BERGOGLIO NON INCONTRERÀ KIRILL, MA FORSE INCROCIA XI JINPING – IL PRESIDENTE CINESE E IL PAPA SARANNO NELLO STESSO MOMENTO IN KAZAKISTAN: NON È CHE CI SCAPPA UNA CARRAMBATA? UFFICIALMENTE NON CI SONO RAPPORTI DIPLOMATICI TRA VATICANO E PECHINO, ANCHE SE L RELAZIONI SONO BUONE E VANNO AVANTI. SOPRATTUTTO ORA CHE C’È DA RINNOVARE L’ACCORDO SULLA NOMINA DEI VESCOVI…
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Gian Guido Vecchi per www.corriere.it
Papa Francesco cammina un po’ a fatica, appoggiato al bastone, ma raggiunge i giornalisti in fondo all’aereo e li saluta uno a uno. Santità, incontrerà in questi giorni il presidente cinese Xi? «Di questo non ho notizie, ma sono sempre pronto ad andare in Cina», sorride. L’incrocio è suggestivo, ma assai arduo.
Francesco vola in Kazakistan, nella capitale Nur-Sultan, per partecipare al VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, l’incontro atteso con il patriarca di Mosca Kirill è sfumato perché quello che il Papa definì il «chierichetto di Putin», sempre più isolato nel mondo ortodosso e in generale fuori dalla Russia, ha rinunciato ad andare.
Però nei tre giorni di permanenza del pontefice, da martedì a giovedì, è atteso nella capitale kazaca anche il presidente cinese Xi Jinping, che «farà visite di Stato in Kazakistan e Uzbekistan» da mercoledì a venerdì. E se in Uzbekistan, a Samarcanda, Xi dovrebbe vedere Putin al summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), in Kazakistan il presidente cinese incontrerà mercoledì il presidente Kassim-Jomart Tokayev, che già martedì accoglierà il Papa.
L’ex repubblica sovietica — nel territorio vicino alla nuova capitale sorgevano i gulag di Stalin — vive rapporti sempre più tesi con la Russia, specie dopo l’invasione dell’Ucraina, ed è un fornitore importante di minerali, metalli ed energia alla Cina.
Francesco e Xi si ritroveranno lo stesso giorno nella stessa città — la capitale costruita ex novo, attingendo alle ricchezze naturali di gas, petrolio e uranio del Paese, e chiamando a raccolta alcuni dei più grandi architetti del mondo, da Norman Foster a Kisho Kurokawa — anche se è difficile immaginare ci possano essere contatti tra i due, almeno diretti.
Le relazioni tra le due realtà millenarie, comunque, stanno andando avanti. Il Vaticano e Pechino non hanno rapporti diplomatici da quando Mao prese il potere e il nunzio Antonio Riberi fu costretto a lasciare il Paese due anni più tardi, il 5 settembre 1951. Un primo, faticoso passo, preparato da decenni di relazioni diplomatiche sottotraccia, è stato l’«accordo provvisorio» sulla nomina dei vescovi firmato a Pechino il 22 settembre 2018, entrato in vigore un mese dopo «ad experimentum» per due anni e rinnovato il 22 ottobre 2020 per altri due.
Ora sta scadendo, e ci risiamo: a fine agosto la delegazione vaticana è andata in Cina per discutere un rinnovo ulteriore. Francesco ha spiegato due mesi fa che «si procede lentamente, ma dei vescovi sono stati nominati», che anche le autorità cinesi «hanno problemi» perché a seconda delle regioni ci sono governanti locali più o meno favorevoli, ma insomma «l’accordo va bene e mi auguro che a ottobre si possa rinnovare».
Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato che guida da anni tutta l’operazione, ha poi spiegato che «sono stati fatti passi in avanti, ma non tutti gli ostacoli e le difficoltà sono stati superati e quindi rimane ancora strada da percorrere per la sua buona applicazione e anche, attraverso un dialogo sincero, per un suo perfezionamento».
Segnali positivi ci sono, il confine tra la Chiesa «ufficiale» legata al regime e quella «clandestina» si è andato sfumando negli anni. Così ora monsignor Joseph Shen Bin, vescovo di Haimen riconosciuto dal Vaticano grazie all’accordo, è stato nominato in agosto capo della Conferenza dei vescovi cinesi. E Joseph Li Shan, che nel 2007 divenne arcivescovo di Pechino con l’approvazione della Santa Sede, è appena stato eletto presidente dell’Associazione Patriottica legata al regime. La ricerca del dialogo, del resto, racchiude il senso del viaggio di Francesco.
«Oggi stiamo vivendo una guerra mondiale, fermiamoci per favore!», ha esclamato il Papa nell’ultima udienza generale. Un allarme ripetuto sabato, all’assemblea della pontificia Accademia delle Scienze: «Dopo le due tragiche guerre mondiali, sembrava che il mondo avesse imparato a incamminarsi progressivamente verso il rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale e delle varie forme di cooperazione. Ma purtroppo la storia mostra segni di regressione. Non solo si intensificano conflitti anacronistici, ma riemergono nazionalismi chiusi, esasperati e aggressivi, e anche nuove guerre di dominio, che colpiscono civili, anziani, bambini e malati, e provocano distruzione ovunque.
I numerosi conflitti armati che sono in corso preoccupano seriamente. Ho detto che era una terza guerra mondiale “a pezzi”; oggi forse possiamo dire “totale”, e i rischi per le persone e per il pianeta sono sempre maggiori». I leader delle religioni mondiali possono avere un ruolo importante, nella capitale kazaca sono attese più di cento delegazioni da una cinquantina di Paesi.
Domenica, all’Angelus, Francesco ha spiegato: «Sarà un’occasione per incontrare tanti rappresentanti religiosi e dialogare da fratelli, animati dal comune desiderio di pace, pace di cui il nostro mondo è assetato».