BELPIETRO RISPONDE A RENZI – "SE NON VUOLE CHE ALCUNI ATTI CHE RITIENE SENZA VALORE PROBATORIO NON DEBBANO ESSERE PUBBLICATI NON HA CHE UNA STRADA, OSSIA VIETARNE L'INSERIMENTO ALL'INTERNO DEI FASCICOLI GIUDIZIARI - L'EX PREMIER RICORDA QUANDO SU UN'ESPONENTE DELL'ALLORA PDL CIRCOLÒ OGNI VOLGARITÀ, COMPRESO IL FATTO CHE SI DEDICASSE CON PASSIONE ALLA FELLATIO? RICORDA QUANDO UN GIORNALE SCRISSE TRA VIRGOLETTE UN GIUDIZIO DI BERLUSCONI SU ANGELA MERKEL? BEH, SIA LE NOTTI BOLLENTI DELL'ONOREVOLE CON IL CAVALIERE CHE LA DEFINIZIONE DI “CULONA INCHIAVABILE” NON ERANO AGLI ATTI, E CI RISULTA CHE QUELLE INTERCETTAZIONI NON SIANO MAI ESISTITE. EPPURE, NESSUNO DI NOI RICORDA L'INDIGNAZIONE CHE RENZI OGGI MANIFESTA PER UNA FRASE CHE, AL CONTRARIO DELLE FALSE TRASCRIZIONI, È VERA’’
-Maurizio Belpietro per “La Verità”
L' ex presidente del Consiglio Matteo Renzi a volte sembra Alice nel Paese delle meraviglie.
Ieri, per esempio, il fondatore di Italia viva ha manifestato in una nota diffusa via Ansa il proprio disgusto per la pubblicazione, da parte della Verità, di alcuni atti dell' inchiesta sulla Fondazione Open.
Il riferimento ovviamente è ai giudizi poco lusinghieri sull' ex ministro delle riforme Maria Elena Boschi, che Alberto Bianchi, già presidente di Open, ha riportato sulla sua agenda, attribuendoli allo stesso Renzi. L' ex segretario del Pd ha replicato parlando di gossip, di bieca volgarità, di attacco mediatico, di veline degli inquirenti allegate agli atti nonostante non abbiano alcun valore probatorio, eccetera. Naturalmente, la nota era accompagnata dalla consueta minaccia di citazione in giudizio rivolta al nostro giornale.
Sarà dunque bene precisare alcune cose.
La prima è che Renzi fa politica da almeno 20 anni e per oltre quattro è stato presidente del Consiglio (quasi tre risiedendo a Palazzo Chigi e uno e mezzo a via del Nazareno, nascondendosi dietro il volto triste di Paolo Gentiloni). Dunque, avendo comandato a lungo questo Paese e continuando anche ora a esercitare per tramite di Giuseppe Conte un certo potere, se non vuole che alcuni atti che ritiene senza valore probatorio non debbano essere pubblicati non ha che una strada, ossia vietarne l' inserimento all' interno dei fascicoli giudiziari.
Ma fino a quando questi documenti saranno depositati in tribunale, a disposizione delle parti, i giornalisti continueranno a fare il loro mestiere, che è informare, anche di ciò che al senatore semplice di Scandicci sembrano notizie da gossip.
Dicevamo prima che Renzi è sulla scena da vent' anni, e dunque dovrebbe ricordarsi di quando la sua parte politica, insieme al coro dei giornali di sinistra, coniò uno slogan contro i limiti alle intercettazioni. All' epoca i compagni gridavano: «Intercettateci tutti». E infatti, sulle prime pagine finiva ogni genere d' indiscrezione, comprese quelle false. L' ex premier ricorda quando su un' esponente dell' allora Pdl circolò ogni volgarità, compreso il fatto che si dedicasse con passione alla fellatio? Ricorda quando un giornale scrisse tra virgolette un giudizio di Berlusconi su Angela Merkel?
Beh, sia le notti bollenti dell' onorevole con il Cavaliere che la definizione di «culona inchiavabile» non erano agli atti, e ci risulta che quelle intercettazioni non siano mai esistite. Eppure, nessuno di noi ricorda l' indignazione che Renzi oggi manifesta per una frase che, al contrario delle false trascrizioni, è vera.
Ciò che abbiamo riportato noi non è frutto di una captazione ambientale: è una frase scritta di suo pugno dall' avvocato Alberto Bianchi, stretto collaboratore di Renzi, che il presidente di Open attribuisce proprio all' ex premier. Proprio per essere ancor più chiari: non è farina del nostro sacco, è farina del sacco dei renziani. Del resto, leggendo le carte che stiamo pubblicando, si capisce che questi ultimi non si fidavano neppure tra di loro, al punto che lo stesso Renzi diffida perfino di Luca Lotti, il suo braccio destro.
È sempre il fondatore di Italia viva - secondo ciò che scrive Bianchi - a dire di Boschi è «donna, quindi, tr». Ed è sempre lui, secondo il presidente di Open, a dire che, per essere credibile, «dovrebbe darsi una dimensione famigliare - moglie, fare un figlio - anche per migliorare decisamente la sua immagine».
Inutile parlare oggi della «particolare attenzione per l' impegno femminile in politica», quando, secondo uno dei suoi più stretti collaboratori, una donna se non fa l' angelo del focolare passa per tr Renzi, dunque, non se la prenda con i giornali che pubblicano le notizie invece di nasconderle: se la prenda con sé stesso, per non aver modificato le leggi e per aver parlato con Bianchi: è lui a prender nota di tutto, anzi a tracciare tutto, come si faceva vanto un tempo lo stesso ex presidente del Consiglio.
Quanto al resto, ovvero al nocciolo della questione, cioè alla presenza negli atti di fatti avvenuti dopo la liquidazione di Open, la spiegazione è semplice. Come si capisce leggendo le carte, l' avvocato Bianchi continuava a occuparsi di veicoli che avrebbero avuto come scopo il sostegno finanziario alla corrente o al partito di Renzi e le prove stanno negli appunti e nelle conversazioni riferite dal legale.
È forse di questo che dovrebbe parlare il fondatore di Italia viva, il quale non ci risulta aver mai reagito per le molte inchieste che hanno riguardato la sfera privata di Silvio Berlusconi (se lo ricorda il «culo flaccido»?). Ciò detto, senza indignarsi troppo, spieghi che fine hanno fatto 289.000 euro che una volta usciti da Open i finanzieri non hanno ancora rintracciato, e di cui parliamo qui sotto.
2. I Benetton, Toto, la magistratura Così Open tesseva la sua rete
Giuseppe China Alessandro Rico per “La Verità”
Nel 2018, Matteo Renzi si vantava di non aver mai ricevuto finanziamenti dai Benetton. Ma il gestore della sua cassaforte, questa tentazione, l' ha avuta eccome.
In ansia per i costi della Leopolda 2014 (400.000 euro stimati), Alberto Bianchi, presidente di Open, in un' email a Renzi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti, caldeggia la ricerca di «possibili sponsor». E nei papabili, colloca proprio i Benetton, che evidentemente reputa vicini alla causa. I «contatti» li avrebbe dovuti prendere Marco Carrai. Tuttavia, il 2 ottobre, la Boschi comunica: «No sponsor», anche se «Matteo si rende disponibile a fare una cena di finanziamento pro Leopolda entro Natale». L' avvocato è perplesso: «Senza sponsor sarà un casino.
Di cene con Matteo ce ne vorrebbe altro che una». Tra i potenziali finanziatori «già contattati», Bianchi inserisce anche «VW». Per la Finanza, la sigla si riferisce a Giuseppe Tartaglione, rappresentante legale di Volkswagen Italia. Stavolta, il tramite sarebbe stato Franco Massi. Segretario generale del Cnel tra il 2011 e il 2017, magistrato (oggi segretario generale) della Corte dei conti, molto attivo su Twitter, dov' è seguito pure da Luca Palamara, due mesi dopo la Leopolda, viene nominato vicesegretario generale del ministero della Difesa dal governo Renzi.
Nell' agenda del presidente di Open, che lo incontra spesso tra novembre 2013 e dicembre 2014 (sono segnati 24 appuntamenti), è annotata una «cena VW» per il 27 novembre 2014, in piazza Campo Marzio a Roma. Il convivio si ripete due anni dopo, il 25 ottobre 2016, allo stesso indirizzo. È proprio Massi a inviare la lista dei presenti a Bianchi: tra loro, Giovanni Legnini, Gianni Letta, Denis Verdini. Conferma anche Tartaglione, ma declinano l' invito la Boschi e il segretario di Benedetto XVI, Georg Gänswein.
Ma dalla casa automobilistica non giunge denaro. Tanto che Bianchi, su Whatsapp, chiede a Massi: «Scusa dal giro VW arriva qcosa (sic)?». La toga risponde con un punto interrogativo. «Vabbe poi ti dico», taglia corto il legale.
Il nome di Massi figura anche, tra il 2013 e il 2014, accanto a quello di Alfonso Toto, dell' omonimo gruppo di gestori di autostrade abruzzesi, con il quale sembra esserci un rapporto cordiale. Circostanza singolare: qualche anno dopo, da consigliere della Corte dei conti, Massi acquisirà la delega al controllo sugli atti del Mit, il ministero che vigila sui concessionari. In un' email del 23 luglio 2013, il magistrato invia all' imprenditore il proprio curriculum e un «Appunto Art», riguardante l' Autorità di regolazione dei trasporti.
A gennaio 2014, Toto scrive a Massi: «Devo dirti che tutta l' impressione che a chi governa le grandi opere ed investimenti, sia manager pubblici che privati, poco interessa fare in modo che le cose si sblocchino Questo Paese diventa sempre più difficile». La toga lo incoraggia: «Vogliamo provare insieme a cambiarlo». E Toto: « Si dice che chi ben comincia è a metà dell' opera!!! Perché no?!». Tra l' altro, il primo contributo della famiglia abruzzese a Open risale al novembre 2014: 25.000 euro dalla Renexia, di cui è stato a lungo ad Daniele Toto (anche se gli inquirenti hanno individuato il tramite con la fondazione nel coindagato di Bianchi, Patrizio Donnini, fondatore della Dot Media, società di comunicazione della Leopolda e consulente dei Toto).
È sempre alla loro holding che fa riferimento il famoso versamento di 400.838 euro, risalente al 2016, poi girato dall' avvocato, con due bonifici, a Fondazione Open e Comitato nazionale per il sì. Un contributo che l' inchiesta di Firenze mette in relazione a un emendamento alla manovrina 2017, che sospendeva due rate dovute dai Toto ad Anas. In un' email a due colleghi di studio, datata 9 aprile 2018, Bianchi riferisce che l' aggancio con i Toto era stata una prestazione professionale per un contenzioso con Aspi. La holding, alla fine, versa un lordo di 1.500.000 euro allo studio legale e 750.000 (i 400.838 netti) direttamente a Bianchi.
Nel 2018, l' avvocato si ripropone di replicare lo schema.
Stavolta, l' incarico riguarda la lite con Anas per la variante alla statale 1 Aurelia a La Spezia. Vengono stipulati due contratti, «che per ragioni di opportunità portano la data del 16 novembre 2016». Con il primo, i Toto s' impegnano a versare 8.000 euro lordi a Bianchi «per accettazione». In caso di esito favorevole, poi, assicurano un compenso «pari al 2% della quota [] del corrispettivo riconosciuto». Cifra che, spiega Bianchi ai colleghi, «Toto mi ha espresso il desiderio di versare a Open (o al soggetto che la sostituirà qualora Open chiuda)».
Con il secondo contratto, l' impresa garantisce 16.000 euro lordi più «l' 1% della quota del corrispettivo versato da Anas», che invece, stando a Bianchi, dovrebbe andare «allo studio». «Trattasi di somme evidentemente incerte», riconosce l' avvocato, «visto che sia il contenzioso che le trattative sono in corso». E difatti, Toto, a giugno 2018, rescinderanno il contratto con Anas. Curioso un appunto di Bianchi del 2017: «Toto: Grande (Elisa, dirigente ministeriale, ndr) resta Mit. Garanzia per quella sua roba».
Ma alle casse di Open non hanno contribuito solo i grandi concessionari autostradali.
Ci sono anche imprenditori del settore alimentare, come Luigi Scordamaglia e Luigi Cremonini, che direttamente o attraverso la controllata Inalca, hanno versato 100.000 euro alla fondazione renziana. In una mail del 2014, però, Bianchi sollecita Scordamaglia, citando un «vecchio impegno», che coincide con il famigerato «patto dell' Ora d' aria». La risposta lo gela: «[] Non si era mai parlato di continuare. Magari ci vediamo con calma».
Bianchi è stizzito: «Luigi, ci manca solo che ti mandi gli scambi di mail con l' impegno quinquennale, mai smentito!
[] Avete tutta la gratitudine mia, di Matteo e della Fondazione, non avete nessun obbligo per il futuro [...]». In meno di mezz' ora il malinteso si risolve: «Alberto non eri assolutamente tu destinatario precedente mail scusa tantissimo ha confuso mittente».
Il rapporto prosegue, come testimoniano i due elaborati Azioni urgenti (a costo zero) per l' interrogazione del Food and Beverage italiano sui mercati mondiali e Turismo, cultura, agricoltura e cibo: una politica di marketing, che Bianchi gira a Lotti.
Tra i simposi per il referendum del 2016, cui partecipa anche Scordamaglia, da segnalare quello con altri 17 manager del settore, tra cui Piero Antinori, Guido Barilla, Luigi Cremonini, Antonio Ferraioli, Lisa Ferrarini, Luca Garavoglia, Andrea Illy, Nicola Levoni, Francesco Mutti, Cesare Ponti, Cosimo Rummo.
Nel novero dei «sostenitori storici di Matteo Renzi», scrivono gli inquirenti, c' è poi Vincenzo Manes. Il fondatore di Intek group spa ha contribuito con 62.000 euro. Il 29 dicembre 2014, Manes viene nominato dall' ex premier consigliere pro bono per la riforma del terzo settore. Ed è proprio il governo Renzi, nel giugno 2016, a disciplinare la materia.
Già nel 2014, Manes invia una mail allo studio di Bianchi: «Matteo, è il documento sulle imprese sociali. Leggilo poi dimmi». Grazie alla normativa varata due anni dopo, nascerà Fondazione Italia Sociale.
L' ente (partecipato da altre 17 realtà profit e non) riceve come dotazione iniziale un milione di euro pubblici. E chi ne è il presidente? Lui: Manes.