prima è di pura immagine (vuole dare un messaggio «forte» agli elettori, della serie: «Non guardo in faccia nessuno»); il secondo motivo è la qualità degli accertamenti e l’opportunità di optare per un procedimento soft, all’acqua di rose.

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Ci spieghiamo. Se la commissione d’inchiesta, prevista dalla Costituzione (articolo 82), si vede riconosciuta una serie di poteri attribuiti all’autorità giudiziaria, quella di indagine conoscitiva diventa una giostra di audizioni in cui le verifiche sono assai circoscritte e, di fatto, ci si limita ad ascoltare i protagonisti di una determinata vicenda. Al contrario, quanto il Parlamento conduce una «inchiesta» può, tra altro, obbligare determinati soggetti a esibire atti ufficiali o addiriturra sequestrare documenti.

 

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L’entourage dell’ex sindaco di Firenze, ovviamente, fornisce una lettura diversa. A palazzo Chigi, come riferiva ieri il Corriere della sera, guardano con preoccupazione ai rischi di un «corto circuito istituzionale» cagionato da una task force di deputati e senatori dotati dei «poteri della magistratura». Renzi nei giorni scorsi aveva parlato di una commissione di inchiesta, salvo poi fare un passo indietro dopo aver valutato tutti gli effetti. Di qui la decisione finale: il Parlamento darà il via solo una «indagine».

 

Assai improbabile, pertanto, che alla fine dei lavori si sarà fatta chiarezza sulla crisi del sistema bancario italiano e sulle ragioni che hanno portato Banca Marche, CariChieti, CariFerrara e PopSpoleto a un passo dal fallimento. Renzi sostiene che è inopportuno destabilizzare il Paese con deputati e senatori mascherati da pubblici ministeri.

 

PROTESTE CONTRO BANCA ETRURIA

Ma il sospetto che si voglia utilizzare la commissione d’indagine per annacquare le polemiche infuocate di queste ultime settimane è forte. Al centro del dibattito è finito il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi. Il padre Pier Luigi è stato vicepresidente di PopEtruria dal maggio 2014 al febbraio scorso, quando Bankitalia e Tesoro hanno firmato il commissariamento perché l’istituto col quartier generale ad Arezzo era ormai decotto.

 

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Non solo. Una commissione d’inchiesta  potrebbe far luce anche sui legami di Boschi e non solo nella sua vita da «banchiere» (era nel cda della banca dal 2012, nel comitato controllo rischi e nell’esecutivo). Dalle cronache degli ultimi giorni emerge una figura assai più potente rispetto a quella dell’ex contadino dipinta dalla figlia alla Camera, venerdì, per respingere gli attacchi e la mozione di sfiducia targata Cinque stelle.

 

Sarebbe interessante fare luce sui legami di Boschi col mondo delle cooperative (è stato presidente di Confcooperative per 6 anni fino al 2010) e sul suo passaggio al vertice di una banca che era quotata a piazza Affari. Ecco perché con un po’ di malizia c’è chi pensa che il ridimensionamento della commissione sia l’ennesimo scudo politico. Utile, senza dubbio, per la famiglia Boschi.

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